“La durata dell'opera è di circa cinque ore e non ci sono intervalli tradizionali; il pubblico può tranquillamente entrare e uscire dalla sala...”: questo disclaimer era distribuito sabato 24 marzo 2012 all'entrata del Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia dove sarebbe andata in scena l'unica data italiana di Einstein on the beach di Robert Wilson e Philip Glass.
Effettivamente la lettura più banale di queste quattro ore e mezza di musica minimale è la sua darwinianità, se mi si passa il termine. Si inizia in 1.100 spettatori e si arriva alla fine in poco più di 300. Il resto si perde per strada per lunghezza dell'opera, difficoltà di ascolto e assenza di narrazione. I più evoluti rimangono a godersi l'ultimo atto e la sua melodia. Glass regala, a chi ha la pazienza di seguirlo, il violino più dolce in una suprema ode all'amore e al cosmo. Possiamo affermare che Einstein on the beach è figlia del suo tempo. Opera del 1976, vede la collaborazione di quelli che all'epoca furono il maggior regista (Wilson) e il maggior compositore (Glass) del teatro d'avanguardia internazionale. E' figlia di un teatro-musica molto astratto e sperimentale che nasce nei '60 per poi morire nell'edonismo reaganiano degli anni '80.
Proprio questa astrazione sembra essere il problema maggiore per lo spettatore del 2012: Einstein on the beach non solo non ha una trama, ma non ha né unità di spazio né di tempo. Anche le stesse scene prese singolarmente mutano sotto i nostri occhi partendo da un luogo e arrivando lentamente in un altro. Noi siamo gli osservatori che nella stazione vedono passare il treno ma siamo anche gli osservatori all'interno del treno. La figura di Einstein viene considerata nel suo ruolo di scienziato sociale, pacifista e fortemente politico. Ci sono cenni concreti alle sue teorie ma mai espliciti (ad esempio il paradosso dei gemelli). Einstein è impersonato dal violinista che, in uno spazio a metà tra il palco e l'orchestra, partecipa alle scene con la voce del suo strumento ma non interagisce con gli attori sul palco.
Glass dichiarò che lui e Wilson decisero di utilizzare la figura di Einstein perché “lo scienziato era diventato una celebrità … tutti avevano conoscenza di lui, della sua vita ma sotto aspetti differenti. Ogni persona avrebbe dato un significato diverso all'opera, avrebbe visto quello che conosceva di Einstein.” Da qui l'importanza trasferita nella struttura più che nella narrazione.
La struttura è quella numerica dell'accumulazione tipica della musica minimale di Glass. Si inizia con una melodia semplice ripetuta più volte a cui mano mano vengono aggiunte note. Lo stesso procedimento avviene nelle parti danzate dove vediamo i ballerini avvicendarsi in gruppi sempre crescenti, ripetendo sempre gli stessi movimenti. La crescita, sia del suono che del movimento, è così lenta e graduale da divenire un tutt'uno onirico di cui ci si rende conto solo ad opera finita. Come nella sua opera più recente Kepler, Glass sfrutta la figura dello scienziato iconicamente per dedicarsi a ciò che lo interessa di più cioè i numeri e la rappresentazione di questi attraverso la musica. E, ammettiamolo, non c'è niente di più iconicamente pop dell'immagine di Einstein al mare.