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Sudafrica, campione di scienza

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Sudafrica, aree semi desertiche del Karoo, primi giorni del mese di aprile 2010. Mentre il paese intero sta ultimando la preparazione per accogliere i mondiali di calcio, un gruppo di astronomi e di tecnici ha collegato e messo in rete le prime quattro antenne, ciascuna con un diametro di 12 metri, del MeerKAT Precursor Array, ha poi puntato l’inedito telescopio verso Centaurus A, ottenendo un’immagine straordinaria del jet di gas che fuoriesce dall’enorme buco nero che si trova al centro della lontana galassia. Con questa performance il Sud Africa ha rafforzato la sua candidatura a ospitare SKA (Square Kilometre Array), il radio telescopio, costituito da una rete di antenne disposte su un chilometro quadrato di territorio, che rappresenta probabilmente la più grande sfida tecnologica che ha davanti a sé la big science nei prossimi venti anni perché l’Array avrà bisogno di una capacità di connessione superiore a quella che ha attualmente l’intera rete internet dell’Europa. Il Sudafrica è in competizione con l’Australia per ospitare il progetto SKA.

Negli stessi giorni all’inizio dello scorso aprile la rivista americana Science pubblicava un articolo in cui Lee R. Berger e un gruppo di suoi collaboratori dell’Institute for Human Evolution, dalla University of the Witwatersrand annunciava la scoperta di Australophitecs sediba una nuova specie di ominino da cui, probabilmente, è derivato il cespuglio delle specie umane. Confermando, nel medesimo tempo, che il Sudafrica è sede delle principali fonti fossili della nostra storia antica e dei principali centri al mondo in grado di ricostruirla, quella storia.

Intanto i fisici e gli ingegneri nucleari del paese sub-sahariano erano impegnati nello realizzazione di un prototipo di reattore nucleare cosiddetto di IV generazione, che promette di produrre abbondante energia elettrica con un ciclo chiuso del combustibile fissile, in condizioni di estrema sicurezza e con una quantità minima di scorie radioattive.

Non c’è dubbio: non solo il paese all’estremo sud dell’Africa ha una capacità scientifica di tutto rispetto. Ma, come sostiene un’analisi dell’Accademia delle Scienze del Mondo in Sviluppo (TWAS), la scienza è parte integrante nell’opera di ricostruzione della società del nuovo Sud Africa. Ed è anche grazie alla scienza che il paese sub-sahariano si è conquistato un posto nel novero delle potenze emergenti, accanto a colossi come Cina, India e Brasile.

La scienza del Sudafrica vanta numeri di tutto rispetto. Nel 2009 il paese ha investito  in ricerca e sviluppo (R&S) circa 3,6 miliardi di dollari: più di alcuni paesi europei, come Polonia o Portogallo. In termini relativi gli investimenti sfiorano, ormai, l’1,0% del Pil: più o meno quanto l’Italia. La produttività dei suoi scienziati è alta: avendo a disposizione lo 0,3% degli investimenti mondiali, la comunità scientifica del Sudafrica vanta lo 0,7% delle totale mondiale delle pubblicazioni scientifiche. Il paese è, scientificamente, il più importante dell’intero continente. Sui 15 settori scientifici su 21 presi di recente in esame dagli analisti della Thomson Reuters in un rapporto sulla scienza in Africa, gli scienziati del Sudafrica risultano primi assoluti.

Ma sia il nuovo presidente Jacob Zuma, sia il nuovo ministro per la ricerca, la signora Naledi Pandor, non sono affatto intenzionati ad accontentarsi. Il loro progetto è di raddoppiare gli investimenti in R&S, arrivando ad almeno i 2,0% del Pil, entro il 2018 e quintuplicare il numero di PhD, passando dagli attuali 1.200 giovani dottori di ricerca formati nel 2009 ad almeno 6.000 l’anno, per proiettare definitivamente il Sudafrica nell’economia e nella società della conoscenza.

Hanno almeno quattro leve per riuscirci. L’economia del paese è in crescita: tra il 2000 e il 2005 il Pil è aumentato al ritmo del 5% annuo. Hanno università di antica tradizione e con standard eccellenti. Attraggono cervelli da tutta l’Africa sub-sahariana. Sono sempre più inseriti nella nuova rete geopolitica della ricerca, grazie a numerosi accordi con Cina, India e Brasile, che si sommano ad antiche e solide relazione con gli Stati Uniti d’America.

La scelta del Sudafrica non era affatto scontata. Il paese vantava una buona tradizione al tempo dell’apartheid prima della rivoluzione pacifica di Nelson Mandela nel 1990. Gli investimenti in R&S ammontavano all’1% del Pil. Il paese possedeva una buona industria nucleare e anche l’arma nucleare. E in alcuni settori della medicina era all’avanguardia. Non a caso nel 1967 fu il chirurgo sudafricano Christiaan Barnard a realizzare presso il Groote Schuur Hospital di Città del Capo il primo trapianto di cuore mai riuscito al mondo.

Tuttavia nella trasformazione politica e nella ricostruzione della società del nuovo Sudafrica operata da Nelson Mandela la scienza subì un rapido declino. In pochi anni l’intensità degli investimenti si dimezzò. Anche perché vennero meno gli investimenti nel settore militare: nel 1993, infatti, il Sudafrica fu il primo paese al mondo a distruggere completamente il suo arsenale atomico. E anche la produttività scientifica diminuì, le pubblicazione dei ricercatori sudafricani scesero allo 0,3% del totale mondiale.
Cosicché oggi la scienza in Sudafrica è solo in parte frutto della tradizione, per larga parte è frutto di una nuova vocazione.

Non mancano, tuttavia, i problemi. Le risorse umane sono ancora poche, rispetto agli altri paesi emergenti: in Sudafrica ci sono 23 dottori di ricerca per milione di abitanti, contro i 42 del Brasile e i 172 della Corea del Sud. Le differenze di accesso all’università tra le varie etnie sono invece ancora enormi. Un giovane sudafricano dalla pelle bianca di età compresa tra 25 e 34 anni ha una probabilità 28 volte superiore di diventare dottore di ricerca rispetto a un pari età di pelle nera. E da chiarire sono anche gli obiettivi degli sforzi di ricerca del Sud Africa. Si deve puntare sulla “big science”, come quella dello Square Kilometre Array, o si deve puntare sui settori più vicini alle necessità del paese e/o dove il paese ha, per motivi naturali o tradizioni culturali, punti di forza rispetto ad altri, come per esempio: archeologia e paleontologia (il Sudafrica è una delle culle dell’umanità), la medicina clinica (in Sudafrica il 10% della popolazione è contagiato dal virus Hiv dell’Aids); della geologia e delle tecnologie estrattive (il Sudafrica vanta miniere, a iniziare da quelle di diamanti, molto importanti), la botanica e la zoologia (il paese ha 2.500 chilometri di coste bagnate da due oceani e ospita 20.000 specie di pianeta, il 10% dell’intera biodiversità botanica del pianeta).

In realtà nulla vieta di portare avanti il tentativo sia di inserirsi nella ricerca di punta mondiale sia di guardare alle esigenze e sfruttare le capacità locali. Un fatto è certo, come recita un recente editoriale di Nature, la vocazione per la scienza costituisce una grande opportunità per il nuovo Sudafrica.

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