fbpx “What next”, ovvero la fisica dopo l’Higgs | Scienza in rete

“What next”, ovvero la fisica dopo l’Higgs

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

I fisici l’hanno già battezzata “depressione post-Higgs”. Stiamo parlando della reazione da parte della comunità scientifica alla sensazionale scoperta del bosone di Higgs, nell’estate del 2012. Reazione che apparentemente può sembrare paradossale: se il bosone di Higgs rappresenta l’ultima e definitiva pietra nel castello del modello standard delle particelle elementari, come si può parlare di ”depressione” in seguito alla sua scoperta?
“È quello che succede quando cerchi per tanto tempo una cosa e poi la trovi ed è esattamente come te l’aspettavi”, confessa Eilas Gross, uno dei fisici che ha lavorato all’esperimento ATLAS del Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra, che ha scoperto la particella di Higgs.

Se da una parte è senz’altro positivo che il bosone di Higgs abbia confermato in maniera inequivocabile il modello standard, dall’altra molti fisici sono rimasti un po’ delusi nel trovarlo (quasi) esattamente come se lo immaginavano. Nessuna sorpresa, niente di nuovo. Con il bosone di Higgs, così come è stato osservato, la Natura sembrava dire solamente: “Complimenti ragazzi, ottimo lavoro”. È un bel messaggio, intendiamoci: ma in fisica non vale il motto “no news is good news”.
Almeno non in questo caso. Il modello standard infatti, per quanto straordinario, non è la teoria ultima e definitiva. Secondo i dati dei cosmologi, esso può spiegare soltanto il 4% circa del contenuto di massa-energia dell’universo.
Del resto non abbiamo che vaghi indizi. Sappiamo per esempio che dovrebbe esistere una cosiddetta “energia oscura” che accelera l’espansione dell’universo: questa scoperta è valsa il Premio Nobel per la fisica nel 2011, ma non abbiamo la minima idea della natura di questo misterioso campo di energia.
Un altro “ingrediente segreto” del nostro universo non spiegabile dal modello standard è la materia oscura, che secondo molti sarebbe costituita di particelle previste da una particolare teoria chiamata supersimmetria.
Ma anche qui non abbiamo molto in mano, dal momento che ci si aspettava di osservare queste “particelle supersimmetriche” con LHC, ma a tutt’oggi non se ne è vista neanche l’ombra. Non parliamo poi della gravità, che non è nemmeno incorporata nel formalismo del modello standard.

Insomma, il modello standard non ci può bastare per dare una descrizione completa dell’universo. Serve qualcos’altro; e a questo scopo occorrono nuovi indizi, nuove piste, nuove tracce da seguire. Tracce, piste e indizi che sono completamente assenti nel bosone di Higgs “zero sorprese” osservato nel 2012. È per questo che alla scoperta del bosone di Higgs è seguita una fase di “depressione”: perché insieme a quella scoperta si sperava di ottenere anche qualche indicazione su cosa fare dopo.
Per risolvere il problema del “cosa fare dopo l’Higgs” l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha organizzato un workshop, tenutosi il 7 e 8 aprile scorsi a Roma, che ha chiamato per l’appunto “What next”.
Un workshop dallo spirito tutt’altro che tradizionale. Non immaginatevi un gruppo di fisici che diffondono i risultati e dipingono le prospettive future delle loro ricerche: pensate piuttosto ai migliori fisici nostrani (quelli targati INFN, almeno) che si riuniscono per domandarsi: “E adesso che cosa facciamo?”. Ovvero: in che direzione deve puntare la ricerca futura? Che cosa dobbiamo osservare? Che strategie è meglio adottare? Quali esperimenti conviene portare avanti, e a quali invece rinunciare? Se non scopriremo niente, come ci conviene comportarci?

Queste e altre domande sono state l’oggetto di “What next”. Naturalmente non sono domande a cui si può rispondere in un incontro di due giorni, per quanto fruttuoso. Il workshop del 7-8 aprile è stato infatti solo un primo passo: è prevista infatti, entro l’estate dell’anno prossimo, la stesura di un report collettivo che contenga delle risposte alle domande poste sopra, in particolare per quanto riguarda le strategie da adottare da parte dell’INFN.
Nel frattempo sono stati formati gruppi di lavoro su argomenti specifici, che spaziano dalla ricerca della materia oscura alla fisica dei neutrini, dalle onde gravitazionali alla radiazione cosmica di fondo, dalle misure di precisione negli acceleratori di particelle alla fisica oltre il modello standard. Sono argomenti straordinariamente interconnessi: questo farà sì che i vari gruppi di lavoro dovranno interagire intensamente tra loro, dando origine probabilmente a uno dei maggiori brainstorming collettivi della fisica italiana.

Oltre a rappresentare un esperimento molto interessante sulla comunicazione interna alla comunità scientifica (che non è passato inosservato nemmeno all’estero), “What next” ha anche un notevole valore strategico per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, in previsione della nuova accensione di LHC in “versione potenziata” che potrà raggiungere l’energia di 14 TeV. Gli esperimenti futuri potranno certamente aprire nuovi scenari teorici, e i nuovi test sperimentali potrebbero influire notevolmente sulle linee di ricerca future nei campi della fisica delle particelle e delle alte energie. Visto che c’è in gioco anche il futuro della fisica italiana, è meglio non farsi trovare impreparati.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.