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Rilancio della ricerca in Italia, da dove cominciare

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Vogliamo insistere sulle considerazioni generali del nostro precedente appello, dato che molti di voi lo hanno letto e che i più coinvolti hanno anche sottoscritto. Ci sembra ora il momento di mettere a punto una riflessione su problemi molto concreti che nascono da un disagio che, negli anni, è andato via via lievitando per scarsa comprensione dei meccanismi di funzionamento dell’ambiente della ricerca, oltre che per negligenza.

La ricerca italiana, sia di base che tecnologica, che pure ha avuto punte di grande risonanza internazionale per buona parte del XX secolo e negli anni della ricostruzione postbellica, ha “subìto” nell’ultimo ventennio un progressivo calo dell’attenzione politica. Di questo hanno sofferto sia i programmi che i ricercatori e anche gli studenti, in parte non trascurabile per la diminuzione delle risorse ad essi destinate sia negli investimenti pubblici che in quelli privati, in parte anche per la sofferta e arbitraria diminuzione delle opportunità di lavoro, con conseguente emigrazione verso amministrazioni estere più sensibili ai veri motori dello sviluppo culturale ed economico; e bisogna riflettere al fatto che la “fuga dei cervelli” è una esportazione gratuita che grava però sui nostri bilanci per centinaia di migliaia di euro/cervello. La stessa cultura diffusa del paese ne ha ricevuto un contraccolpo con effetto negativo di subordinazione alle dinamiche del mercato estero nelle scelte riguardanti il welfare.

Non ci sembra eccessivo, perciò, valutare la situazione come molto grave e, nel panorama politico attuale, suscettibile di cambiamenti positivi, giudicare i provvedimenti sinora “subìti” sia emarginanti che marginali. L’errore di prospettiva creato dal recente passato è enorme e può valere quanto una recessione nella più generale crisi economica mondiale. Il sistema della ricerca, sia quello pubblico con Università ed Enti che quello privato con i (rari!) Laboratori Industriali, soffre di mali che risalgono anche a diverse carenze pregresse e non tempestivamente corrette dalla gestione centrale: conviene che la politica se ne occupi appena possibile e, già da ora, le metta in discussione. Proviamo perciò a tracciare un indice programmatico sommario, dichiarandoci però disponibili e pronti a collaborare con chi voglia trasformarlo in proposte esplicite di provvedimenti legislativi quando un parlamento consapevole ne offra la possibilità.
Dando per scontato che un obiettivo sia quello di raggiungere investimenti confrontabili con quelli pubblici e privati dei più avanzati paesi europei, eventualmente recuperandoli da spese impopolari (come quelle militari, o alla chiesa cattolica o quelle della lauta gestione di organismi politici centrali e locali) di cui buona parte degli italiani ha avuto modo di percepire il peso, sarà anche opportuno riflettere sugli eccessi dell’apparato burocratico, per snellire molti impacci normativi pur nel rispetto dei controlli di spesa.

Un primo punto riguarda l’assoluta necessità di stabilire un rapporto collaborativo con la comunità confindustriale per concordare con gli imprenditori la reciproca convenienza di specifici investimenti e dell’apertura alle competenze specialistiche nelle funzioni dirigenti: è ormai provato, nei paesi avanzati, che le ricadute della ricerca di base sui prodotti innovativi fanno spesso miracoli.

Un secondo punto riguarda una riforma qualitativa degli insegnamenti scolastici (e dell’adeguamento delle retribuzioni ai docenti) che consenta l’anticipo consapevole di scelte disciplinari opzionali già nell’arco preuniversitario, rinunciando a ostinati enciclopedismi ormai impossibili. Così pure quanto riguarda l’assegnazione e lo svolgimento di tesi di ricerca dovrebbe essere aperto, oltre che agli Enti Pubblici, anche alla ricerca industriale, mediante convenzioni qualificate approvate dagli organismi accademici  preposti alla formazione.

Un terzo punto riguarda la possibilità di immettere a pieno titolo in attività di ricerca i laureati di secondo livello; il che implica una revisione del dottorato dall’attuale funzione di prosecuzione degli studi a una funzione di ricercatore senza obiettivi routinari come lo svolgimento di una tesi ma con l’obiettivo di acquisire titoli con pubblicazioni scientifiche individuali o di gruppo. Questo forse consentirebbe, dopo un breve periodo di godimento di borse, l’immissione per titoli in un ruolo di ricercatore a tempo indeterminato; in alcuni casi, una vera carriera di capaci e meritevoli potrebbe avere inizio già a 26-27 anni e non alle soglie dei 40 anni come ora accade. I consigli di Dipartimento dovrebbero organizzare collegi di docenti affidabili a cui devolvere il tutoraggio dei neolaureati in questo periodo post laurea sia in gruppi che in collaborazioni con singoli docenti. I titoli acquisiti dal ricercatore sarebbero utilizzati per l’accesso all’ordinariato senza l’inutile parcheggio nel ruolo di associato. Il vantaggio di trasferire le responsabilità a persone qualificate più giovani di quanto non lo siano oggi con la normativa vigente è senza dubbio un progresso.

In vista della programmazione di un rilancio della ricerca, gli aspiranti parlamentari dovrebbero, pur non entrando necessariamente nel merito dei contenuti disciplinari, disporre della documentazione storica di come la cultura e la scienza hanno cambiato le sorti del’umanità. Nella nota [1] abbiamo indicato sommariamente due riferimenti utili a capire la passata presenza e il ruolo degli scienziati italiani nel mondo; pensiamo che questa rappresentazione del passato sia purtroppo un elemento dell’ignoranza diffusa che ostacola le azioni positive di ripresa economica e sociale: questa proposta, apparentemente stravagante ed eccessiva, corrisponderebbe in realtà a fare cultura anche nell’attività politica, ricorrendo a fatti di grande interesse pubblico e non solo a riferimenti ideologici.

 

Riferimenti:
[1] Cf. p.es,: Angelo Guerraggio, Pietro Nastasi,L’Italia degli scienziati, B.Mondadori, 2010; AA.VV. Scienziati d’Italia, Codice 2011


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