Ritratto fotografico dello scrittore anziano, di mezzo busto, G. Rossi, Pittore Fotografo,1868.
La situazione che stiamo vivendo nell'ultimo periodo sembra tanto strana, inusuale, mai vista prima: la pandemia di Covid-19 ci ha portati ad assistere a spettacoli di terrore popolare, agitazione estrema e soprattutto impreparazione da parte delle strutture sanitarie e governative: ma questa reazione è forse frutto dell'assoluta novità dell'evento? Per capirlo abbiamo oggi qui con noi una figura pronta a darci la sua testimonianza: lo scrittore Alessandro Manzoni, che salutiamo.
Buongiorno a tutti.
Scoppiata alla fine dell’anno scorso in Cina, questa epidemia si è portata rapidamente nel nostro Paese. Ma ancora oggi ad aprile inoltrato, non abbiamo capito con precisione chi sia stato il primo infetto. Dicono un podista dalle parti di Codogno, poi si è scoperto che ce n'erano altri prima. Era accaduto lo stesso anche ai tempi della pestilenza del 1630?
Certamente. Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portò il primo, e altre circostanze della persona e del caso: e infatti, nell'osservare i princìpi d'una vasta mortalità, in cui le vittime, non che esser distinte per nome, appena si potranno indicare all'incirca, per il numero delle migliaia, nasce una non so quale curiosità di conoscere que' primi e pochi nomi che poterono essere notati e conservati: questa specie di distinzione, la precedenza nell'esterminio, par che faccian trovare in essi, e nelle particolarità, per altro più indifferenti, qualche cosa di fatale e di memorabile. Il protofisico Lodovico Settala (…) riferì, il 20 d'ottobre, nel tribunale della sanità, come, nella terra di Chiuso (l'ultima del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa veruna risoluzione, come si ha dal Ragguaglio del Tadino.
La zona del bergamasco sembra essere stato uno dei principali centri anche del contagio di Covid. Da pochi infetti individuati all’esordio della epidemia, si è messo in moto un processo di contact tracing per tentare di isolare ogni persona che aveva avuto contatti con i malati prima che il virus si diffondesse. Purtroppo non ha funzionato come avremmo voluto. Anche ai tempi avevano tentato un simile approccio?
Sì: entrò in città questo fante sventurato e portator di sventura, con un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldati alemanni; andò a fermarsi in una casa di suoi parenti, nel borgo di porta orientale, vicino ai cappuccini; appena arrivato, s'ammalò; fu portato allo spedale; dove un bubbone che gli si scoprì sotto un'ascella, mise chi lo curava in sospetto di ciò ch'era infatti; il quarto giorno morì. Il tribunale della sanità fece segregare e sequestrare in casa la di lui famiglia; i suoi vestiti e il letto in cui era stato allo spedale, furon bruciati. Due serventi che l'avevano avuto in cura, e un buon frate che l'aveva assistito, caddero anch'essi ammalati in pochi giorni, tutt'e tre di peste.
Durante la prima settimana di emergenza abbiamo riscontrato un atteggiamento di generale sottovalutazione del fenomeno, tanto che un nostro uomo politico ha mostrato sui social di aver partecipato a un aperitivo con numerose persone. Su internet regnavano hashtag quali #litalianonsiferma, e la maggioranza dell'opinione pubblica si divideva tra chi sminuiva l'effetto del virus e chi non lo considerava nemmeno, ritenendolo una semplice influenza. Nel periodo dell'epidemia di peste quale era stato l'iniziale comportamento della popolazione?
La radezza stessa de' casi allontanava il sospetto della verità, confermava sempre più il pubblico in quella stupida e micidiale fiducia che non ci fosse peste, né ci fosse stata neppure un momento. Molti medici ancora, facendo eco alla voce del popolo (era, anche in questo caso, voce di Dio?), deridevan gli auguri sinistri, gli avvertimenti minacciosi de' pochi; e avevan pronti nomi di malattie comuni, per qualificare ogni caso di peste che fossero chiamati a curare; con qualunque sintomo, con qualunque segno fosse comparso. (...) Nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo. La medesima miscredenza, la medesima, per dir meglio, cecità e fissazione prevaleva nel senato, nel Consiglio de' decurioni, in ogni magistrato.
Come si sono resi conto dell'effettiva gravità della situazione?
Sul finire del mese di marzo, cominciarono, prima nel borgo di porta orientale, poi in ogni quartiere della città, a farsi frequenti le malattie, le morti, con accidenti strani di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle insegne funeste di lividi e di bubboni; morti per lo più celeri, violente, non di rado repentine, senza alcun indizio antecedente di malattia. I medici opposti alla opinion del contagio, non volendo ora confessare ciò che avevan deriso, e dovendo pur dare un nome generico alla nuova malattia, divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello di febbri maligne, di febbri pestilenti: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, figurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a non lasciar credere ciò che più importava di credere, di vedere, che il male s'attaccava per mezzo del contatto. (...)
Ci son stati quindi anche allora fenomeni che oggi chiameremmo di negazionismo…
In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l'idea s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s'è attaccata un'altra idea, l'idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l'idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro. (...) Ci furon però di quelli che pensarono fino alla fine, e fin che vissero, che tutto fosse immaginazione.
Una nostra mancanza, dettata anche dall'ignoranza del reale pericolo e dei possibili svolgimenti della situazione, è stata quella di non vietare immediatamente ogni evento pubblico. Assembramenti di persone tenutisi in quei giorni hanno dunque permesso al virus di propagarsi ancora più velocemente. Pensa che questa possa essere stata una delle cause anche del dilagare della pestilenza all'epoca?
Certamente: infatti i decurioni avevan presa una (…) risoluzione: di chiedere al cardinale arcivescovo, che si facesse una processione solenne, portando per la città il corpo di san Carlo. Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni. (…) Temeva che, se pur c'era di questi untori, la processione fosse un'occasion troppo comoda al delitto: se non ce n'era, il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben più reale. (...) Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o l'occasione, nella processione medesima. Ma, oh forze mirabili e dolorose d'un pregiudizio generale! Non già al trovarsi insieme tante persone, e per tanto tempo, non all'infinita moltiplicazione de' contatti fortuiti, attribuivano i più quell'effetto; l'attribuivano alla facilità che gli untori ci avessero trovata d'eseguire in grande il loro empio disegno. Si disse che, mescolati nella folla, avessero infettati col loro unguento quanti più avevan potuto. (…)
Sembra di capire che, come per Covid, anche la peste si sia diffusa in modo, come si dice oggi, esponenziale.
Da quel giorno, la furia del contagio andò sempre crescendo: in poco tempo, non ci fu quasi più casa che non fosse toccata: in poco tempo la popolazione del lazzeretto (…) montò da duemila a dodici mila: più tardi, al dir di quasi tutti, arrivò fino a sedici mila. Il 4 di luglio, come trovo in un'altra lettera de' conservatori della sanità al governatore, la mortalità giornaliera oltrepassava i cinquecento.
Al momento, nell'intera nazione è stata ordinata la quarantena, misura strettamente necessaria in questi casi. So che fu attuata anche per contrastare la peste: quali furono gli effetti sulla popolazione?
Erano serrati, per sospetto e per terrore, tutti gli usci di strada, salvo quelli che fossero spalancati per esser le case disabitate, o invase; altri inchiodati e sigillati, per esser nelle case morta o ammalata gente di peste. (...) Inoltre a tutte queste cagioni di mortalità, tanto più attive, che operavano sopra corpi ammalati o ammalazzati, s'aggiunga una gran perversità della stagione: piogge ostinate, seguite da una siccità ancor più ostinata, e con essa un caldo anticipato e violento. Ai mali s'aggiunga il sentimento de' mali, la noia e la smania della prigionia, la rimembranza dell'antiche abitudini, il dolore di cari perduti, la memoria inquieta di cari assenti, il tormento e il ribrezzo vicendevole, tant'altre passioni d'abbattimento o di rabbia, portate o nate là dentro.
Si trattava quindi di una quarantena molto restrittiva anche al tempo. Con anche sanzioni per chi la trasgrediva?
Sì: non tardò infatti a subentrare (ch'era cosa famigliare in quel tempo) l'abbominevole macchina della tortura. Era rizzata in quel luogo (…) affinché i deputati d'ogni quartiere, muniti a questo d'ogni facoltà più arbitraria, potessero farci applicare immediatamente chiunque paresse loro meritevole di pena: o sequestrati che uscissero di casa, o subalterni che non facessero il loro dovere, o chiunque altro.
I nostri reparti ospedalieri dedicati alla gestione del Covid sono stati talmente pieni da necessitare di mettere lettini anche nei corridoi e capanni aggiuntivi fuori dagli ospedali. Il lazzaretto di Milano ha subito la stessa sorte?
Si fecero costruire in fretta capanne di legno e di paglia nello spazio interno del lazzeretto; se ne piantò un nuovo, tutto di capanne, cinto da un semplice assito, e capace di contener quattromila persone. E non bastando, ne furon decretati due altri. (…) S'immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi.
E com'è stata gestita questa situazione? Si sono verificati anche allora casi di dedizione ed eroismo, come fra i nostri medici, infermieri e volontari?
Una volta, il lazzeretto rimase senza medici; e, con offerte di grosse paghe e d'onori, a fatica e non subito, se ne poté avere; ma molto men del bisogno. Fu spesso lì lì per mancare affatto di viveri, a segno di temere che ci s'avesse a morire anche di fame; e più d'una volta, mentre non si sapeva più dove batter la testa per trovare il bisognevole, vennero a tempo abbondanti sussidi, per inaspettato dono di misericordia privata: ché, in mezzo allo stordimento generale, all'indifferenza per gli altri, nata dal continuo temer per sé, ci furono degli animi sempre desti alla carità, ce ne furon degli altri in cui la carità nacque al cessare d'ogni allegrezza terrena; come, nella strage e nella fuga di molti a cui toccava di soprintendere e di provvedere, ce ne furono alcuni, sani sempre di corpo, e saldi di coraggio al loro posto: ci furon pure altri che, spinti dalla pietà, assunsero e sostennero virtuosamente le cure a cui non eran chiamati per impiego.
Uno dei principali problemi dell'epoca in cui viviamo sono le fake news, la disinformazione. Essa è il risultato dell'avvento dei social network, la cui libertà d'espressione comporta spesso il dilagare di informazioni false postate da utenti non esperti. Nel 1630 internet non era ancora stato inventato: dunque questo problema non sussisteva?
Tutt'altro: da' trovati del volgo, la gente istruita prendeva ciò che si poteva accomodar con le sue idee; da' trovati della gente istruita, il volgo prendeva ciò che ne poteva intendere, e come lo poteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa di pubblica follia. (...) il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune.
Per restare alle fake news - durante questa epidemia stiamo usando farmaci a volte utili ma non risolutivi, ma anche rincorso dicerie di medicinali miracolosi, che poi si sono rivelati inefficaci. Cosa succedeva invece durante la peste del Seicento?
Si usavano pasticche odorose, o palle di metallo o di legno traforate, con dentro spugne inzuppate d'aceti medicati; e se le andavano ogni tanto mettendo al naso, o ce le tenevano di continuo. Alcuni portavano attaccata al collo una boccetta con dentro un po' d'argento vivo, persuasi che avesse la virtù d'assorbire e di ritenere ogni esalazione pestilenziale; e avevan poi cura di rinnovarlo ogni tanti giorni.
Nel romanzo “La peste” del suo collega Albert Camus, la fine dell'epidemia viene annunciata da una pioggia torrenziale. E nel suo caso?
Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto e preso a diritta, per ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattina sotto le mura, principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi, che, battendo e risaltando sulla strada bianca e arida, sollevavano un minuto polverìo; in un momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse alla viottola, la veniva giù a secchie. Renzo, in vece d'inquietarsene, ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata. (…) Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto, se non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non n'avrebbe più ingoiati altri; che, tra una settimana, si vedrebbero riaperti usci e botteghe, non si parlerebbe quasi più che di quarantina; e della peste non rimarrebbe se non qualche resticciolo qua e là; quello strascico che un tal flagello lasciava sempre dietro a sé per qualche tempo.
La fase due, insomma, che speriamo diventi presto la fase tre anche da noi. Nel ringraziarla per la sua pazienza, verrebbe da concludere che al passar dei secoli le cose non sono cambiate poi tanto, non trova?
Non sempre ciò che vien dopo è progresso.
Ma... questa non l'ho trovata nei Promessi Sposi..
Infatti signorina, questa è in una mia opera minore: "Del romanzo storico e, in genere, de i componimenti misti di storia e d'invenzione".