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Pinocchio e l'universalità dell'immagine

Mario Ceroli, Pinocchio (2001)

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Ieri, quando il sole era l’unica sorgente di energia, assai meno numerosi erano gli abitanti del nostro pianeta, lenti erano i mezzi di trasporto, limitati erano i canali di comunicazione; scarse le relazioni tra uomini e popoli lontani.
Lo sviluppo della produzione e dell’utilizzazione di energia ha cambiato il mondo. È aumentata la popolazione mondiale, con le industrie e l’automazione sono esplosi la varietà e il numero dei manufatti, con l’avvento del consumismo il superfluo è diventato necessario.
Oggi la fretta, frutto d’un frenetico tratran, domina la mera gestione del quotidiano. Ci si sente condizionati, stimolati ma spesso anche frustrati da relazioni interpersonali pressanti, assicurate 24 ore su 24 da una rete che dilata gli spazi accessibili e annulla i tempi di connessione. Si ha la sensazione che le parole, da sole, non bastino per capire e controllare ciò che accade attorno a noi. Assai più spesso di una volta la gente viaggia, cambia lavoro, residenza e finanche nazionalità. Grazie allo sviluppo ei trasporti e dei mezzi di comunicazione, crescono esponenzialmente le interazioni tra gli uomini e tra le nazioni.
Eppure, come ieri così ancora oggi, le barriere linguistiche si affiancano alle barriere ideologiche e religiose. E rallentano in modo preoccupante il processo di convivenza pacifica e d’integrazione nella società multietnica che si va costituendo nel nostro villaggio globale. Imprescindibili, per la sopravvivenza di questa società sempre più intricata e complessa, sono la tolleranza e le buone relazioni sociali. Ma queste ultime, entrambe, presuppongono la comprensione reciproca.
Per fortuna, forse non per caso, quale strumento di comunicazione funzionale ai fini di una maggiore comprensione reciproca, al linguaggio verbale si vanno via via affiancando le immagini.
In molte circostanze, soprattutto per i giovani, il messaggio visivo si rivela più efficace e di più immediata comprensione di un messaggio scritto del medesimo significato. Il messaggio visivo supera ogni barriera linguistica, non occorre tradurlo per coglierne il significato. Pensiamo ad esempio alla segnaletica stradale e alle icone nei nostri computer: il contenuto d’informazione è recepito in un batter d’occhio da chiunque, quale che sia la sua madrelingua. Come la musica, il messaggio visivo è universale.
Qual è il motivo di questa universalità?

Proponiamo qui alcune riflessioni su questo quesito.

A questo scopo, identificheremo forme di simmetria (e di ordine) insite nelle strutture naturali e, parallelamente, in alcune immagini stilizzate, anch’esse strutturate secondo dette forme. Ci accorgeremo allora che l’interpretazione di queste immagini stilizzate risulterà immediata.
La nostra tesi è la seguente: il fatto che simboli o messaggi visivi strutturati in modo naturale possono essere interpretati immediatamente – e perfino senza ambiguità – superando barriere linguistiche e condizionamenti culturali, va ricondotto in ultima analisi alla universalità delle leggi della natura.
In concreto, pensiamo a un bravo designer. Questi fa della percezione – che per tutti noi è uno strumento di sopravvivenza – uno strumento di vita culturalmente impegnata. Come tutti noi, il bravo designer obbedisce alle leggi della natura, ma in più è dotato di una particolare sensibilità. Ed è grazie a quest’ultima che, nel creare un messaggio non verbale, istintivamente egli trasferisce e imprime nel messaggio stesso quelle componenti di simmetria delle quali la natura si serve per creare le sue strutture. Questa strategia gli consente di elaborare un messaggio visivo che si presta ad un’interpretazione univoca, proprio perché il fruitore è anch’egli parte della natura: la presenza di queste componenti di simmetria nell’immagine stilizzata, ma strutturata secondo i dettami della natura – ovvero a regola d’arte –, consente al fruitore, nel corso del processo percettivo, di decifrare agevolmente il significato del messaggio veicolato dall’immagine stessa. In altri termini, il designer che elabora ad esempio un’icona o un segnale del traffico, trova istintivamente il modo d’imprimere in esso le forme di simmetria più efficaci per orientare il fruitore nel processo di comprensione del messaggio [Caglioti, 1992].
In definitiva, dunque, l’obiettivo di questo scritto è mostrare che un designer dotato di talento è istintivamente portato a creare immagini che risultano universalmente comprensibili e prontamente decodificabili, grazie all’universalità delle leggi naturali cui tutti obbediamo. Analogamente, un musicista, un pittore o un poeta trasferisce emozioni tanto più intense quanto più è disponibile a cogliere e a seguire il suggerimento della natura nello strutturare la sua opera:
Jn efetto – scrive Leonardo – luomo [...] sidjmostra essere cosa djvjna perche dove lanatura finjssce il produrre lesue spetie lomo qujvj comj[n]ca colle cose naturali affare collaiutorio dessa natura infinjte speti[e].

Le zebre: un esempio di simmetria traslazionale che induce il pedone ad attraversare la strada mantenendo una velocità costante.

Spesso, quando attraversiamo la strada, viene in mente la raccomandazione dei nostri genitori: sulle strisce, mentre attraversi, cammina senza fermarti! non ti mettere a correre!
La rappresentazione visiva di questa raccomandazione è implicitamente ma efficacemente codificata nella struttura della zebratura stradale (Fig. 1).

Fig. 1 In una strada asfaltata in cui la segnaletica sia in rifacimento, ogni traslazione – quale che sia la sua lunghezza – è caratterizzata dal fatto che, una volta eseguitala, non ci si accorge di averla eseguita: ogni traslazione è un’operazione di simmetria, ove per simmetria s’intende, appunto, un non-mutamento quale esito d’un mutamento. Nella zebra qui rappresentata, si ha ancora una simmetria traslazionale. Ma quest’ultima è ridotta rispetto alla simmetria tipica dell’omogeneità del colore grigio-scuro del manto d’asfalto di una strada priva di segnaletica: nella zebra soltanto uno spostamento pari al passo (la larghezza totale di una striscia bianca e della striscia grigio-scura contigua) non porta ad alcun mutamento. È proprio questa riduzione di simmetria che conferisce alla zebra la possibilità di configurare un ordine.

Vediamo perché. Questa struttura ha una particolarità: è caratterizzata da una simmetria traslazionale. Proviamo a chiarire di che cosa si tratta. In generale, per simmetria s’intende un non-mutamento quale esito di un mutamento. Questa definizione può apparire deludente. Ma tant’è. Se la simmetria è traslazionale, vuol dire che quando ci si sposta da un qualsiasi punto della zebra a un altro punto che dista dal primo quanto la larghezza totale di una striscia bianca e di una striscia grigio-scura – il passo o periodo della zebra –, non ci si accorge di esserci spostati. Uno spostamento che si risolva in un non-spostamento può essere realizzato con un solo tipo di movimento: un movimento del quale non ci si accorge. È un movimento, questo, che noi sperimentiamo ad esempio in aereo, durante un volo intercontinentale, quando il cielo è terso e il segnale che invita ad allacciare le cinture è spento; oppure in una nave, durante una crociera, quando l’oceano è calmo e nessuna terra appare all’orizzonte. È un movimento, questo, caratterizzato da una velocità costante.
In questa prospettiva, per esprimere con un’immagine il saggio invito alla prudenza – attraversa la strada mantenendo costante la tua velocità – il bravo designer, anche se non ha studiato la fisica, guidato dalla sua sensibilità non ha altra scelta che quella di disegnare una zebra. Solo una struttura zebrata, che scandisce il piano dell’asfalto in modo periodico, configura un riferimento che evoca una immutabilità e una costanza nel mutamento, e induce a un’andatura costante.
In questa prospettiva, non a caso quella composizione della musica barocca dotata di simmetria traslazionale nella quale il tema è ripetuto, e per inseguir sé stesso sé stesso fugge lungo lo spartito, prende il nome di fuga.
Sempre in questa prospettiva, non a caso Virgilio assegna sistematicamente un’andatura metrica pentadattilica ai suoi esametri, quando vuole evocare onomatopeicamente la velocità costante di un cavallo al galoppo oppure l’irrefrenabile desiderio di un’amante che anela a un veloce rientro dell’amato Dafne, allettato dalle tentazioni della città. Anche se s’ignora il latino, basta ascoltare la lettura metrica dei suoi versi, trascritti qui di seguito, per rendersi conto del fatto che neanche la poesia, nel regno della pura fantasia, si sottrae a quella legge universale della natura secondo cui la simmetria traslazionale implica (una quantità di moto o) una velocità costante.

QuAdrupe | dAnte pu | trEm soni | tU quatit | Ungula | cAmpum;
DUcite ab | Urbe do | mUm mea | cArmina | dUcite | Daphnin.

Il principio di indeterminazione e il segnale di rallentamento che precede la zebra in prossimità di un attraversamento pedonale.
La meccanica quantistica pone limiti invalicabili alla precisione ottenibile mediante una misura simultanea di due osservabili il cui prodotto identifica un’azione. Questa criptica affermazione costituisce un enunciato del principio di indeterminazione.
Proviamo a chiarire di che cosa si tratta (anche se lo spazio da illuminare è assai vasto e non sarà certo possibile far luce completa su concetti molto delicati).
Immaginiamo di volere misurare la posizione e la quantità di moto (prodotto della massa per la velocità) di un punto materiale – ad esempio una molecola di idrogeno –. Supponiamo che la strumentazione di cui disponiamo sia in grado di assicurare una precisione idealmente illimitata nella misura di ciascuna delle due grandezze. Nel microscopico mondo degli atomi la misura simultanea di queste ultime (o di altre coppie di grandezze il prodotto delle quali evochi un’azione: ad esempio la coordinata angolare della particella e il suo momento della quantità di moto rispetto a un asse) può essere effettuata. Eppure anche se, come si è ipotizzato, si disponesse di uno strumento idealmente preciso, non si potrebbe pretendere di attingere simultaneamente una precisione illimitata sul valore sperimentale di entrambe. Le cose vanno come se l’atto di accertare con infinita precisione il valore numerico di una delle due grandezze, ad esempio la posizione, perturbasse in maniera essenziale il valore numerico dell’altra grandezza – nella fattispecie la quantità di moto ovvero lo stato di moto della molecola –. Il prodotto del minimo errore di misura della posizione per il minimo errore di misura della quantità di moto non risulterà mai inferiore alla costante di Planck (ħ = 10–34 Joule•secondo). Quindi l’atto della misura perturba il sistema in modo essenziale. Per inciso, una situazione di questo tipo si presenta anche durante l’osservazione delle immagini ambigue dell’arte cinetica e di alcuni marchi: l’atto della percezione perturba in modo essenziale la loro struttura: si pensi ad esempio al marchio della RAI – una farfalla? E/oppure due profili? (Fig. 2).

Fig. 2 Antonio Romano. Il logo antropozoomorfo della RAI, recentemente rimpiazzato da loghi ancora più dinamici

Si pensi altresì al marchio del Gruppo Italiano Frattura (IGF) in Fig. 3

Fig. 3 Franco Grignani. Il logo del Gruppo Italiano Frattura (IGF): la lettera F (effe maiuscola) o una griglia

Torniamo al principio d’indeterminazione. Una sua conseguenza è la seguente. Se si desidera localizzare con grande precisione una particella, non si può pretendere di mantenerla ferma durante la misura. Viceversa, se una particella ha a disposizione un immenso spazio omogeneo in cui può essere localizzata ovunque con eguale probabilità, l’indeterminazione della sua quantità di moto (e quindi anche la sua velocità) tende ad annullarsi: un naufrago in mezzo all’oceano non aumenterebbe la probabilità di salvarsi mettendosi a nuotare. Passando ancora una volta dal microscopico mondo degli atomi al mondo macroscopico della mente (all’interno della quale il processo percettivo si sviluppa in modo sorprendentemente analogo al processo di misurazione quantistica [G. Caglioti, 2002]), si può intuire quali possano essere state le ragioni profonde che hanno determinato la struttura di un altro segnale del traffico che da qualche anno a questa parte ritroviamo su tutte le strade europee in corrispondenza degli incroci, in vicinanza delle scuole o delle barriere per il pagamento del pedaggio autostradale, ecc. (Fig. 4).

Fig. 4 La struttura della parte di questa figura a sinistra in basso è ottenuta a partire dalla struttura della zebra (a destra) riducendone la simmetria traslazionale. Come la simmetria traslazionale invita a mantenere una velocità costante, così la riduzione della simmetria traslazionale invita a una variazione della velocità. Che questa variazione debba implicare l’invito ad un rallentamento (e non ad un’accelerazione) è suggerito dal graduale incremento della larghezza delle strisce bianche. Se l’ultima di queste strisce fosse, al limite, enormemente larga, non ci sarebbe motivo per muoversi in un verso piuttosto che in un altro, conformemente a quanto previsto dal principio d’indeterminazione.

Ogni guidatore, nell’avvicinarsi alla zebra di un attraversamento pedonale, interpreta questo segnale istintivamente in termini di una calda raccomandazione – un ordine –: decelerare!
Anche in questo caso è plausibile che il motivo per cui questo messaggio visivo è interpretato prontamente e correttamente sia dovuto al fatto che la forma d’ordine insita nella struttura della composizione visiva è consistente con le implicazioni qualitative delle leggi della simmetria e del principio d’indeterminazione.
Infatti questo invito grafico al rallentamento può pensarsi ottenuto a partire da quello della zebra alterando la larghezza delle strisce bianche e grigio-scure che si alternano sull’asfalto. La successione di cinque strisce bianche di larghezza crescente a mano a mano che ci si avvicina alla zebra, è ottenuta riducendo la simmetria traslazionale che, come si è detto, è correlata con una velocità di attraversamento costante.
Nella fisica ogni riduzione di simmetria promossa, come direbbe E. Lombrichi, seguendo il meccanismo autonomo della struttura (ovvero rispettando le regole della simmetria), ingenera ordine nella struttura stessa. Poiché la simmetria traslazionale implica una quantità di moto costante e, come si è detto e ribadito, evoca – e pretende da parte del pedone – una velocità di attraversamento costante, un cambiamento del passo tra due strisce contigue implica – e pretende da parte del guidatore – una variazione della quantità di moto, ovvero un cambiamento di velocità nella sua automobile.
Che detto cambiamento debba consistere in una decelerazione (e non in un’accelerazione) è suggerito qualitativamente dal principio d’indeterminazione, secondo cui strisce sottili sono correlate a velocità relativamente elevate, e strisce larghe sono correlate a velocità relativamente basse.
Considerazioni analoghe valgono per un altro segnale visivo, che troviamo dappertutto: la freccia (Fig. 5).

Fig. 5 Una freccia

Anche in questo caso l’occhio, dopo essersi pigramente soffermato sul corpo del segnale (smisurati spazi corrispondono a basse velocità) è indotto istintivamente a volar via dalla punta della freccia: una punta che invita ad un’elevata velocità di fuga.

La simmetria traslazionale, il principio d’indeterminazione e il Pinocchio di Carlo Collodi e di Mario Ceroli.
Alla luce di quanto si è detto, è gratificante osservare l’immagine di Mario Ceroli, qui riprodotta. Essa compare nel prezioso volume, intitolato appunto a Pinocchio, realizzato da Art’è, e rappresenta l’agguato teso a Pinocchio dalla Volpe e dal Gatto.

Per Pinocchio è impossibile eludere la trappola tesagli dal Gatto e dalla Volpe: la rappresentazione di questa impossibilità è tutta nell’irrefrenabile incedere – con velocità costante – del Gatto e della Volpe, e dello stesso Pinocchio, sulle zebre che confluiscono nell’ampio quadrato centrale.
A questo punto, il commento forse più efficace a questa immagine è nel ritmo impresso nel testo di Carlo Collodi, che verosimilmente ha ispirato l’artista:

La Volpe, che era zoppa,
camminava appoggiandosi al Gatto:
e il Gatto, che era cieco,
si lasciava guidare dalla Volpe.

Mentre Pinocchio cade in trappola (nel quadrato alla confluenza delle due zebre), il ritmo della narrazione di Collodi cambia radicalmente:

Buon giorno, Pinocchio, gli disse la Volpe salutandolo garbatamente.

Il lento decasillabo “salutandolo garbatamente”, composto da due sole ma lunghe parole, la dice lunga sulla sorte che si prospetta al malcapitato burattino.

In conclusione, ci congediamo dai nostri ventuno lettori invitandoli a gustare l’effetto sinestetico prodotto da una fruizione congiunta dei ritmi nel passo di Collodi e nell’immagine di Mario Ceroli.
E li invitiamo altresì a riflettere su un aforisma di L. Wittgenstein, che sembra corroborare la tesi sostenuta in questo scritto:

La gente crede che gli uomini di scienza siano lì per istruirti, e i poeti, i musicisti ecc. per rallegrarti. Che questi ultimi abbiano qualcosa da insegnare non le viene in mente.

Bibliografia

  • Giuseppe Caglioti, Simmetrie infrante nella scienza e nell’arte, CittàStudi, Milano, 1995. Questo saggio è disponibile anche nelle edizioni:
    a) tedesca: G. Caglioti, Symmetriebrechung und Wahrnehmung - Beispiele aus der Erfahrungswelt, con prefazione di Hermann Haken, Vieweg, Braunschweig (1990)
    b) inglese: G. Caglioti, The Dynamics of Ambiguity, con prefazione di Hermann Haken, Springer Verlag, Heidelberg (1992)
    c) giapponese: G. Caglioti, Kodansha, collana Blue Backs, Tokyo, Aprile 1997.
    d) russa: G. Caglioti, Dalla percezione al pensiero, con prefazione di Ilya Prigogine (Premio Nobel per la Chimica, 1977), MIR, Mosca, 1998
  • Giuseppe Caglioti, Eidos e Psiche. Struttura della materia e dinamica dell’immagine, con prefazione di Giuseppe Pontiggia, Ilisso, Nuoro, 1995. Questo volume è tuttora disponibile anche nell’edizione in lingua giapponese, Yakuyosha Co., 2001
  • Giuseppe Caglioti, Optical art: “illusions” and paradoxes of symmetry and quantum mechanics, in Symmetry 2000 – part 2, Proc. from a symposium held at the Wenner-Gren Centre, Stockholm, edited by I. Hargittai and T. C. Laurent, Portland Press, London, pp. 457-466 (2002).

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