fbpx Verso la knowledge society | Scienza in rete

Verso la knowledge society

Tempo di lettura: 8 mins

La Commissione Europea ha messo al centro della sua attenzione l’innovazione, dapprima lanciando la sfida di una "Europa innovativa", già prima dello scatenarsi della crisi mondiale, e poi con il proclama di voler diventare una Innovation Union. In un documento di lavoro dall’ambizioso titolo Consultation on Future ‘EU 2020’ strategy (consultabile in allegato), già si leggeva in effetti che: "Questo è un tempo di profonde trasformazioni per l’Europa. […] La conoscenza è il motore per una crescita sostenibile. In un mondo in rapido cambiamento, quel che fa la differenza è l’educazione e la ricerca, l’innovazione e la creatività".

L’obiettivo generale di Horizon 2020, il futuro Programma Quadro di finanziamenti europei alla ricerca e all’innovazione (2014-2020), è ora così descritto:

Horizon 2020 contribuisce a costruire un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione in tutta l'Unione mediante la mobilitazione di finanziamenti supplementari per la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione. In tal modo sostiene l'attuazione della strategia Europa 2020 e altre politiche dell'Unione, nonché il conseguimento e il funzionamento dello Spazio europeo della ricerca. 

Le parole d’ordine dell’intera strategia che va sotto il nome di Europa 2020 sono crescita smart, crescita sostenibile, crescita inclusiva. In concreto, si tratta di realizzare una crescita qualificata da un nuovo modello economico basato su conoscenza, basse emissioni di carbonio e alti livelli di occupazione. Ma i concetti scivolosi non sono pochi. Varrà la pena considerarli da vicino, visto che avranno un ruolo determinante per lo sviluppo dei 28 Paesi che faranno allora parte dell’Unione.  Il primo che vogliamo qui trattare è la knowledge society.

Knowledge Society = K_economy + C_society

Sempre più spesso si legge della società contemporanea come di una knowledge society. Ma bisogna fare qualche distinguo. Innanzi tutto, non si tratta solo di una information society per via dell’enorme produzione e circolazione di informazioni, ma di una forma di vita sociale che sempre più ruota attorno alla conoscenza come fattore economico immediato (produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza con surplus di conoscenza).

In particolare, poi, la conoscenza non è un sapere qualunque: in quanto scienza (sua contrazione linguistica) essa è “più stabile” e capace di “imporsi” (due tratti dell’episteme) proprio perché convince grazie a criteri pubblici di accreditamento e revisione critica, e ha dunque una spiccata vocazione quale sapere pubblico e riflessivo. È in questo senso che la knowledge society può anche essere concepita come science-based society e la comunicazione scientifica (ben al di là della divulgazione) risulta essere vitale.

La nuova dinamica della Knowledge economy scavalca i “vecchi” fattori produttivi (terra, capitale e lavoro) e anche i “vecchi” bisogni/interessi, ri-valorizzandoli, trasformandoli. La conoscenza ha fatto irruzione nei negozi quotidiani divenendo mezzo e fine immediato in un numero crescente di interazioni fra gli individui. Si creano, però, nuove occasioni di esclusione e disuguaglianza, forse meno cruente e meno visibili, ma per ciò stesso più infide e sfuggenti. La redditività di un ettaro di terra varia con la conoscenza che ci viene iniettata e che lo valorizza, esattamente come un capitale non gestito con la conoscenza appropriata o un lavoro non qualificato dalla conoscenza più aggiornata avranno un valore sempre più rapidamente deperibile. Inoltre, l’uso ripetuto (dalla stessa persona) e multiplo (di più persone) della conoscenza ne aumenta il valore, al contrario di quanto avviene per la terra e per il lavoro, e persino a differenza del capitale (denaro) o di un bene pubblico, per via dei processi di apprendimento. Si genera, perciò, un surplus di conoscenza in chi, nel processo di circolazione, la mette in opera, ampliando le disuguaglianze che trova nella distribuzione iniziale, nell’accesso e nel controllo della conoscenza. Chi controllerà la qualità della conoscenza messa in circolazione, la reale opportunità di accesso, l’uso per scopi condivisi? Come evitare tentazioni tecnocratiche? Ecco problemi di fronte ai quali le categorie economiche e le strategie politiche costruite su di esse nella modernità (proprietà capitalistica dei mezzi di produzione e liberalismo, lavoro manuale salariato e socialismo) vengono spiazzate, superate anche se certo non eliminate. La conoscenza, infatti, è un bene cooperativo, ma senza adeguate politiche si rivela essere un bene esclusivo in massimo grado. Non si può certo negare che la conoscenza abbia avuto un ruolo importante anche in tutte le società umane del passato; ma oggi essa è il motore dell’economia ed è immediatamente scambiata in quote crescenti di relazioni sociali fra tutti i cittadini. La nuova specie sociale che si va affermando nel mondo non sostituisce le forme sociali precedenti, ma va piuttosto a deporsi su strati pregressi, dei quali eredita le disuguaglianze prodottesi nel corso di secoli di storia.

Lo sviluppo di una knowledge economy, comunque, rappresenta solo uno dei suoi aspetti peculiari, essendovi anche lo speculare sviluppo di una Citizen society. Senza ignorare fenomeni collettivi di massa, pressioni esterne verso l’omologazione e tentazioni demagogiche, pur fra contraddizioni e iniquità si va costruendo una comunità umana planetaria costituita da individui che sono andati reclamando, e in parte ottenendo, crescenti diritti di cittadinanza, e affermando l’autodeterminazione nelle proprie scelte quotidiane in nome della propria personalità e della dignità delle culture di provenienza. L’estensione del raggio d’azione della propria vita sino ai confini del pianeta, inoltre, ha esteso il patrimonio di differenze con le quali i singoli individui devono confrontarsi ogni giorno, poiché ereditiamo una storia fatta di profonde eterogeneità. L’avvento delle democrazie di massa, con la diffusione del suffragio universale e l’affrancamento dalla condizione servile, lo sviluppo dei mass media con la diffusione dei computer, la globalizzazione, la scolarizzazione, il welfare, l’allungamento della stessa vita e le grandi innovazioni tecnicoscientifiche hanno prodotto, dunque, l’irruzione di enormi quantità di individui sulla scena dell’attività produttiva di conoscenza e, in particolare, della scienza come istituzione a essa preposta. Ognuno di essi ha portato con sé il proprio punto di vista, sollevando al contempo crescenti esigenze di mediazione e parità nell’integrazione, che tuttora rimangono da esaudire e cogliere in maniera soddisfacente. Uno sviluppo tendenzialmente uniforme in uno scenario altamente differenziale implica che ciascuno, proprio mentre intraprende corsi di vita personali (differenziazione) abbia sempre più bisogno di conoscenza generale e condivisa per orientarsi nel mondo sempre più complesso e per riconoscersi membro di una medesima sempre più vasta comunità (integrazione).

È qui che si saldano e si rafforzano reciprocamente, dunque, le due risorse chiave per il pieno sviluppo della società della conoscenza, e cioè la conoscenza scientifica e la democrazia politica. La conoscenza scientifica, che è proprio quella forma di conoscenza che richiede e produce tanto quel distacco (differenziazione dell’ego dal mondo interno inconscio, dall’ambiente e dagli altri) quanto quel coinvolgimento (condivisione di un medesimo punto di vista più generale e astratto) che sono necessari e che, allo stesso tempo, alimentano differenziazione e integrazione. E la democrazia politica che è proprio quella produzione ed espressione di interessi che richiede e produce tanto il distacco dall’interesse immediato quanto il coinvolgimento in interessi più generali, profondi e duraturi (interesse generale), necessari e in grado di alimentare il prosieguo di differenziazione e integrazione. Il problema capitale oggi è affrancare tutti i cittadini del pianeta dalla condizione di minorità che, oltre alla povertà e alla mancanza di welfare, è anche la non disponibilità pratica e intellettuale della conoscenza più avanzata per la propria realizzazione personale nel futuro della knowledge society.

 

L'Europa finanzia l'eccellenza e l'innovazione - di Ilaria Canobbio

Il nuovo programma quadro europeo, Horizon 2020, punta sulla conoscenza e sul trasferimento tecnologico nei settori più innovativi per risolvere i problemi dell’economia globale e le sfide di un pianeta sostenibile. Horizon 2020 è il nome del prossimo programma quadro che finanzierà la ricerca e l’innovazione in Europa nel periodo 2014-2020. Con un budget di 80 miliardi di euro, Horizon 2020 vuole aumentare competitività, crescita e opportunità di lavoro in EU promuovendo la ricerca di eccellenza nei settori più innovativi e sviluppando la sua applicazione sul mercato. Solo coniugando infatti la miglior ricerca di base (nel settimo programma quadro affidata al consiglio europeo delle ricerche, ERC) con la sua applicazione industriale si può sviluppare una crescita economica, intelligente e sostenibile, che sia in grado di risolvere la crisi del vecchio continente, creando opportunità di lavoro basate sul valore della conoscenza. Nei finanziamenti Horizon 2020 confluiscono gli attuali fondi dei programmi quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico , per la Competitività e l’Innovazione (CIP ) e le attività correlate all’istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT).In particolare Horizon 2020 si occuperà di:
Rafforzare la posizione dell’Europa nell’eccellenza della ricerca, con un aumento dei fondi dedicati alla ricerca di base del 77% in più rispetto al precedente ERC (24 miliardi 589 milioni di euro). In quest’ambito verranno finanziati i progetti più innovativi, verranno sviluppate le infrastrutture e le collaborazioni, verrà stimolata la crescita dei ricercatori attraverso specifici finanziamenti con l’obiettivo di creare in Europa un luogo all’avanguardia nella ricerca di base.
Promuovere il trasferimento tecnologico e l’innovazione nel settore industriale con particolare attenzione all’accesso ai capitali e al supporto delle piccole e medie imprese (circa 18 miliardi). Horizon 2020 si pone come un ponte tra la ricerca di base e la sua applicazione, favorendo il passaggio delle idee dalla formulazione allo sviluppo industriale, con particolare riferimento alle tecnologie dell’informazione e comunicazione, allo spazio, alla fotonica, alle nanotecnologie, ai nuovi materiali e alle biotecnologie. L’obiettivo finale è quello di realizzare un’Europa in cui siano presenti industrie competitive in grado di creare sviluppo, crescita economica e opportunità professionali, e in cui le piccole medie imprese trovino capitali e spazio per crescere a livello internazionale. 
Affrontare le sfide europee condivise quali il cambiamento climatico, lo sviluppo di forme di energie rinnovabili, la mobilità sostenibile, la sicurezza alimentare, e l’invecchiamento della popolazione (31 miliardi e 700 milioni), in questo senso, Horizon2020 sostiene gli obiettivi dell’agenda Europa 2020 che punta a rilanciare l’economia dell’Europa nel decennio 2010-2020 attraverso una crescita sostenibile, intelligente e solidale. Un’ulteriore punto di forza di Horizon 2020 riguarda lo snellimento delle procedure di valutazione e finanziamento al fine di renderle più efficienti. Horizon 2020 entrerà in vigore il 1 gennaio 2014, ma le linee guida e gli aggiornamenti sono sin da ora consultabili sul sito ufficiale.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Parigi val bene una messa: le Olimpiadi tra conflitti estremi e sogni di riscatto

olimpiadi e riscatto

Al di là delle passerelle e delle controversie costruite ad arte per distrarre dai giochi, la partecipazione alle Olimpiadi per gli atleti che provengono da Paesi coinvolti in conflitti definiti “estremi”, ha il significato di testimonianza e di ricerca di un’identità. Avranno vinto se saranno riusciti a far parlare della loro terra e dei loro popoli. Raccontare la loro storia vuol dire prendere parte al vero spirito olimpico.

Giorgia Meloni non è Enrico di Navarra, che abiurò il calvinismo per il cattolicesimo pur di conquistare Parigi, nella quale fu incoronato re nel 1594. Né Angela Carini è Nino Benvenuti, campione olimpico dei pesi welter nel’60. Alla fine del ‘500 la Francia era devastata dalla guerra civile, oggi (luglio 2024) sono oltre 50 i conflitti in corso nel mondo, 10 dei quali definiti “estremi” per letalità, pericolo, diffusione e frammentazione del territorio e della popolazione.