I fisici l’hanno già
battezzata “depressione post-Higgs”. Stiamo parlando della reazione da parte
della comunità scientifica alla sensazionale scoperta del bosone di Higgs,
nell’estate del 2012. Reazione che apparentemente può sembrare paradossale: se
il bosone di Higgs rappresenta l’ultima e definitiva pietra nel castello del modello standard delle
particelle elementari, come si può parlare di ”depressione” in seguito alla sua
scoperta?
“È quello che succede quando cerchi per tanto tempo una cosa e poi la
trovi ed è esattamente come te l’aspettavi”, confessa Eilas Gross, uno dei
fisici che ha lavorato all’esperimento ATLAS del Large Hadron
Collider (LHC) di Ginevra, che ha scoperto la particella di Higgs.
Se da una parte è
senz’altro positivo che il bosone di Higgs abbia confermato in maniera
inequivocabile il modello standard, dall’altra molti fisici sono rimasti un po’
delusi nel trovarlo (quasi) esattamente come se lo immaginavano. Nessuna
sorpresa, niente di nuovo. Con il bosone di Higgs, così come è stato osservato,
la Natura sembrava dire solamente: “Complimenti ragazzi, ottimo lavoro”. È un
bel messaggio, intendiamoci: ma in fisica non vale il motto “no news is good
news”.
Almeno non in questo caso.
Il modello standard infatti, per quanto straordinario, non è la teoria ultima e
definitiva. Secondo i dati dei cosmologi, esso può spiegare soltanto il 4%
circa del contenuto di massa-energia dell’universo.
Del resto non abbiamo che
vaghi indizi. Sappiamo per esempio che dovrebbe esistere una cosiddetta “energia oscura” che accelera
l’espansione dell’universo: questa scoperta è valsa il Premio Nobel
per la fisica nel 2011, ma non abbiamo la minima idea della natura
di questo misterioso campo di energia.
Un altro “ingrediente segreto” del
nostro universo non spiegabile dal modello standard è la materia oscura, che
secondo molti sarebbe costituita di particelle previste da una particolare
teoria chiamata supersimmetria.
Ma anche qui non abbiamo molto in mano, dal momento che ci si aspettava di
osservare queste “particelle supersimmetriche” con LHC, ma a tutt’oggi non se
ne è vista neanche l’ombra. Non parliamo poi della gravità, che non è nemmeno
incorporata nel formalismo del modello standard.
Insomma, il modello
standard non ci può bastare per dare una descrizione completa dell’universo.
Serve qualcos’altro; e a questo scopo occorrono nuovi indizi, nuove piste,
nuove tracce da seguire. Tracce, piste e indizi che sono completamente assenti
nel bosone di Higgs “zero sorprese” osservato nel 2012. È per questo che alla
scoperta del bosone di Higgs è seguita una fase di “depressione”: perché insieme
a quella scoperta si sperava di ottenere anche qualche indicazione su cosa fare
dopo.
Per risolvere il problema
del “cosa fare dopo l’Higgs” l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha
organizzato un workshop, tenutosi il 7 e 8 aprile scorsi a Roma, che ha
chiamato per l’appunto “What next”.
Un workshop dallo spirito
tutt’altro che tradizionale. Non immaginatevi un gruppo di fisici che
diffondono i risultati e dipingono le prospettive future delle loro ricerche:
pensate piuttosto ai migliori fisici nostrani (quelli targati INFN, almeno) che
si riuniscono per domandarsi: “E adesso che cosa facciamo?”. Ovvero: in che
direzione deve puntare la ricerca futura? Che cosa dobbiamo osservare? Che
strategie è meglio adottare? Quali esperimenti conviene portare avanti, e a
quali invece rinunciare? Se non scopriremo niente, come ci conviene
comportarci?
Queste e altre domande
sono state l’oggetto di “What next”. Naturalmente non sono domande a cui si può
rispondere in un incontro di due giorni, per quanto fruttuoso. Il workshop del 7-8
aprile è stato infatti solo un primo passo: è prevista infatti, entro l’estate
dell’anno prossimo, la stesura di un report collettivo che contenga delle risposte
alle domande poste sopra, in particolare per quanto riguarda le strategie da
adottare da parte dell’INFN.
Nel frattempo sono stati
formati gruppi di lavoro su argomenti specifici, che spaziano dalla ricerca
della materia oscura alla fisica dei neutrini, dalle onde gravitazionali alla
radiazione cosmica di fondo, dalle misure di precisione negli acceleratori di
particelle alla fisica oltre il modello standard. Sono argomenti
straordinariamente interconnessi: questo farà sì che i vari gruppi di lavoro
dovranno interagire intensamente tra loro, dando origine probabilmente a uno
dei maggiori brainstorming collettivi della fisica italiana.
Oltre a rappresentare un esperimento molto interessante sulla comunicazione interna alla comunità scientifica (che non è passato inosservato nemmeno all’estero), “What next” ha anche un notevole valore strategico per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, in previsione della nuova accensione di LHC in “versione potenziata” che potrà raggiungere l’energia di 14 TeV. Gli esperimenti futuri potranno certamente aprire nuovi scenari teorici, e i nuovi test sperimentali potrebbero influire notevolmente sulle linee di ricerca future nei campi della fisica delle particelle e delle alte energie. Visto che c’è in gioco anche il futuro della fisica italiana, è meglio non farsi trovare impreparati.