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Albert Einstein, la relatività e la ricerca dell’unità in fisica

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Nell’aprile del 1955 moriva Albert Einstein, lo scienziato che per riconoscimento unanime aveva raggiunto le massime vette della conoscenza scientifica, offrendo all’umanità la possibilità di avere del mondo e del suo modo di esistere una visione generale e unitaria.
Una visione che traduceva per la prima volta la continuità tra spazio e tempo, tra materia ed energia, dando di questa continuità una dimostrazione razionale e che, come tale, sarebbe stata confermata anche dall’esperienza. Senza, tuttavia, poter superare la contraddizione con la teoria corpuscolare e, come tale, discontinua, che pressoché parallelamente si era affermata nel mondo della fisica. Un dualismo che Einstein deve accettare perché quella teoria ha tutti i numeri per essere accolta. Tranne il potere di superare la ricerca di una unità nella lettura e nella interpretazione della natura. E questo sarà il “lavoro” di Einstein dopo l’elaborazione nel 1905 della teoria della relatività speciale e poi nel 1915 della teoria della relatività generale, sino agli ultimi giorni dell’aprile 1995. 

Nel suo nuovo libro Pietro Greco offre un’avvincente ricostruzione di questa vicenda personale di Einstein non solo ripercorrendo una storia durata svariati decenni, ma anche attraverso una preziosa introduzione in cui si legge di quella “mania” del ricercatore moderno, che inizia da Galileo e Newton. Cioè da quando la scienza perde la sua natura metafisica in cambio dell’assunzione di valori razionali come la dimostrazione, la verifica, la coerenza, conservando tuttavia, nel caso di Einstein, quella concezione derivante dalla “seduzione ionica”, cioè dalla metafisica dell’intima unità della natura; una convinzione metafisica che, ovviamente, non poteva essere accettata dal nostro scienziato per il quale era necessaria una concezione e una dimostrazione scientifica. La mancata unificazione tra la teoria del continuo e quella corpuscolare – il “marmo pregiato e il legno scadente”, come ironicamente le definisce Einstein – non era, tuttavia, un errore attribuibile all’una o all’altra, ma “semplicemente” indicava la necessità di superare – nel caso della teoria corpuscolare – il punto cui era arrivata, che non poteva essere considerato come conclusivo. Il lavoro dei fisici avrebbe dovuto essere questo. Come rileva Greco, la probabilità che dopo il 1905 proprio Einstein potesse essere il fisico “pregiudicato” per un tale successo, dipendeva anche dal fatto che il “giovane fisico pensa  e agisce al di fuori di ogni costrizione di pensiero. Non ha vincoli accademici. Non ha problemi di carriera. Non ha maestri né piste di ricerca prestabilite. Può pensare alla grande. Può sciogliere come crede le briglie della sua creatività  e della sua visione del mondo.”.

Una attività – quella della ricerca scientifica – che si regge nel rispetto rigoroso di alcuni princìpi  ovvi, e cioè la razionalità, la coerenza, la dimostrazione – senza i quali non solo non ci sarebbe sviluppo della conoscenza, ma nemmeno la ricerca stessa della conoscenza. Tuttavia tutte quelle altre condizioni di cui – come Greco ci ricorda -  Einstein gode, giocano, non solo nel caso di Einstein, una parte rilevante nella creazione e intuizione di ipotesi interpretative tali da costituire dei passaggi storici nella costruzione della nostra conoscenza. Questo bagaglio complessivo ha una dimensione etica che si riflette nella qualità della società e della vita sociale segnandone la qualità.  Questa qualità etica non è e non potrebbe essere l’oggetto del libro in questione. Tuttavia l’autore riesce a trasmettere qualcosa anche in questa direzione;  non si tratta di una deviazione ma di un necessario arricchimento senza il quale una personalità come quella di Einstein perderebbe una componete essenziale.   

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