Per affrontare il futuro occorre sempre più che si tessano relazioni tra le varie discipline e prendere atto che la sanità è insieme umana, animale e ambientale. Perché questo accada sono fondamentali la condivisione di dati e un sistema di governance chiaro.
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Alfred North Whitehead, uno dei massimi esponenti della storia delle scienze, noto per i Principia Mathematica, un’opera fondamentale di logica, scritta assieme a Bertrand Russel, nella fase più matura della sua vita, sentì il bisogno di riconciliare le cosiddette scienze esatte con la cultura umanistica, considerata il caposaldo della civiltà.
Per questo, oltre che un illustre matematico, egli fu filosofo ed epistemologo. Nella sua opera «La scienza e il mondo moderno», del lontano 19261, ma con il sapore di grande attualità, Whitehead sostiene che «la formazione di professionisti nelle specializzazioni del sapere aumenta la somma delle conoscenze negli specifici campi, ma tale successo condiziona negativamente la sfera delle conoscenze».
Whitehead riteneva che la specializzazione «presenta pericoli» in quanto «produce menti unidirezionali». Il sapere efficiente è sapere specializzato, appoggiato da una ristretta conoscenza di materie utili e a esso subordinate. Tuttavia, ciò che più emerge nella riflessione del grande matematico sono le insidie derivanti dalla specializzazione che si ripercuotono e si amplificano nelle nostre società democratiche. Tale per cui «La forza ordinatrice della ragione è indebolita. Le menti difettano di equilibrio»; si acquisisce una visione riduttiva e parziale, perdendo di vista la complessità delle circostanze. Allora – precisa lo scienziato – «il compito di coordinare è lasciato a coloro che mancano della forza o delle qualità per riuscire in qualche carriera specifica».
Su tema, l’illustre sociologo e filosofo contemporaneo Edgar Morin2 sostiene che l’appropriazione della conoscenza su un numero crescente di problemi vitali, da parte di esperti e specialisti, ha creato un «deficit di democrazia, l’indebolimento della percezione globale e del senso di responsabilità» e «più la politica diventa tecnica, più la competenza democratica regredisce». «Così, mentre l’esperto perde la capacità di concepire il globale e il fondamentale, il cittadino perde il diritto alla conoscenza». Nella società post-moderna – prosegue Morin – i cittadini sono condannati «all’accettazione ignorante delle decisioni di coloro che si ritiene sappiano, ma la cui intelligenza è miope, perché parcellizzata e astratta».
Tali considerazioni suonano come un ammonimento nei confronti degli esperti e specialisti contemporanei, come epidemiologi, clinici, virologi, immunologi, infettivologi, veterinari ed altri che si confrontano sulle pagine della letteratura scientifica e sul teatro mediatico adducendo interpretazioni e pareri sulla pandemia da Virus Sars-CoV-2 dissonanti e controproducenti che, invece di rassicurare i cittadini, alimentano la paura del contagio e le incertezze sul futuro.
José Ortega y Gasset, filosofo e sociologo, vissuto tra il XIX e il XX secolo, in una delle sue opere più suggestive3, sostiene che «Lo specialista conosce assai bene il suo ridottissimo angolo di universo; però ignora profondamente tutto il resto» … ma «la caccia scientifica non può assicurare il progresso della scienza. Perché la scienza necessita periodicamente, come organica regolazione del suo sviluppo, un lavoro di ricostituzione e questo richiede uno sforzo di riunificazione, ogni volta più difficile, che ricolleghi regioni più vaste del sapere».
Quest’ultima citazione si adatta perfettamente alle più recenti esigenze di regolazione dello sviluppo delle scienze mediche dove l’approccio One Health sarebbe in grado di alimentare una visione integrata e sistemica della salute, essenziale per fronteggiare i rischi che originano dall’interfaccia animale-uomo-ambiente, per la prevenzione e la gestione delle zoonosi e per la gestione delle pandemie come quella del Covid-19.
Ricordo che in un seminario tenutosi a Salisburgo del 2007, sul tema «Nuovo secolo, nuove sfide, nuovo dilemma: il nesso globale dell'animale e della salute pubblica4», fu evidenziato che i progressi su questioni emergenti come la risposta all'influenza pandemica e la sicurezza alimentare globale sono stati rallentati dalla mancanza di comunicazione e collaborazione tra diverse professioni sanitarie. Il seminario, pertanto, ha focalizzato l'attenzione sulla necessità di formare i professionisti della salute per pensare globalmente e facilitare approcci transdisciplinari al miglioramento della salute, che riuniscano operatori sanitari umani, animali e ambientali. I partecipanti hanno raggiunto il consenso sul fatto su questo nuovo gruppo di professionisti, denominato One Health, necessita di competenze professionali trasversali per integrare le conoscenze nelle loro aree di competenza.
Allora l'implementazione di un approccio One Health richiede uno sforzo di squadra che riunisce i professionisti che provengono da una varietà di discipline, tra cui la medicina umana, la medicina veterinaria, la salute degli ecosistemi e l'agricoltura. Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Organizzazione Mondiale per la Salute degli Animali e l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite hanno riconosciuto la loro condivisa responsabilità nell'utilizzare approcci One Health per affrontare una serie di complesse sfide globali.
D’altro canto nel dodicesimo meeting (Pyeongchang, Republic of Korea, 6-17 October 2014) la Conferenza delle Parti sulla Convenzione per la Biodiversità, ha approvato la decisione XII/215 che riconosce il valore dell'approccio One Health per affrontare la questione trasversale della biodiversità e della salute umana, come approccio integrato coerente con l'approccio ecosistemico che integra le complesse relazioni tra uomo, microrganismi, animali, piante, agricoltura, fauna selvatica e ambiente.
Malgrado le più recenti acquisizioni, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), nel 2018 ha pubblicato un technical report «Towards One Health preparedness»6 dove ha elencato diverse criticità, emerse in occasione di epidemie che poi si sono manifestate anche nella più recente pandemia COVID-19, «barriere» queste che hanno impedito lo sviluppo di una reale strategia One Health. Tra queste la mancata condivisione di dati tra i diversi settori, di un database comune dei dati di origine ambientale, animale e umana e di protocolli per la condivisione delle informazioni, in caso di situazioni emergenza; incertezze tra ruoli, responsabilità e punti di contatto, a livello di sanità umana, veterinaria ed ambientale; differenza di accettabilità di rischio in ambito di Salute Pubblica e Sanità Animale, diversità di finanziamento nei vari settori, questioni relative alla proprietà intellettuale di tecnologie o vaccini, l’assenza di un omogeneo sviluppo delle capacità professionali in ogni settore, ripercussioni sulle carriere individuali dei ricercatori.
Come ho documentato7 in altre occasioni la formazione e l’organizzazione della conoscenza, ancorate tuttora a un paradigma riduzionista, frantuma al centro in parti separate la ricerca scientifica e l’organizzazione delle strutture deputate alla gestione sanitaria e ambientale. D’altronde la pandemia ha messo in luce tutte le contraddizioni di una formazione professionale e di un’organizzazione disciplinare e specialistica che pretende di semplificare problemi complessi con soluzioni semplici. Il vaccino è l’esempio più eclatante malgrado le diverse formulazioni e le discordi dichiarazioni di efficacia. Pur tuttavia dobbiamo prendere atto che siamo di fronte a un disastroso evento sanitario che sta producendo milioni di morti e costi economici enormi, ancora da quantificare, che si sarebbero potuti evitare organizzando e facendo funzionare i sistemi di prevenzione primaria che, a loro volta, dovrebbero fondarsi su una visione sistemica e un approccio One Health che faccia leva su una nuova organizzazione delle istituzioni sanitarie e sociali e su una visione integrata e coerente degli obiettivi sanciti dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile.
In tal modo si potrà aspirare a una consapevolezza collettiva per favorire l’evoluzione di una democrazia cognitiva, possibile solo all’interno di una riorganizzazione della conoscenza, la quale come sostiene Morin, presuppone una «forma di pensiero volta non solo a separare per conoscere, ma anche a interconnettere ciò che è separato dal frazionamento delle discipline: l’essere umano, la natura, il cosmo, la realtà».