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Agamben e Cacciari sul green pass. Tu chiamale se vuoi "argomentazioni"

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Il filosofo Giovanni Boniolo si diverte a scrivere una "nota" all'ormai famosa "nota" che Massimo Cacciari e Giorgio Agamben (a sinistra e a destra nella foto) hanno scritto a proposito del Green Pass, in cui si adombra l'avanzare di una pericolosissima dittatura sanitaria. Ma lo stesso allora si potrebbe dire per la patente, e per l'infinità di altri documenti. che ci portiamo appresso per accedere a un serie di servizi. 

Tempo di lettura: 10 mins

Ho letto, con atteggiamento poco atarassico – devo ammetterlo –, nel sito dell’Istituto italiano per gli Studi Filosofici la nota del 26 luglio sul decreto “green pass” scritta da due noti intellettuali italiani: uno, Giorgio Agamben, con un seguito anche internazionale; l’altro, Massimo Cacciari, molto più italico. Li apprezzo entrambi. Agamben – lo ammetto – mi crea qualche difficoltà di lettura (più di quando ho studiato e lavorato sulla kantiana deduzione trascendentale o sugli spazi di Hilbert della meccanica quantistica), abituato come sono a cercare passaggi inferenziali fra due enunciati. Tuttavia, alla fine (e tralasciando per carità interpretativa la tradizione “secunda Petri”) un’idea me la faccio di che vuol dire. Cacciari l’ho sempre letto con piacere, soprattutto per questo suo vezzo di impreziosire il testo con termini tedeschi. L’ho letto con piacere a partire da quel suo libro divulgativo di storia della filosofia che era Krisis. Un testo interessante, seppur avulso dal dibattito internazionale dell’epoca e con qualche amenità di troppo su Wittgenstein e la matematica. Ma questa era l’Italia.

Veniamo alla mia nota sulla loro nota (non esattamente nel senso di “nota notae est nota rei ipsius”). Che è, quest’ultima? Un’invettiva, una presa di posizione polemica, un voler esemplificare come non si fa filosofia, altro? Loro si dicono, e sono detti, filosofi e/o storici della filosofia e questo genera in me la precomprensione ermeneutica che scrivano come tali, ossia che portino argomenti corretti e non fallacie, ma – soprattutto – che parlino di ciò che sanno (come non solo i filosofi dovrebbero fare, ovviamente).

Cominciamo a esaminare il loro prodotto. L’incipit è piuttosto enfatico:

“La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosidetto green pass, con inconsapevole leggerezza”.

Qui ci sono due affermazioni: la prima è del tutto condivisibile, almeno per molti: la discriminazione è una cosa cattiva, da condannare! Poi si passa a dire che la si sta affrontando (in che senso?) per via del “cosidetto” (sic) green pass. Bene, chi lo dice? Se non si portano dati a sostegno, o argomenti, o fonti autorevoli ma ci si basa solo sul muovere emozioni nel lettore o sul “si dice” si cade in molte fallacie (per esempio, in varianti dell’argumentum ad misericordiam, dell’argumentum ad judicium, dell’argumentum ad populum, molto caro, quest’ultimo, ai populisti di ogni risma). Inoltre, si scrive che lo si fa “con inconsapevole leggerezza”. Stanno scherzando? Chi lo fa con leggerezza? Per favore, nomi e cognomi, altrimenti è solo un vuoto accusare.

“Ogni regime dispotico ha sempre operato attraverso pratiche di discriminazione, all’inizio magari contenute e poi dilaganti. Non a caso in Cina dichiarano di voler continuare con tracciamenti e controlli anche al termine della pandemia. E varrà la pena ricordare il ‘passaporto interno’ che per ogni spostamento dovevano esibire alle autorità i cittadini dell’Unione Sovietica”.

Mumble, mumble. È vero che in Cina dichiarano di voler continuare con tracciamenti e controlli anche dopo la pandemia? Chi lo dice? A quale fonte si abbeverano? Che cosa ha a che fare il caso della Cina e che cosa ha a che fare il vecchio caso dell’Unione Sovietica con la situazione odierna italiana ed europea? Se non lo spiegano, se non lo argomentano, si è autorizzati a pensare che stiano parlando a vanvera.

“Guai se il vaccino si trasforma in una sorta di simbolo politico-religioso. Ciò non solo rappresenterebbe una deriva anti-democratica intollerabile, ma contrasterebbe con la stessa evidenza scientifica”.

Mi si dovrebbe spiegare chi sta trasformando il vaccino in una sorta di simbolo politico-religioso. Mi diverte molto il roboante stile oracolare che viene adottato, ma qualcuno potrebbe veramente credere che questo stia accadendo e – che-ne-so – magari citarmi la setta che adora tale simbolo? Comunque sia, anche se così fosse, perché rappresenterebbe una deriva anti-democratica intollerabile? Chi lo dice? Con quale argomento si giustifica tale passaggio inferenziale? Non è dato saperlo. I due estensori preferiscono, forse, il pensiero entimematico. Tuttavia, è al di fuori delle mie capacità mentali – lo riconosco – rintracciare le parti inferenziali mancanti. Potrei anche accettare che un simbolo politico-religioso contrasti l’evidenza scientifica, ma mi si dovrebbe dire in che modo avviene e soprattutto quale significato si sta attribuendo ai termini ‘simbolo’ ed ‘evidenza scientifica’. A questo proposito, mi chiedo come mai due autori piuttosto esperti (anche per via dell’età) menzionino termini usati in modo assai diverso nel corso della storia del pensiero filosofico con grande leggerezza: democrazia, simbolo, evidenza ecc. Che cosa intendono? Sicuramente non possono essere dimentichi dell’accuratezza definitoria che ha fatto e fa grande molta filosofia. Né possono scordare che una delle prime cose da fare quando si scrive di filosofia o di storia della filosofia sta nel disambiguare i termini che si andranno a usare altrimenti tutto precipita in un parlare senza referenti, un parlare vago. Certo, la vaghezza può essere una componente di un certo stile di pensiero, ma forse quando si scrivono note con l’intenzione di non gabellare il lettore (speriamo), qualche momento definitorio sarebbe meglio. Ma tant’è, ognuno ha il suo stile e poi che sia il lettore a essere smaliziato. E se non lo è? Cavolacci suoi, che si abbeveri al nulla o al princisbecco. Gli imboniti ci sono sempre stati.

“Una cosa è sostenere l’utilità, comunque, del vaccino, altra, completamente diversa, tacere del fatto che ci troviamo tuttora in una fase di ‘sperimentazione di massa’ e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto”.

Certo, passare dal primo enunciato al secondo sarebbe un “non sequitur” che forse solo qualcuno totalmente sprovveduto di elementi base di logica minor e logica major farebbe. Ma veramente “ci troviamo tuttora in una fase di ‘sperimentazione di massa’ e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto”? Qui, mi pare, si sta scrivendo qualcosa di stratosfericamente fuorviante e mistificante. Significa non sapere (scusabile, ma allora non si dovrebbe parlare di ciò che non si sa), oppure significa non voler sapere quello che si dovrebbe sapere se si vuole scrivervi attorno (e qui siamo nel non scusabile per un intellettuale) che cos’è un clinical trial (soprattutto nelle fasi più avanzate), che cos’è una sperimentazione, che cos’è il processo di drug discovery, in particolare i suoi tempi e i suoi modi. Significa non sapere (scusabile, ma allora non si dovrebbe parlare di ciò che non si sa), oppure significa non voler sapere quello che si dovrebbe sapere se si vuole scrivervi attorno (e qui siamo nel non scusabile per un intellettuale) che cosa è accaduto nel mondo della ricerca dal sequenziamento del virus e delle sue varianti nonché delle forze (pubbliche e private) che sono state messe in campo per trovare una soluzione.

Certo, il dibattito scientifico è aperto, come sempre e come in ogni occasione. Ma di quale apertura stanno parlando? Se non lo si indica, si corre il rischio di fornire una scorretta idea di come si sviluppi la discussione scientifica. Non mi consta che vi sia un dibattito scientifico aperto su Nature, la rivista che i due noti autori citano e che mi fa pensare leggano regolarmente (o stanno bluffando e, in realtà, non hanno mai letto Nature?), intorno alla “sperimentazione di massa” e a molti suoi fondamentali aspetti.

“E come potrebbe essere altrimenti? Il vaccinato non solo può contagiare, ma può ancora ammalarsi: in Inghilterra su 117 nuovi decessi 50 avevano ricevuto la doppia dose. In Israele si calcola che il vaccino copra il 64% di chi l’ha ricevuto. Le stesse case farmaceutiche hanno ufficialmente dichiarato che non è possibile prevedere i danni a lungo periodo del vaccino, non avendo avuto il tempo di effettuare tutti i test di genotossicità e di cancerogenicità. Nature ha calcolato che sarà comunque fisiologico che un 15% della popolazione non assuma il vaccino. Dovremo dunque stare col pass fino a quando?”.

Finalmente dati!! Però scelti come? Interpretati come? In inglese (so, però, che loro apprezzano di più il tedesco che parlano fluentemente) hanno un bel termine: cherry-picking. Con esso si stigmatizza la prassi (ovviamente fallace) di scegliere i dati (presi da dove? dimmi la sorgente, perdio!) che più servono e di interpretarli come più aggrada. Hanno i nostri due filosofi e/o storici della filosofia la capacità di fare una review esaustiva della letteratura epidemiologica e quindi di comunicare in modo corretto ai cittadini dei dati plausibili e non scelti ad hoc? Se non ce l’hanno (come sospetto), allora stanno facendo un cattivo servizio ai loro lettori. Oltretutto, se usano tale affermazione come premessa di un ragionamento, stanno facendo un altro cattivo servizio. Come dovrebbero sapere, avendo studiato filosofia da qualche parte, da una premessa debole o vaga segue perlomeno una conclusione debole o vaga, e da una premessa falsa segue quello che si vuole. E poi: “Nature ha calcolato che sarà comunque fisiologico che un 15% della popolazione non assuma il vaccino”. Mi spiace per loro ma Nature non calcola nulla: è una rivista! (ah, forse stanno usando una sineddoche o una metonimia, mi scuso del poco sapere retorico che ho). Il comitato editoriale di Nature può aver deciso di pubblicare un lavoro (referato, ma non per questo contenente delle verità, soprattutto quando si parla di previsioni che, come sanno i nostri due autori, sono sempre probabilistiche con tutto quello che ciò comporta) in cui in base a un modello matematico e ai dati a disposizione si può inferire quella conclusione. Qui si apre una serie di problemi epistemologici non banali, che dovrebbero entrambi conoscere avendo una preparazione filosofica. Ma soprattutto, perdio, dimmi quale articolo hai letto, a quale autore ti stai riferendo, quale numero di Nature è sotto la tua attenzione ecc. Altrimenti, si cade anche nella fallacia dell’argomentum ad verecundiam e non è bello. Non è bello se il lettore smaliziato lo scopre ed è ancor meno bello se il lettore non smaliziato non lo scopre. Comunque sia, dal fatto che “Nature ha calcolato che sarà comunque fisiologico che un 15% della popolazione non assuma il vaccino” non si inferisce minimamente la situazione problematica che paventano: “Dovremo dunque stare col pass fino a quando?”. Dov’è la struttura argomentativa? Il “dunque” a che si riferisce? Non capisco – mi si perdoni il poco comprendonio. Sicuramente sarà dovuto alle mie scarse capacità mentali, ma il passaggio dal fatto (supposto e piuttosto vago nella sua fondatezza) che il 15% della popolazione non assumerà il vaccino al fatto che dovremmo avere sempre il green pass non mi è così chiaro. Sicuramente lo sarà per loro e amerei che me lo spiegassero, come semplice cittadino che teme per la democrazia del paese dove vive.

“Tutti sono minacciati da pratiche discriminatorie”.

“Tutti” chi? Un uso non circostanziato del quantificatore universale è retoricamente e logicamente pericoloso, come ci hanno insegnato già i medievali e come sicuramente sanno i due autori che di medievali talvolta fan largo uso. Inoltre, la generalizzazione (compresa questa) è molte volte errata e i due filosofi (e/o storici della filosofia) autori della nota lo dovrebbero sapere, avendo avuto (penso) un percorso educativo che comportava anche la lettura (ovviamente in greco) di Platone e Aristotele, maestri della distinzione e nemici delle generalizzazioni banali.

“Paradossalmente, quelli ‘abilitati’ dal green pass più ancora dei non vaccinati (che una propaganda di regime vorrebbe far passare per ‘nemici della scienza’ e magari fautori di pratiche magiche), dal momento che tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi”.

Si parla di propaganda di regime. Ma di quale regime stanno parlando? Dov’è questo regime? Chi lo costituisce? Chi organizza tale propaganda? Un filosofo politico (ma anche uno storico della filosofia politica) accorto non cadrebbe in tali leggerezze mistificatorie nemmeno commentabili all’interno di un discorso politico serio che non si basi su vuota retorica oracolare. E poi è vero che “tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi“? Sicuri, specie in epoca di tecnologie dell’informazione, che il “come” e il “da chi” saranno per sempre avvolti in un mistero? Sicuri di aver capito come funzionano?

“Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire”.

Certo, il bisogno di discriminare è antico e da biasimare. Certo, è presente anche nella nostra epoca. Ma di acqua (argomentativa) ne passa dal fatto che il green pass sia obbligatorio al suo diventare un pericolo per la democrazia (a proposito, in che accezione intendono ‘democrazia’? Ma vogliamo definire qualche termine, perdinci!).

Non avrebbe, forse, più senso fare un confronto indicando correttamente similarità e dissimilarità con la patente (documento che discrimina chi può guidare da chi non può guidare e che comporta un evidente tracciamento) o con il documento vaccinatorio richiesto per visitare certi paesi extra-europei (documento che discrimina e che comporta un evidente tracciamento)?

Non avrebbe, forse, più senso parlare di ciò che si sa, magari senza tanti toni oracolari e con più argomentazioni? Noi siamo cittadini cui non servono besser-wisser aforismatici, ma intellettuali che ci insegnino la bontà del pensiero ben strutturato che si muove e avanza grazie al suo metodo storico: problemi, soluzioni e loro giustificazioni razionali ben costruite. Siamo ormai adulti e non abbiamo bisogno di evocatori senza inferenze né argomenti.

 

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