Ciò che un tempo era eccezionale ora è normale. Bill McKibben, fondatore di 350.org e scienziato-attivista sul cambiamento climatico, mette in fila una serie impressionante di segnali meteo che indicano come la tendenza al riscaldamento globale e ai connessi eventi estremi sia ormai la “nuova normalità”. Il 2012 promette di battere ogni record di siccità, ondate di calore e squilibri climatici del secolo, superando probabilmente il 2003 (anno delle micidiale ondata di calore che ha reclamato 70mila morti in più solo in Europa), il 2007 e il 2010.
Che sia questo il nuovo annus horribilis? I conti sono presto fatti. Il secco che ha investito parte dell'Europa, Russia, India e Stati Uniti ha provocato raccolti di grano stentati, che anno fatto schizzare il prezzo delle derrate agricole a +12% e indotto il governo russo a considerare il fermo delle esportazioni di grano. Il Polo Nord ha conosciuto quest'anno una diminuzione estiva dei ghiacci superiore a quella “eccezionale” del 2007. In Groenlandia a luglio il rivestimento di ghiaccio ha conosciuto i suoi minimi storici; l'ARPA Emilia Romagna ha prontamente documentato già a fine agosto una penuria record di precipitazioni che ha fatto abbassare il livello delle falde sotto i 3 metri, lasciando a secco le radici delle piante. Inevitabili gli incendi devastanti ovunque sopra la media. Altrove, come da copione, il maglio del cambiamento climatico ha colpito in senso opposto: in Inghilterra l'estate è stata praticamente annegata da piogge continue, mentre la Cina ha registrato inondazioni devastanti. Non è insomma questione di secco o umido, ma di estremi che aumentano in un senso o nell'altro, mettendo a dura prova coste, città, agricoltura e la salute delle persone. Come spiega il climatologo James Hansen nel suo ultimo lavoro uscito in agosto su PNAS, “nelle estati in cui eravamo ragazzi noi le zone della Terra che registravano eccessi di caldo erano fra lo 0,1 e lo 0,2%, ora ci stiamo avvicinando al 10%”.
Ragione quindi per non demordere nelle poltiche di mitigazione, trovando per il futuro un nuovo accordo post Kyoto che ponga obiettivi più ambiziosi di riduzione dei gas serra. E per mettere mano all'altro corno della politica anti-clima, quello dell'adattamento alla nuova normalità meteo, fatta di ondate di calore, siccità, alluvioni e difesa delle coste dal graduale innalzamento del mare. Il punto sulle misure di adattamento messe in campo in Europa è stato fatto dal nuovo Rapporto dell'Agenzia Europea dell'Ambiente. Poche le novità dall'Italia, molte invece dal Nord Europa e dalla Gran Bretagna, dove città grandi e piccole si stanno attrezzando per convivere con le bizze del clima da qui a fine secolo. Così Londra si prepara alle maree anomale che devasterebbero la città risalendo lungo il Tamigi ripensando le già avveneristiche barriere poste a guardia del fiume. Visto che dopo il 2030 non è detto che ce la facciano da sole, è in studio un sistema di nuove zone di inondazione ai fianchi del Tamigi. Anche in Olanda sta cambiando l'approccio per “fermare il mare” arretrando le dighe a difesa dei terreni bassi retrostanti con una nuova pianificazione del territorio che lasci più spazio all'acqua come sfogo per le inondazioni. In questo modo si guadagna anche spazio per parchi e nuove zone ricreative per la popolazione.
Stoccarda (seguita a ruota da Berlino, Malmo e Kobe in Giappone) realizza il primo Atlante climatico locale in base al quale pianifica la città in modo da combattere la cosiddetta “isola di calore” (che può arrivare a determinare fino a 10 gradi in più rispetto alla campagna) creando corridoi verdi per il passaggio dei venti. Obiettivo delle città più a rischio caldo è infatti quello di raddoppiare le superfici verdi, fonte di ombreggiatura e raffrescamento naturale delle città. Il verde tiene anche più umido il terreno e combatte l'evaporazione dell'acqua sempre più scarsa. Bisognerà non impermeabilizzare più il suolo, fermare l'urbanizzazione e “costruire sul costruito”. E' importante quindi che soprattutto le città lavorino con la natura e non contro di essa: sono ancora importanti strade, dighe, edilizia passiva a basso consumo energetico, sistemi di alleggerimento delle fognature con sistemi separati di drenaggio (e raccolta) dell'acqua piovana. Ma ancora di più nei decenni a venire sarà strategico imparare a costruire parchi con specie resistenti alla siccità, rinaturalizzare fiumi e canali così da imbrigliare la furia delle acque durante le alluvioni, disegnare le città favorendo la libera circolazione dei venti...
In una parola, riprendere il governo capillare del territorio. Qualcosa di simile – ma con ben altri mezzi – di ciò che faceva per esempio la Repubblica dei Dogi a Venezia secoli fa a difesa della Laguna e che adesso non fa più nessuno. Che sia anche questa l'”ideona” per la crescita che va tanto cercando il governo Monti?
Tratto da: L'Espresso