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La diplomazia in 140 caratteri

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"Le coppie dello stesso sesso dovrebbe essere in grado di sposarsi". Il famoso tweet inviato nel maggio 2012 dal team che cura la campagna elettorale di Barack Obama è stato ri-twittato oltre 60mila volte sino a oggi. Il presidente americano scrive i suoi micromessaggi raramente, ma il suo account ha 18 milioni di followers, rendendolo il leader mondiale più seguito. Si tratta di un bel capitale su cui puntare in previsione delle elezioni presidenziali del 6 novembre 2012. Sul web lo scontro per la Casa Bianca sembra già segnato. Mitt Romney, il candidato repubblicano, ha solo 800mila sostenitori sul sito di microblogging.

Lo studio Twiplomacy, condotto dalla società di comunicazione Burson-Marsteller su 264 account gestiti dai capi di Stato e di governo, o dai loro staff, mostra come Twitter sia diventato un ottimo strumento per colmare il vuoto di comunicazione tra i cittadini e i politici. I leader hanno inviato complessivamente più di 350mila cinguettii e sono seguiti da quasi 52 milioni di persone.

Sedici capi di Stato del G-20 usano continuamente Twitter come nuovo strumento comunicativo e diplomatico, in attesa che anche Cina, Arabia Saudita, Indonesia e Italia ne capiscano l'utilità. Le lingue più usate sono l'inglese e lo spagnolo, seguite dal francese e dall'arabo.

Per quanto riguarda l'interazione con il pubblico, i più attivi sono il venezuelano Hugo Chavez, l'ugandese Amama Mbabazi e il ruandese Paul Kagame. I leader, in ogni caso, comunicano poco tra loro. Un terzo non segue gli account dei propri colleghi e molti non ricevono alcun aggiornamento.

L'Italia non appare tra i 125 Paesi esaminati da Burson-Marsteller. Il presidente Giorgio Napolitano e il premier Mario Monti non utilizzano un account Twitter. Una simile scelta è stata fatta anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Altri politici, come i presidenti Dilma Rousseff (Brasile) e François Hollande (Francia), hanno invece abbandonato i loro account dopo la fine delle rispettive campagne elettorali.

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La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.