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The Best Of Stephen Jay Gould

Tempo di lettura: 10 mins

Per celebrare Stephen Jay Gould, grande paleontologo di Harvard, a dieci anni dalla sua morte (20 maggio 2002), presento qui i suoi cinque migliori saggi brevi, scelti tra quelli che scrisse per la sua rubrica “This View of Life” sulla rivista mensile dell’American Museum of Natural History, dove in oltre 25 anni di ininterrotta attività (1974-2002) pubblicò più di 300 articoli.
Molti, esperti e non, considerano queste Reflections on Natural History capolavori di divulgazione scientifica. I lettori italiani hanno accesso a questa ricchezza nei libri, periodiche raccolte tematiche dei saggi brevi di Gould, che diversi editori hanno tradotto. Non si tratta solo e tanto di riassumere contenuti – anche se in parte lo farò. Il presente scritto è piuttosto un invito alla lettura, attraverso un commento, una contestualizzazione, la sottolineatura di alcuni aspetti.

La “top five” è stata assemblata a partire da un sondaggio tra i lettori del portale Pikaia :

  1. Capezzoli maschili e glande clitorideo - raccolta Bravo Brontosauro (Acron. : CMGC91)
  2. Le uova del kiwi e la campana delle libertà - Bravo Brontosauro   (KIWI91)
  3. Essere un ornitorinco  - Risplendi grande lucciola (ORN)
  4. Omaggio di un biologo a topolino - Il pollice del panda  (TOPO81)
  5. La cospirazione di Piltdown - Quando i cavalli avevano le dita (PILT80)

Gould e la sua rubrica

Le Riflessioni di Storia Naturale raccontano l’evoluzione, con particolare attenzione alle stranezze della natura e ai modi cui cui le spieghiamo, agli “scherzi” della natura che sfidano i nostri modelli, ma narrano anche la storia e la storiografia della biologia, le figure e le vicende che hanno contribuito alla nascita, revisione ed estensione del grande programma di ricerca. Spesso operano accostamenti arditi tra la scienza e le più varie forme di cultura attinte dalla varietà degli interessi e dal grande spessore intellettuale di Gould.

Le domande di ognuno, le domande di tutti

Vi è un passaggio, in uno dei saggi vincitori, in cui Gould parla della propria corrispondenza con i lettori. Esaminarlo, credo, aiuta a farsi un’idea del modo in cui Gould viveva la propria rubrica, e inoltre evidenzia alcune idee di fondo che possono costituire un messaggio anche per noi.

Tenendo da molti anni questa rubrica di “riflessioni di storia naturale”, ricevo centinaia di lettere da lettori che non riescono a spiegarsi qualche apparente stranezza della natura. Grazie a un campione tanto vasto, ho potuto farmi un’idea abbastanza buona dei problemi e dei particolari dell’evoluzione che pongono rompicapi insolubili a lettori non scienziati di buona cultura (CMGC91, p. 127).

Nel vasto campione delle lettere dei lettori, i capezzoli maschili costituiscono l’enigma che compare più di frequente. Gould dice di essere rimasto affascinato e sorpreso da ciò, e cita direttamente l’ultima lettera ricevuta “da una bibliotecaria in grave imbarazzo”:

Ho una domanda alla quale non riesco a trovare una risposta da sola, e non so dove o come cercare la risposta. Perché gli uomini hanno i capezzoli? (…) Questa domanda mi tormenta ogni volta che vedo un uomo a torso nudo! (Ibidem)

Mi sembra che un presupposto centrale di tutte le riflessioni di Gould sia questa idea che tutte le persone, dalle bibliotecarie ai politici ai salumieri agli studenti ai grandi scienziati, siano portatrici di domande precise, di rompicapo, di dilemmi che li portano a cercare di applicare le spiegazioni scientifiche (o almeno, della versione di esse che giunge loro attraverso i più vari media) e a dubitarne. Lo scrivere di Gould è una pratica basata sull’idea le persone non sono contenitori vuoti. Al contrario, hanno problemi ben precisi che – vedremo qui – sono creati dai modi di pensare tanto quanto dalla realtà.

Ma vi è in Gould un’idea ancora più forte: quella di una continuità, o almeno una contiguità, tra tutti i tipi di soggetti esaminati più sopra, in particolare tra i grandi scienziati del presente e del passato da una parte, e persone comuni dall’altra. È un’idea che sovverte un po’ alcune gerarchie che potremmo avere in mente, ad esempio: lo scienziato è superiore agli altri, e lo scienziato del presente è superiore a quello del passato. Che poi questo abbia l’effetto di elevare chi prima era visto come inferiore, oppure quello di abbassare chi era posto su un piedistallo, poco importa, e diversi saggi di Gould appaiono impostati nell’uno o nell’altro modo. Tornando alla nostra bibliotecaria, ella è accostata nientemeno che a Erasmus Darwin, nonno di Charles e grandissimo scienziato. La continuità, la “parentela epistemologica” tra scienziati di tutti i tempi e tra essi e i non scienziati riguarda tanto le domande quanto le risposte. Per quanto riguarda la domanda, nella Zoonomia (1794) Erasmus, come la bibliotecaria, considerò i capezzoli maschili nientemeno che un’eccezione cosmica a un principio universale: quello della utilità universale, secondo il quale, per via della dinamica stessa del mondo organico, ogni carattere che esiste deve essere utile a qualcosa. Ma il parallelismo tra le risposte, tra le spiegazioni elaborate da Erasmus e dalla bibliotecaria per questo “carattere eccezionale”, affascina Gould ancora di più: laddove Erasmus ipotizza che alcuni maschi possano produrre latte e siano perciò in grado di aiutare nell’allattare i figli, la bibliotecaria interrogando un medico si sente rispondere che in società primitive gli uomini erano soliti allattare i bambini, trovando però assurda questa ipotesi; l’alternativa di Erasmus, che “l’uomo con tutti gli altri animali furono in origine ermafroditi durante l’infanzia del mondo, e nel corso del tempo si separarono in maschio e femmina”, è ciò che anche la bibliotecaria ha in mente quando chiede a Gould “Può dirmi se in passato ci fu solo un sesso?”.

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Collegialità e multicontestualità della scienza

Non soltanto domande e risposte, ma anche critiche accese fanno parte dell’interazione di Gould con i lettori. Uno dei saggi di cui qui parleremo (PILT80) è anche uno degli esempi più calzanti di ciò: quando Gould lo pubblicò su Natural History nell’agosto 1980…

…sapevo bene che cosa sarebbe accaduto. Non sono mai stato così sicuro della prontezza di una reazione da quel triplo glorioso con cui, in un pomeriggio di sole del 1950, segnai la vittoria della mia squadra in una partita di stickball (nel mio cortile adibito a campo di stickball, per fare un punto con una sola battuta si doveva raggiungere il palazzo di fronte, ma per fare un triplo si dovevano superare con la palla le finestre del terzo piano) (PILT83, p. 229).

Qui, tra parentesi, vediamo anche balenare l’enorme passione di Gould per baseball e sport affini, che però non avremo tempo di toccare. La cronologia complessiva del dibattito di cui stiamo parlando è questa:

- 1979: primo saggio di Gould sull’argomento (PILT79), seguito da una “valanga di lettere” (cf. PILT79, poscritto, p. 111);

- agosto 1980: saggio in questione (PILT80), poi, per alcuni mesi, prima ondata di critiche senza però l’aggiunta di informazioni nuove;

- giugno 1981: su Natural History vengono pubblicate le tre lettere giudicate più interessanti con una risposta di Gould (che però orgogliosamente sostiene di averle anticipate quasi completamente in PILT80);

- a seguire, seconda ondata di critiche con apporto di informazioni nuove;

- 1983: ristampa del saggio PILT80 volutamente non rivisto, soltanto con l’aggiunta di note correttive delle informazioni scorrette, in Hen’s Teeth and Horse’s Toes, insieme a un intero capitolo di “Risposta ai critici” (PILT83).

Nel rapporto con i suoi critici, Gould sembra sforzarsi di somigliare a Darwin che, insieme a Joe Di Maggio e al proprio padre, è il suo eroe, e che scrisse il famoso capitolo “Difficoltà della teoria” nella VI edizione dell’Origine (1872) per rispondere ai problemi posti dai critici.

Tanto nei racconti autobiografici quanto in quelli biografici, Stephen Jay Gould era tra quegli autori capaci di narrare la scienza come dinamica sociale, con un gusto misurato per il “backstage” e per la multicontestualità dell’attività scientifica. Le pubblicazioni scientifiche non coincidono con ciò che gli scienziati sanno. Gli scienziati sanno molto di più, e sanno molto di meno. Le convinzioni degli scienziati vanno al di là di quello che scrivono nei paper, e questo emerge nei corridoi, negli scambi informali, e nelle lettere (oggi le email?). Racconta Gould di aver chiesto notizie ai colleghi, nel corso di molti anni, sulla “frode di Piltdown” di cui parleremo:

…pochissimi credevano al racconto ufficiale […]. Notai, in particolare, che vari fra gli uomini che ammiro di più sospettavano di Teilhard [de Chardin], non tanto sulla base di prove solide […], quanto sulla base di un sentimento intuitivo su quest’uomo che essi conoscevano bene, che amavano e rispettavano, ma che sembrava nascondere, dietro una facciata di pietà, passione, mistero e buon umore (PILT79, p. 209).

E sono molte le consultazioni tra colleghi raccontate da Gould, compresi i consigli saggi di colleghi più anziani, le anticipazioni incredibili, le parole che fanno riflettere e vengono rivalutate a lungo termine:

Ricordo bene una cosa che mi disse Francis Crick [!] molti anni fa, quando avevo una forte tendenza funzionalistica [!]. Egli osservò, in risposta a una storia che avevo alacremente inventato per spiegare il significato del DNA ripetitivo: “Perché voi evoluzionisti cercate sempre di accertare il valore di qualche cosa prima ancora di sapere come è fatta?” […] Oggi però sono convinto che […] dobbiamo prima di tutto studiare il “come” per poter sapere se dobbiamo o no chiederci anche il “perché” (CMGC91, p. 138).

Investigando in questo mondo della scienza come attività di uomini e donne (ora che ci penso: poche in realtà!), Gould cerca di raccontare l’umanità della scienza, emozionando ed emozionandosi:

Io mi rallegro sempre quando scopro – e la cosa non è così rara come immaginano molte persone – che un grande pensatore è anche un essere umano esemplare (PILT80, p. 210).

Scrive ciò di un suo collega di Oxford, Kenneth Oakley, che si era recato a visitare per esaminare lettere originali di Teilhard de Chardin. Ne parleremo tra breve.

Riflessioni sulla natura umana

A Gould piaceva accostare personaggi in maniera inedita. Il collegamento non ha sempre la profondità di quello tra Erasmus Darwin e la bibliotecaria: sovente l’associazione di idee appare arbitraria (perché proprio questi due?), e non è rara una carica enfatica come quando, per coincidenza di nome con Erasmus Darwin, Gould cita un certo Desiderio Erasmo, “il più grande fra tutti gli studiosi del Rinascimento”, dal quale (1508) trae un paio di proverbi per chiudere il saggio. Uno che ricordo sempre è “la volpe ne sa tante, una il riccio, importante” (CMGC91, p. 139).

La natura umana è un altro grande protagonista delle Riflessioni di storia naturale.
Gould riflette su di essa continuamente, in modo introspettivo o osservativo, accompagnando queste sue riflessioni all’arte, altra sua grande passione. Soprattutto poesia e architettura, ma anche narrativa, pittura, scultura. Nei cinque saggi “migliori” abbiamo ad esempio il tema della maldicenza, intesa come tendenza ad attribuire la colpe a singoli individui, e anche viceversa quello della passione per le cospirazioni, il tutto condito con Il barbiere di Siviglia di Rossini (PILT80, pp. 203-4). “Nulla è più affascinante di un antico mistero” (PILT79, p. 99). Abbiamo anche il tema della verità, affrontato in modi originali:

Il pregio principale della verità, a prescindere dal suo valore etico (che io ritengo considerevole) consiste nel fatto che essa rappresenta una guida infallibile per poter raccontare una storia che regga [si noti la doppia lettura possibile, riguardante l’attività scientifica come ricerca della verità e come attività narrativa]. Il problema quando si mente è che, man mano che la storia si fa complessa o i ricordi confusi, diventa molto difficile ricordare tutti i particolari del racconto che si è inventato. […] Sir Walter Scott disse una cosa sacrosanta quando scrisse il famoso distico: Oh, what a tangled web we weave, / When we first practice to deceive!

E perché non dedicare un inno alla concisione (ORN91, p. 31), citando Shakespeare, il telegrafo, un capitano britannico alla conquista dell’India, per arrivare al famoso telegramma di W. H. Caldwell sull’ornitorinco “Monotremes oviparous, ovum meroblastic” (1884)?

Altrove, in un libro come Intelligenza e pregiudizio, Gould riflette sulla natura umana come oggetto di studio scientifico – o meglio come oggetto costruito dalla scienza, e come idea che dà forma alla scienza stessa, in un circolo parziamente aperto di influenza reciproca. Invece la riflessione sulla natura umana che Gould semina nelle Riflessioni è come l’arte stessa: non organica, probabilmente contradittoria in se stessa (ci piace trovare un singolo colpevole oppure ci piacciono le congiure?, cf. PILT80), evocativa, suggestiva.



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