fbpx Fukushima: radiazioni e dubbi nucleari in aumento | Scienza in rete

Fukushima: radiazioni e dubbi nucleari in aumento

Read time: 2 mins

Non si ferma la fuga di radiazioni dallo stabilimento di Fukushima.  Dal 22 agosto, infatti, il livello record di inquinamento nucleare è aumentato di circa 18 volte (1800 millisievert all'ora a fronte del limite di 50 stabilito dalla legislazione giapponese per la tutela dei soli operatori delle centrali). Si tratta di una quantità incontrollabile, in grado di uccidere nel giro di quattro ore chiunque ne sia esposto. Dopo l'annuncio di un suo intervento più diretto, il governo giapponese ora mette sul tavolo le cifre, confermando un suo appoggio a TEPCO: circa 500 milioni di dollari per la bonifica, compresa una quota destinata alla costruzione di una barriera di ghiaccio in grado di arginare le perdite di acqua radioattiva e la contaminazione dell'oceano.
Le previsioni sui tempi non riescono tuttavia a supportare queste intenzioni di recupero dell'area: l'effetto di contaminazione delle acque, infatti,  continuerà inevitabilmente fino a quando non si fermerà il flusso di acqua sotterranea (ci potrebbero volere addirittura degli anni).  La persistenza di questa dispersione rappresenta il principale ostacolo a un'operazione di bonifica, come ricordato da Ken O. Buessele del Woods Hole Oceanografic Institution al NyTimes, oltre al fatto che il 'muro di ghiaccio' pensato per frenare le radiazioni sarebbe comunque una soluzione temporanea, oltretutto non sicura dal punto di vista tecnologico (per via del rischio di black out nella centrale).

Intanto, sono emersi altri particolari che confermano l'origine dei problemi di gestione della centrale: responsabilità umane con un'organizzazione grossolana anche nel caso delle cisterne d'acqua. Le responsabilità sono ancora nelle stesse mani e il dubbio che rimane sospeso, quindi, riguarda l'effettiva capacità di governo e TEPCO nell'affrontare questa situazione, nonostante i proclami e i programmi di intervento.
Non c'è ancora, insomma, la chiarezza richiesta per stabilire le conseguenze del disastro e le effettive possibilità di riparare. C'è chi si chiede se l'intervento del governo pro-nucleare sia solo una mossa diplomatica per non tagliare fuori il Giappone dalla rosa di candidati del comitato olimpico per la sede dei giochi del 2020. E chi, proprio in questi giorni, chiede che ci sia  trasparenza circa gli effetti sulla salute dell'incidente, soprattutto per ciò che riguarda gli effetti sulla qualità della vita degli abitati dell'area colpita (un gruppo di scienziati ed esperti che ha pubblicato una lettera per scongiurare il pericolo degli effetti del panico, oltre a quello delle radiazioni). Opinione non condivisa dallo Science Council of Japan, un gruppo di circa 2000 academici nipponici i quali sostengono, invece, che ignorare la necessità di evacuazione significa solo aggirare le responsabilità.

Autori: 
Sezioni: 
Nucleare

prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: “Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.