In una recente recensione del Rapporto della Royal Society di Londra, Knowledge, networks and nation. Global scientific collaboration in the 21 century, Pietro Greco su Scienzainrete, citando gli elementi essenziali contenuti in quel Rapporto riportava anche gli aspetti di più diretto interesse italiano.
Due erano, in sintesi, le questioni che emergevano:
- Tra il 1996 e il 2008 i ricercatori italiani hanno aumentato del 32 % il numero assoluto di articoli prodotti, conservando una percentuale mondiale del 3,5 %.” Nessuno tra i ricercatori del G8 ha fatto di meglio.” E questo aumento della produttività dei nostri ricercatori non è spiegabile con l’aumento delle risorse, tutt’altro. Di un certo interesse appare, inoltre, l’osservazione secondo la quale questo aumento della produttività del mondo della ricerca non corrisponde affatto ad un aumento della produttività generale del lavoro nel nostro paese che, invece, è fortemente diminuita.
- La seconda osservazione chiama in causa la dimensione dell’innovazione tecnologica misurata attraverso le richieste di brevetti presso il Patent Office degli Stati Uniti. Nel 1989 sono state pari al 2,86 % del totale, con il che l’Italia si collocava al settimo posto nella classifica per paesi; nel 1999 la percentuale era scesa al 2,14 % e nella classifica per paesi eravamo scesi all’ottavo posto; nel 2009 la percentuale era scesa al 1,58 % del totale e il nostro posto nella classifica per nazioni era l’undicesimo.
La conclusione di Pietro Greco era “inevitabile”: “la nostra ricerca è piccola ma molto produttiva. Regge degnamente il confronto internazionale . Ma non riesce a trasformarsi, come avviene in altri paesi, in leva per lo sviluppo economico. E’ sempre più distante dal sistema produttivo. E non per colpa dei ricercatori”.
Questa crescente “distanza dal sistema produttivo” merita qualche osservazione. La debolezza brevettuale sembrerebbe testimoniare una attività di ricerca prevalentemente “accademica” e poco attenta alle innovazioni tecnologico-economico. Tuttavia il contributo della ricerca alla produzione brevettuale chiama in causa in prima battuta e ovviamente, la ricerca industriale e comunque condotta su richiesta del sistema delle imprese. Che la spesa e il numero degli addetti alla ricerca da parte delle imprese italiane siano significativamente inferiori a quelli degli altri paesi industriali, è questione notoria. Volendo dare una dimensione a questo minor impegno in ricerca da parte delle nostre imprese, si possono ricordare i dati relativi al numero percentuale di addetti alla ricerca pari a circa un terzo di quelli presenti in media nei paesi avanzati, mentre valori consimili sono quelli relative agli investimenti in ricerca. Non deve meravigliare, quindi, se Il Rapporto segnala per la situazione italiana un “produttività” brevettuale molto debole. La distanza della nostra ricerca dal sistema produttivo deve essere intesa, in effetti, come una distanza del sistema produttivo dai processi innovativi e dalle attività di ricerca. Può darsi che questa distanza agevoli un atteggiamento più “distaccato” dei nostri ricercatori, ma si tratterebbe di una osservazione comunque marginale e non tale da modificare i dati strutturali sottesi consistenti in una debolezza della domanda di ricerca da parte del nostro sistema produttivo. L’interrogativo che a questo punto dovrebbe essere espresso riguarda il se e il come questo nostro sistema economico possa reggere il confronto e l’incontro con competitori sempre più dotati sul piano della qualità tecnologica. Il dato di maggiore preoccupazione è, in particolare, quello che indica un andamento crescente di questa nostra debolezze, in quanto espressione di una assenza di capacità di modificarne la tendenza negativa pur nell’arco di oltre vent’anni.
In questo arco di tempo abbiamo consumato altri fattori competitivi, incominciando dal fattore lavoro ormai con i costi tra i più bassi in Europa, abbiamo consumato i vantaggi delle economie locali connessi con le logiche dei distretti industriali, abbiamo sviluppato un metodo di evasione fiscale con percentuali tali da assegnargli una funzione strutturali, abbiamo utilizzato nel bene e nel male la grande flessibilità del sistema delle piccole imprese, abbiamo consumato le tecniche finanziarie delle svalutazioni competitive, ecc.
Tuttavia in un momento storico dove siamo sollecitati a ridurre il nostro debito sovrano e contemporaneamente ad accrescere la nostra capacità di sviluppo, non si rintracciano nel dibattito quelle sollecitazioni e quelle indicazioni che sarebbero necessarie per incidere sul nostro sistema dell’innovazione tecnologica. I motivi di fondo di questa “distrazione” stanno proprio in quella distanza del nostro mondo economico dalle attività di ricerca segnalati anche dal Rapporto della Royal Society, una distanza che alimenta un circuito negativo per la qualità dello sviluppo del nostro paese. Interrompere questo circuito dovrebbe essere un compito della politica.