Esame di ingresso all'Institute of Mathematics of the National Academy of Sciences of Ukraine, Kiev, 2019. Immagine di Lena Gulenko (CC BY 4.0)
Dopo che il terremoto di magnitudo 6,3 colpì nel 2009 la città dell’Aquila, il matematico Bruno Rubino, oggi prorettore agli affari internazionali dell’Università dell’Aquila, concluse lezioni della laurea magistrale internazionale in Ingegneria Matematica a Brno in Repubblica Ceca, dove trovarono ospitalità anche i suoi studenti. Forse per questo l’università abruzzese è stata tra le prime a mobilitarsi per aiutare studenti, ricercatori e professori ucraini in fuga dalla guerra.
Già il 27 febbraio ha pubblicato un bando che offre posizioni di visiting scholar con durata di tre mesi con stipendi da 1300 a 2500 euro al mese a seconda del livello. Ha anche messo in piedi a tempo di record, almeno per l’Italia, un sito web che permette di candidarsi in maniera veloce, anche se si ha a disposizione solo un cellulare.
Rubino ricorda con nostalgia i periodi trascorsi in Ucraina, in particolare alla Ivan Franko National University of Lviv (in italiano Leopoli), nel sud ovest del paese. Siciliano di origine, Rubino ha trovato nel paese l’accoglienza e l’ospitalità del sud italiano. «Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la ricerca e l’istruzione universitarie in Ucraina hanno vissuto un lungo periodo di ristrettezze economiche. Molti professori universitari erano costretti a fare il doppio lavoro, ma la loro accoglienza verso noi ricercatori dall’estero è sempre stata calorosa», racconta Rubino e aggiunge: «il livello scientifico, soprattutto nel mio campo, ma anche nella fisica e nell’ingegneria, è sempre stato molto elevato. Del resto dalla scuola di matematica di Lviv sono usciti alcuni tra i maggiori matematici del ventesimo secolo.»
Negli anni Venti del Novecento a Lviv, che allora si chiamava Lwów ed era in territorio polacco, il matematico Kazimierz Kuratowski fondò una scuola di matematica presso il politecnico della città dove si formarono studiosi come Stanislaw Ulam, Stefan Banach e Mark Kac. Molti di questi erano ebrei, e poco prima dell’invasione della Polonia da parte della Germania nel 1941 scapparono negli Stati Uniti e in Germania e non ritornarono mai più.
«L’università dell’Aquila ha stanziato 300 mila euro per questo bando e per ora offriamo posizioni da tre mesi. Non è il momento di chiedere ai nostri colleghi ucraini di fare piani troppo definitivi. La loro speranza, come la nostra, è che il conflitto finisca presto e loro possano tornare nella loro terra», commenta Rubino. Il sistema italiano non permette di offrire vitto o alloggio, ma la fortuna dell’Aquila è di avere un costo della vita abbastanza contenuto, oltre a un’ampia disponibilità di alloggi vuoti che sono stati costruiti per rispondere all’emergenza abitativa dopo il terremoto.
«Ci siamo presi la responsabilità di rendere il bando il più snello possibile, limitando al massimo la burocrazia, pur garantendo la necessaria trasparenza. La selezione delle domande avverrà in base all’ordine di arrivo. Abbiamo già ricevuto diverse candidature, soprattutto dalle città più colpite, come Odessa, Kharkiv e Kiev. Si tratta per lo più di donne o uomini sopra i sessant’anni, gli unici a poter lasciare il paese da quando vige la legge marziale.»
Il budget messo a disposizione dall’università dell’Aquila è considerevole, soprattutto se confrontato con il fondo istituito dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) e finanziato con 500 mila euro in tutto. Il fondo servirà a offrire borse di studio agli studenti e sono anche previste posizioni temporanee per ricercatori e docenti. Approvato con il decreto-legge del 28 febbraio, entro la fine della settimana, ci dicono fonti del MUR, dovrebbe essere pubblicato il decreto ministeriale con le regole per spendere questi soldi, che verranno distribuiti a università, enti di ricerca e scuole di alta formazione, in ordine di richiesta.
Regole e burocrazia sono gli ostacoli maggiori alla solidarietà della comunità scientifica italiana. Almeno questo emerge da un rapido sondaggio che abbiamo effettuato tra i ricercatori e gli atenei che hanno aderito alla rete #ScienceForUkraine, una piattaforma internazionale nata allo scoppio del conflitto per iniziativa di una ricercatrice lettone e coordinata per l’Italia dai ricercatori Marcin Bartosiak dell’Università di Pavia ed Eleonora Losiouk dell’Università di Padova.
In Italia, infatti, qualsiasi posizione più lunga di una visiting scholarship, anche un assegno di ricerca non tenure-track, deve essere selezionata tramite bando di concorso, che richiede tanto tempo e tanta burocrazia. Lo status di rifugiato non conta come titolo preferenziale in questo tipo di concorsi.
Nonostante questo, le offerte per ricercatori e professori ucraini in Italia aumentano sulla mappa dell’iniziativa. Sono passate da meno di dieci a oltre venti nell’arco di pochi giorni. «Nel mio laboratorio metto a disposizione una decina di borse di studio per studenti, dottorandi e post-doc che intendano spendere un periodo in visita e collaborare ai progetti LASER Optimal presso il Politecnico di Milano, finanziati dallo European Research Council e Fondazione Cariplo», ci scrive Paola Saccomandi, professoressa nel Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.
Sulla mappa di #ScienceForUkraine cominciano ad apparire anche iniziative da parte di atenei, sullo stile di quella promossa dall’Università dell’Aquila. È il caso del Politecnico di Bari, che offre dieci posizioni a ricercatori e professori affiliati a università o centri di ricerca in Ucraina per attività di didattica e ricerca, oppure del dipartimento di economia e statistica dell’Università Federico II di Napoli che offre due posti di sei mesi per dottorandi e post-doc e due posti per studenti sempre di sei mesi, o ancora del Centro di Eccellenza Internazionale per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università di Catania che offre borse di studio e ricerca da tre mesi a un anno a studenti e ricercatori affiliati a università e centri di ricerca ucraini, oltre all’alloggio e all’assistenza legale.
«La rete #ScienceForUkraine serve anche a pubblicizzare possibilità di lavoro nel settore della ricerca, anche in aziende private, non destinate specificamente a ricercatori ucraini, ma che altrimenti sarebbero difficili da rintracciare online», spiega Losiouk, coordinatrice dell’iniziativa per l'Italia. Alcune di queste hanno una scadenza ravvicinata, come nel caso dei due assegni di ricerca messi a disposizione dall’Università di Trento nell’ambito della rete Scholars at risk. Anche il dipartimento di informatica dell'Università Statale di Milano segnala il bando per un assegno di ricerca di tipo B (non tenure-track) che scade fra pochi giorni. In questo caso però la procedura burocratica non è in nessun modo agevolata e richiede una serie di passaggi e documenti che riesce difficile pensare di reperire in un paese in guerra.
Diverso è il caso della Biblioteca Hertziana di Roma, che fa parte della Max Planck Society tedesca. «La scorsa settimana, i direttori hanno lanciato una chiamata che è aperta a studiosi ucraini nel campo della storia dell'arte e nei campi affini, per esempio i curatori dei musei, per trascorrere 6-12 mesi qui da noi», ci scrive Seraina Renz, ricercatrice alla Biblioteca. «In questo momento siamo in contatto con cinque candidati. Alcuni di loro stanno già cercando di arrivare a Roma. Ma le circostanze sono estremamente difficili, soprattutto nel caso degli uomini. Il nostro obiettivo principale è quello di aiutare gli storici dell'arte ucraini che stanno fuggendo dal loro paese, ma la chiamata è aperta anche agli studiosi di Bielorussia e Russia che si oppongono attivamente al regime russo e che quindi sono minacciati e perseguitati nei loro paesi.»
La Max-Planck Society, una fondazione privata, con una lettera del suo presidente, ha dato istruzioni a tutti i suoi istituti di mettere a disposizione fondi con poco preavviso e con «il minor carico burocratico possibile per permettere agli scienziati ucraini associati agli istituti di continuare il loro lavoro con il supporto di programmi di borse di studio locali.»
Intanto anche la diplomazia scientifica si muove. Ha fatto scalpore la decisione del CERN di sospendere la Federazione Russa dal suo stato di osservatore presso il consiglio dell’organizzazione e di non avviare alcune nuova collaborazione con istituti di ricerca e università russe. Tuttavia, i circa 1'100 ricercatori affiliati a istituzioni russe che già lavorano al CERN continueranno normalmente la loro collaborazione. Il Premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha così commentato la notizia su Facebook: «è un messaggio “politico” al Governo Russo che esprime la condanna senza mezzi termini del CERN all’aggressione dell’Ucraina. Il CERN ha anche deciso che tutte le collaborazioni in corso fra il CERN e la comunità scientifica Russa continueranno, in linea con la missione del CERN di mantenere “ponti” attraverso la scienza, anche quando tutti gli altri ponti sono stati interrotti.»