Trent’anni fa usciva su Nature il primo articolo sugli Ogm. A
tre decenni di distanza gli organismi geneticamente modificati sono ancora al
centro del dibattito pubblico, particolarmente in Europa che, a differenza
degli Stati Uniti, si mantiene su posizioni scettiche. L’Italia, da parte sua, proprio oggi ha ribadito di nuovo una
posizione contraria agli Ogm, e ora si sta parlando di un decreto anti-OGM.
In questi giorni si è parlato anche di clausola di
salvaguardia, prevista a livello europeo dal testo di riferimento in materia
di OGM, cioè la direttiva 2001/18/CE, che si occupa sia degli aspetti legati
all’impatto ambientale degli organismi geneticamente modificati, sia di quelli
commerciali. L’articolo 23 prevede appunto che i singoli Stati possano
sospendere la coltivazione di un OGM sul loro territorio, mentre ne è permessa
l’importazione.
Come è noto, in Italia è vietat anche la sperimentazione in campo degli OGM, stabilito da un
provvedimento dell’allora ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, che nel 2001
vietò qualunque sperimentazione in campo agrobiologico. Vana la protesta dei
maggiori scienziati italiani (in primis Rita
Levi Montalcini e Renato Dulbecco), che accusarono il ministro di utilizzare i
finanziamenti per la ricerca e la sperimentazione in campo agricolo come uno
strumento per imprimere una svolta repressiva alla ricerca pubblica. La situazione peggiorò ulteriormente all’arrivo del
successore di Pecoraro Scanio, Gianni Alemanno, che nel 2002 sospese tutte le
sperimentazioni in campo aperto che erano in corso negli istituti che dipendevano
dal Ministero delle Politiche Agricole.
Il provvedimento ha toccato da vicino anche Eddo Rugini,
ricercatore alla facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia (Viterbo) che dal 1999
coltivava – con regolare autorizzazione del Ministero – piante transgeniche di
olive, kiwi e ciliegie. L'estate scorsa, però, il suo lavoro è stato bloccato e i risultati delle sperimentazioni cancellati, letteralmente.
Michela Perrone
La ricerca tagliata con le ruspe : intervista a Eddo Rugini
Eddo Rugini da 30 anni studia le piante geneticamente modificate. Non avendo ottenuto la proroga da lui richiesta per giungere a risultati apprezzabili, il 12 giugno 2012 è stato costretto ad assistere, impotente, alla distruzione delle coltivazioni a cui aveva dedicato metà della sua vita: il lavoro di oltre 30 anni di ricerca scomparso sotto le ruspe mandate dal Ministero dell'Ambiente.
Per quale motivo il Ministero dell'Ambiente l’ha costretta a distruggere le sue coltivazioni?
E.R. Le motivazioni sono state essenzialmente due: la Regione Lazio non aveva ancora individuato i siti di sperimentazione per le piante geneticamente modificate nel proprio territorio e il Mipaaf (il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ndr) non aveva approvato i protocolli di sperimentazione. Sarebbero bastati pochi mesi di proroga per portare a termine la complessa ricerca che stavamo conducendo a Viterbo, quindi fornire alla comunità scientifica risultati originali e dare anche la possibilità a giovani ricercatori precari di continuare a lavorare.
Perché, secondo lei, la Fondazione Diritti Genetici ha intimato alla Regione Lazio e ai Ministeri della Sanità e dell'Ambiente di imporvi l'autodistruzione? C'erano stati dei trascorsi?
Non conosco questa fondazione, so che è una fondazione privata e che in passato il suo presidente (Mario Capanna, ndr) ha cercato di fondare un’istituzione di ricerca nel Lazio utilizzando la tecnica Mas (Marker assisted selection, ndr), invece di quella del Dna ricombinante. Ovviamente le due tecniche non sono una alternativa all’altra: la prima serve per individuare la variabilità genetica, la seconda per crearla.
Come ricorda quel 12 giugno 2012?
Lo ricordo come il giorno più nero della mia vita lavorativa. Ho pensato alla mancanza di autorevolezza dei ministri, che pur di mantenere una poltrona sono disposti anche a sorvolare su valori importanti, a calpestare giovani studenti e ricercatori che si interessano alle biotecnologie. Ho pensato che l’Italia ha perso un’altra opportunità di sviluppo. Ho pensato agli agricoltori che non possono avvantaggiarsi economicamente delle innovazioni della ricerca. Ho pensato a una possibile infiltrazione di Ogm sul mercato alimentare italiano e al fatto che non saremmo in grado di accorgercene per la mancanza di aggiornamenti scientifici. Ho pensato all’illusione di combattere lo strapotere delle multinazionali con il blocco delle coltivazioni, con il blocco della ricerca pubblica, con menzogne sulla presunta scarsa qualità.
Per lei è stato come rivivere l'episodio del 2002, quando un gruppo di No global ha distrutto la vostra piantagione di fragole? O forse è stato ancora peggio?
È stato peggio. Allora quelle persone erano dei giovani che forse avevano voglia di dimostrare qualcosa, nutrivano rabbia. A quell’età non si riflette sull’importanza della ricerca per il progresso, per la conoscenza. Pensavo che quella bravata fosse una dimostrazione per manifestare la loro avversione per le multinazionali e la globalizzazione. Avevo persino chiesto di parlare con loro dopo la battaglia con la polizia, ma la Digos - giustamente - me lo ha impedito. Questa volta ho visto la cattiveria di alcuni funzionari. Si può capire l’avversione alla coltivazione degli Ogm, anche sotto il profilo ideologico, ma non si possono comprendere le ragioni che comportano il blocco della ricerca e la distruzione di una sperimentazione pubblica così utile e complessa.
Quale insegnamento ha tratto da questa esperienza?
Per un momento mi sono pentito di non aver pensato a me stesso e alla mia famiglia, rifiutando le lusinghiere offerte di lavoro all’estero, ma passato questo momento è tornato l'orgoglio di essere cittadino italiano e di aver lavorato per il mio Paese. L’orgoglio di aver contribuito a gettare le basi per una nuova tecnologia che potrebbe, in futuro, semplificare il lavoro e ridurre i tempi per il miglioramento genetico delle specie arboree. Sono anche orgoglioso di non aver disobbedito alle autorità: avrei potuto farlo. Invece ho scelto la via della comunicazione per controbattere, armato di dati sperimentali e pazienza, i tanti cialtroni e i disonesti che ben conoscono l’arte del convincimento.
Elena Baldi
Perché in Italia è
impossibile fare ricerca sulle piante Ogm
Se uno studente italiano di biotecnologia avesse il
desiderio di fare ricerca sugli Ogm in ambito agricolo, probabilmente gli
basterebbe conoscere le vicissitudini di Eddo Rugini, per convincersi a rinunciare. Da trent’anni Rugini conduce ricerche su piante arboree – compresi
ulivi, kiwi, ciliegi e peri - modificandole geneticamente per renderle più
resistenti ad avversità naturali come siccità, freddo o agenti patogeni, così
da poter ridurre l’utilizzo di pesticidi e prodotti chimici.
Gli ostacoli che Rugini ha dovuto affrontare nel suo lavoro sono
molteplici (vededendo vanificare, in conclusione, decenni di lavoro) e la situazione in Italia, sostiene lo studioso, negli anni è
peggiorata. Rugini ne è talmente amareggiato che si ripromette di restituire - in
segno di protesta - l’onorificenza di Commendatore Ordine al Merito della
Repubblica Italiana conferitagli nel 2007 dal Presidente della Repubblica per meriti
scientifici. Quali sono i fattori che hanno reso così difficile portare avanti
questo tipo di ricerche?
Primo ostacolo: le leggi italiane che, di fatto, oggi proibiscono
la ricerca sugli Ogm in ambito agricolo perché non consentono di effettuare la
sperimentazione in campo aperto, un passaggio necessario per testarne le
proprietà dopo gli studi in laboratorio.
Secondo ostacolo: l’impopolarità che continua
a suscitare il termine “Ogm” riferita a prodotti agricoli, nonostante non
esistano, di fatto, prove scientifiche che dimostrino che cibarsi di organismi
geneticamente modificati sia dannoso per la salute.
Terzo ostacolo: fare
ricerca su piante Ogm richiede tempi estremamente lunghi – anche decenni – ed è
quindi molto costoso. Se questo non bastasse, si può aggiungere che persino
brevettare i risultati, in Italia, è un processo così lungo e costoso che
spesso l’università pubblica non se lo può permettere, e finisce col cedere i
propri risultati alle multinazionali. Le multinazionali restano così, di fatto,
le sole a poter sostenere i costi e i tempi di questo tipo di ricerca, e questa
è un’altra delle cause dell’impopolarità degli Ogm. A Rugini, l’associazione Ogm-multinazionali
è costata la distruzione delle sue fragole transgeniche da parte di un gruppo No Global.
Al di là delle multinazionali, l’uso degli Ogm in
agricoltura ha potenzialità enormi, con risvolti di sostenibilità che, se più
noti, potrebbero far vacillare le certezze dei No Global. Ne è un
segno tangibile l’idea dello stesso Rugini, che purtroppo non ha potuto concretizzare
a causa della distruzione della sperimentazione di campo, di usare ulivi Ogm
resistenti alle basse temperature anche in aree tradizionali, al fine di
ovviare ai sempre più ricorrenti forti abbassamenti di temperatura invernali
o in aree di nuova introduzione (alte montagne del Nepal, per esempio). Così come per il
kiwi, specie notoriamente esigente in termini di acqua, l'idea è quella di usare quelli
modificati per la resistenza a siccità in luoghi ove la disponibilità idrica risulta limitata. D’altra parte l’agricoltura ha sempre fatto ricorso a metodi
di miglioramento genetico per rendere le piante più produttive, dall’innesto
agli incroci programmati, alle radiazioni per indurre mutazioni genetiche degli
anni ’60; e in natura batteri e virus, inducendo mutazioni, producono “Ogm
naturali”. Lo sviluppo di piante Ogm potrebbe ad esempio limitare l’uso dei
pesticidi e degli erbicidi - questi sì certamente dannosi per la salute e per
l’ambiente – nonché degli ormoni e degli integratori che oggi vengono normalmente
impiegati in agricoltura. La ricerca sugli Ogm può migliorare sia la
produttività delle piante che le proprietà organolettiche dei prodotti agricoli.
In un futuro non lontano potrebbe anche consentire di ottenere piante con
proprietà nutrizionali complete, che renderebbero più agevole il passaggio a
una dieta vegetariana, con enormi vantaggi per il pianeta sia in termini di
consumo di risorse e di suolo che in termini di inquinamento, grazie alla
limitazione dell’emissione di gas serra e di liquami prodotti dagli allevamenti
intensivi. Inoltre la ricerca su piante Ogm potrebbe avere importanti
ricadute sulla produzione di biocarburanti più efficienti o di estratti per uso
farmaceutico. “Anche in agricoltura servono ricerca, innovazione e
formazione”, dice Rugini.
Valentina Tudisca
i campi ogm della tuscia
timeline a cura di Michele Bellone