fbpx Lo strascico di Omega Centauri | Scienza in rete

Lo strascico di Omega Centauri

Omega Centauri

Il maestoso splendore di Omega Centauri in uno scorcio ripreso dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

Tempo di lettura: 11 mins

L’incredibile quantità di dati raccolta dalla missione Gaia dell’ESA e la loro straordinaria precisione hanno permesso di aggiungere un nuovo importantissimo tassello allo scenario che vede protagonista l’ammasso globulare Omega Centauri, il gigantesco agglomerato di stelle – alcuni milioni – distante 16 mila anni luce che gli osservatori dei cieli del Sud possono ammirare, anche senza alcuno strumento, nella costellazione del Centauro.

Impossibile, a occhio nudo, capire che non si tratti di una singola stella. La natura stellare attribuitagli da Tolomeo nel suo “Almagesto” era ancora valida nei primi anni del XVII secolo, tanto che l’avvocato tedesco Johann Bayer, famoso per le meravigliose mappe celesti raccolte nella sua “Uranometria”, gli assegnò la lettera identificativa Omega, proprio come a una normalissima stella. La prima indicazione che si trattasse di qualcosa di differente venne dalle osservazioni compiute nel 1677 da Edmond Halley dall’isola di Sant’Elena, che lo classificò come un oggetto di natura non stellare. Fu solo nel 1826, però, grazie all’astronomo scozzese James Dunlop e alle sue osservazioni dal Nuovo Galles del Sud, che emerse la vera natura di quell’oggetto celeste. Collocato al numero 440 del suo catalogo dei cieli del Sud, Dunlop lo descrive come un bellissimo globo di stelle gradualmente e moderatamente compresso nel centro.

Oggi sappiamo che Omega Centauri è il più massiccio tra i circa 160 ammassi globulari legati gravitazionalmente alla Via Lattea. Il suo diametro è di circa 150 anni luce e si stima che possa contenere circa 10 milioni di stelle, per una massa complessiva equivalente a 4 milioni di masse solari. Omega Centauri, però, non è un ammasso globulare come gli altri. Dettagliati e recenti studi, infatti, hanno messo in luce alcune importanti caratteristiche che lo rendono piuttosto peculiare e che autorizzano a ipotizzare una sua differente natura. L’ultimo in ordine di tempo, pubblicato nei giorni scorsi su Nature Astronomy, riguarda l’individuazione di una coda mareale di stelle strappate dalla Via Lattea a Omega Centauri. Una scoperta che aggiungerebbe un tassello importante allo scenario che vede questo ammasso come ciò che rimane di una galassia nana fagocitata dalla nostra Galassia. Ne parliamo con uno degli autori dello studio.

Le stranezze di Omega Centauri

Una delle caratteristiche distintive di Omega Centauri è la presenza al suo interno di diverse popolazioni stellari. A differenza degli altri ammassi globulari, composti da stelle tutte caratterizzate dalla medesima età e composizione chimica, la variegata composizione delle sue stelle indicherebbe una produzione stellare che si è protratta nel corso di un lungo periodo di tempo, seguendo dunque quei processi di formazione stellare che avvengono tipicamente nelle galassie. Una caratteristica tutt’altro che marginale, insomma, in grado di suggerire che Omega Centauri possa essere ciò che rimane delle regioni centrali di una galassia satellite che è stata dilaniata e inglobata dalla Via Lattea.

Nel 2008, in seguito a osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble e con lo spettrografo GMOS del telescopio Gemini, Eva Noyola, Karl Gebhardt e Marcel Bergmann proposero l’esistenza di un buco nero di 40 mila masse solari nel cuore di Omega Centauri. Le misure dei movimenti e della luminosità delle stelle nel cuore di questo imponente ammasso indicavano che tra le stelle si nascondeva qualcosa di non luminoso caratterizzato da una massa considerevole: la sua forte influenza gravitazionale obbligava le stelle più vicine a muoversi più velocemente delle stelle più lontane dal nucleo. L’analisi spettrale, poi, suggeriva che si era in presenza di un buco nero quiescente, non indaffarato dunque ad accumulare materia in modo aggressivo come i buchi neri ospitati nel cuore di molte galassie.

Scoperta importante, non solo perché si trattava della prima individuazione di un buco nero di stazza intermedia – cioè a metà strada tra i buchi neri di massa stellare e i mastodontici buchi neri ospitati nei nuclei delle galassie – ma anche perché confermava l’antica natura di galassia nana di Omega Centauri. Scoperta, però, che qualche anno più tardi è stata messa fortemente in dubbio da Roeland van der Marel e Jay Anderson analizzando i moti stellari ottenuti sempre con il telescopio spaziale Hubble.

Al di là della presenza o meno di un buco nero, rimaneva comunque un grosso problema. Visto che intorno a Omega Centauri non era presente alcuna traccia della sua antica struttura, si doveva supporre non solo che tale struttura fosse stata assorbita dalla Via Lattea, ma anche che avrebbe dovuto comunque sopravvivere una, seppur limitata, corrente di stelle in uscita da quel sistema. Tale flusso mareale in grado di testimoniare l’avvenuto accrescimento, inoltre, non avrebbe dovuto nel tempo perdere le sue caratteristiche dinamiche. Il grosso problema era riuscire a individuare quel rigagnolo coerente di stelle nell’oceano di stelle della Via Lattea, un obiettivo davvero complicato e inseguito invano da almeno vent’anni. La disponibilità dei dati della missione Gaia dell’ESA, però, ha cambiato le carte in tavola.

Il cruciale apporto di Gaia

Con la pubblicazione, un anno fa, del secondo catalogo di Gaia (Gaia DR2), si poteva infatti accedere agli accuratissimi dati astrometrici di 1,3 miliardi di stelle della Galassia, ma per provare l’esistenza di quel flusso stellare bisognava comunque setacciare un grandissimo volume di dati. Per non perdersi in tale ricerca, Rodrigo Ibata (Observatoire Astronomique de Strasbourg) e il suo team – del quale fanno parte Michele Bellazzini, Khyati Malhan, Nicolas Martin e Paolo Bianchini – hanno utilizzato un algoritmo di ricerca automatica chiamato StreamFinder. Il programma, ideato proprio per individuare le correnti stellari, aveva il compito di esaminare i dati astrometrici del catalogo cercando addensamenti di orbite, cioè famiglie di stelle dinamicamente collegate tra di loro.

Uno di questi addensamenti, formato da circa 300 stelle e battezzato Fimbulthul dal nome di uno degli undici fiumi primordiali descritti nella mitologia scandinava, era dinamicamente riconducibile all’orbita di Omega Centauri. Su di esso, dunque, i ricercatori hanno intrapreso indagini più dettagliate pubblicando poi i risultati ottenuti sulle pagine di Nature Astronomy (a questo link il preprint dell’articolo).

Il gruppo di stelle di Fimbulthul, individuate grazie all’analisi dei dati del catalogo di Gaia, sovrapposto a una mappa della Via Lattea. Al di là dell’apparente lontananza da Omega Centauri, riconducibile all’evoluzione dinamica delle orbite, colpisce la coerenza delle loro orbite, segno distintivo di un’origine comune. Crediti: Rodrigo Ibata, Observatoire astronomique de Strasbourg

Ibata e collaboratori si sono anche affidati a simulazioni numeriche che hanno confermato appieno la presenza di questa coda mareale e la sua connessione con Omega Centauri. Inoltre, le osservazioni spettroscopiche di cinque stelle di questo flusso effettuate con il CFH (Canada-France Hawaii) Telescope hanno mostrato velocità molto simili e metallicità, cioè composizione chimica, paragonabili alle stelle di Omega Centauri. Tali proprietà hanno ulteriormente rafforzato l’idea di un collegamento diretto tra il flusso stellare e l’ammasso, confermando che ciò che stiamo osservando sono le tracce residue della disgregazione e dell’inglobamento di una piccola galassia satellite per opera dalla Galassia. Un evento certamente non isolato nella storia della Via Lattea, che anzi sembrerebbe un meccanismo piuttosto comune nei processi di accrescimento delle galassie.

Sarebbe stato indubbiamente molto interessante disporre di un modello completo della struttura e provare a seguirne l’evoluzione nel tempo, ma – come dicono gli stessi autori nello studio – tale modellazione andava ben oltre la portata delle loro ricerche. Si sottolinea anzi come una simile modellazione sia estremamente impegnativa e richieda la conoscenza dettagliata di parametri che attualmente ci sono sconosciuti, quali per esempio le proprietà dinamiche della galassia progenitrice, la sua forma originale e il suo stato di rotazione.

Un filo d'Arianna per la galassia distrutta

Per approfondire, abbiamo chiesto aiuto a Michele Bellazzini, astronomo e primo ricercatore presso INAF - Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna. Coautore dello studio appena pubblicato su Nature Astronomy, si occupa di popolazioni stellari, di ammassi globulari, di galassie nane e del processo di formazione delle galassie.

Dottor Bellazzini, la prima domanda riguarda come sia stato possibile individuare i flussi stellari strappati a Omega Centauri. Considerato che l’orbita dell’ammasso globulare è piuttosto bassa sul piano galattico, come siete riusciti a distinguere quelle stelle nel mare di stelle della Via Lattea?

Il fattore determinante è stato la disponibilità dei moti nel piano del cielo, i cosiddetti moti propri, misurati con grandissima precisione per oltre un miliardo di stelle in tutto il cielo dalla missione spaziale ESA-Gaia. Queste misure sono state rese pubbliche il 25 aprile dello scorso anno e hanno già prodotto oltre 1200 articoli su riviste scientifiche da scienziati in ogni parte del mondo. Ne sono particolarmente fiero perché gli astrofisici italiani danno un forte contributo al consorzio Gaia-DPAC (Gaia Data Processing and Analysis Consortium) che, a partire dai dati trasmessi dal satellite, produce il catalogo finale distribuito pubblicamente. Ne faccio parte anch’io, assieme ad altri colleghi dell'INAF.

Nel caso in questione, i moti propri sono stati i nuovi parametri che ci hanno finalmente permesso di individuare l’ago costituito dal debole flusso di stelle perdute dall’ammasso nell’enorme pagliaio delle stelle del disco della Via Lattea. Il sospetto che Omega Centauri fosse qualcosa di più di un ammasso c’era da tempo. Con questa scoperta possiamo concludere che, finalmente, abbiamo la prova definitiva che si tratta di una galassia nana fagocitata dalla Via Lattea?

Diciamo che questa scoperta mette un tassello importante nello scenario evolutivo comunemente accettato. Era convinzione generale che questo flusso di stelle – le code mareali – dovesse esserci ed era davvero frustrante che, a dispetto di sforzi osservativi notevoli da parte di tanti gruppi internazionali, non si riuscisse a trovarlo. Tuttavia, l’indicazione più forte che Omega Centauri sia il nucleo stellare residuo di una galassia nana resta la grande varietà di composizione chimica delle sue stelle, nota da tempo. La caratterizzazione accurata dei flussi stellari che vediamo uscire ora dall’ammasso, però, potrebbero servire da filo di Arianna per ritrovare e caratterizzare le stelle che sono state perdute in epoche precedenti e quindi ricostruire le caratteristiche della galassia nana ormai distrutta di cui Omega Centauri era il nucleo.

Le simulazioni dinamiche che avete intrapreso hanno introdotto o fatto emergere qualche nuova particolarità di questo scenario?

Un nuovo aspetto interessante del processo di modellizzazione del fenomeno è l’inclusione dell’effetto della rotazione intrinseca dell’ammasso. Normalmente, gli ammassi globulari mostrano rotazioni molto deboli e l’ampiezza massima della curva di rotazione è molto minore della dispersione di velocità centrale. Detta in modo più semplice, i moti disordinati prevalgono sui moti ordinati. Omega Centauri è una notevole eccezione a questa “norma”. Nel suo caso, infatti, l’ampiezza della curva di rotazione è confrontabile con la dispersione di velocità. Ora, per riprodurre e interpretare le nostre osservazioni abbiamo prodotto modelli con e senza rotazione intrinseca e abbiamo trovato che il modello che include la corretta rotazione dell’ammasso riproduce decisamente meglio la morfologia osservata nelle code mareali rispetto al modello senza rotazione.

È corretto ritenere che la presenza di un flusso stellare dinamicamente distinto dal moto stellare della galassia indichi un processo che è ancora in atto? Avete ipotizzato le possibili tempistiche di questa cattura/inglobamento della galassia nana da parte della Via Lattea?

Il processo è certamente ancora in atto, diversamente non si vedrebbero le code mareali. Non abbiamo spinto le nostre simulazioni abbastanza avanti nel tempo per fare predizioni forti sul fato dell’ammasso. Sappiamo che, per riprodurre i dati osservativi, il modello deve evolvere in uno stato simile a quello che vediamo oggi, ovvero un ammasso massiccio che perde stelle attraverso code mareali, per almeno 5 miliardi di anni. La galassia nana di cui Omega Centauri era il nucleo centrale deve dunque essere andata distrutta prima di questa epoca. Questo significa che il grosso del “disastro” è probabilmente accaduto nel remoto passato e la maggior parte delle stelle della galassia di cui Omega Centauri era parte è già stata inglobata nella Via Lattea. Quello che stiamo vedendo, insomma, sono gli ultimi relitti di un naufragio galattico, l’albero o la scialuppa che erano appartenuti a una grande nave.

Inevitabile, infine, chiedersi se la scoperta della vera natura di Omega Centauri possa gettare nuova luce anche sugli altri 160 ammassi globulari della Galassia. È troppo azzardato ipotizzare che siano tutti quanti i resti di antiche galassie nane? Potrebbe essere possibile anche per quelli l'individuazione di flussi stellari ad essi riconducibili?

Si, è decisamente troppo azzardato. Ci sono ammassi globulari perfettamente genuini – ovvero che sono composti da stelle che hanno tutte la stessa età e, almeno in termini di elementi pesanti, la stessa composizione chimica – che hanno code mareali simili a quelle di Omega Centauri. Questo, però, implica semplicemente che non sono in equilibrio col campo mareale della Via Lattea e ne subiscono l’azione disgregante. Tuttavia, l’ipotesi che tutti o alcuni ammassi globulari siano il nucleo di galassie nane distrutte è stata avanzata ed è studiata molto seriamente.

In particolare, ci sono alcuni altri casi di ammassi che, come Omega Centauri, presentano composizione chimica non omogenea: sono ottimi candidati a essere relitti analoghi a questo. Il caso più interessante è quello di M54, un altro ammasso molto massiccio con composizione chimica non omogenea, che si trova al centro esatto di una galassia nana, la sferoidale nana del Sagittario, che è in fase avanzata di distruzione. Già diversi anni fa, assieme ad altri colleghi, abbiamo ipotizzato che Omega Centauri e M54 abbiano un’origine del tutto analoga e, semplicemente, fotografino due momenti diversi del processo di distruzione di galassie nane nucleate. Probabilmente, la galassia che conteneva Omega Centauri è entrata nella sfera di influenza della Via Lattea in epoche remote e oggi è totalmente distrutta e resta solo la sua parte più densa, cioè il suo nucleo stellare. La galassia nana del Sagittario è sopraggiunta più di recente e/o su un’orbita meno distruttiva e la sua distruzione è ancora in corso, tanto che possiamo ancora associare il suo nucleo stellare (M54) alla galassia genitrice.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Solidarietà e resilienza: l'insegnamento delle pandemie

L'epidemia di mpox in Africa e la pandemia di Covid-19 hanno messo in luce le disuguaglianze nei sistemi sanitari globali e la vulnerabilità delle popolazioni emarginate. Sebbene diverse per natura, entrambe le crisi dimostrano l'importanza di risposte comunitarie, di una distribuzione equa delle risorse e di investimenti a lungo termine nei sistemi sanitari. 

Crediti immagine: NIAID/Flickr. Licenza: Attribution 2.0 Generic

La recente crisi del mpox in Africa e la pandemia di Covid-19 rappresentano due momenti critici per la salute globale, che mettono in evidenza la vulnerabilità delle popolazioni emarginate e le profonde disuguaglianze nei sistemi sanitari. Sebbene queste crisi differiscano per natura, entrambe sottolineano la necessità di risposte guidate dalle comunità, di una distribuzione equa delle risorse e di investimenti a lungo termine nei sistemi sanitari per proteggere la salute globale.