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In un articolo sul New York Times, Siddhartha Mukherjee, autore del best seller L'imperatore del male. Una biografia del cancro (Neri Pozza, 2010) scrive un pezzo critico e ricco di riflessioni sull’era della genomica e della medicina personalizzata: “The Search for Cancer Treatment Beyond Mutant-Hunting”. La medicina di precisione non è solo la “caccia al mutante”. Pensare alla sola genetica, sostiene Mukherjee, equivale a pensare che tutto si limiti a una singola prospettiva sul mondo, come unica è quella che si può avere guardando la cover del New Yorker di Saul Steinberg, una rappresentazione mentale del mondo visto da un newyorkese dalla nona strada, “un mondo a immagine e somiglianza di New York”. La medicina personalizzata si deve indirizzare all’individuo, ricercare il miglior modo per rispondere al bisogno personale di terapia e di cura, anche se con l’uso di poca e varia tecnologia.
Restringendo la nostra definizione di medicina di precisione alla genetica e alla tecnologia ad alto costo, rischiamo di restringere le nostre ambizioni, che sono quelle di offrire una precisa e ben pensata risposta terapeutica o, certe volte, nessuna terapia ai pazienti. “Sarebbe davvero un peccato guardare ancora una volta al cancro con un'ottica così limitata”. Da qui l’esigenza di aprirsi a nuove prospettive, si pensi all’immunoterapia e alle altre interazioni fra malattia e microambiente dell’ospite o alle interazioni fra individuo-ambiente, prospettive che possono dare nuova luce alla ricerca.
La narrativa di Mukherjee è affascinante e spinge ad avere fiducia nella ricerca: i problemi aperti sono tanti, le prove scientifiche d'impatto ancora contrastanti e la grande sfida, forse da lui sottovalutata, sarà come sviluppare una valutazione complessa, che permetta di considerare quanto, grazie dalle diverse prospettive e alla ricerca, quest'intuizione si trasforma in efficace pratica medica, quali ne saranno i benefici e quali i costi, umani ed economici. Una fotografia fatta da una strada di New York, anche se con il grandangolo, è una vista chiusa, da allargare alla complessità del mondo; seguendo la sua metafora, diciamo noi, la prospettiva è quella dell’urbanista, che deve essere contemporanea ma avere una dimensione storica della conoscenza e valutare la sostenibilità non solo economica, dimostrando che si riesce a migliorare la qualità della vita dei cittadini.
TAILORx, i test genetici fanno risparmiare a molte donne la chemioterapia
Queste considerazioni prendono spunto da una riflessione sul trial TAILORx, che è stato presentato e discusso in un recente contributo su Scienza in Rete da Roberto Satolli. Lo studio valuta con un test che ricerca mutazioni in 21 geni eseguito alla diagnosi il rischio di ricaduta delle donne con tumore al seno. E' stata confrontata l'efficacia della chemioterapia adiuvante in aggiunta alla terapia ormonale rispetto alla terapia ormonale da sola in un sottogruppo dei casi di tumore al seno precoci (quelli estrogeni-positivi, linfonodi-negativi e HER2-negativi) che sono classificati al test di espressione genica come a score intermedio (da 11 a 25). La conclusione è che la terapia ormonale non è inferiore alla terapia combinata e quindi che queste donne a rischio intermedio possono essere esentate con sicurezza dall'aggiunta di una chemioterapia, un importante risultato che risparmia sofferenze e costi.
Grazie a queste ricerche, sostiene Satolli, l’evidence-based medicine apre la strada alla riduzione dei trattamenti non necessari (less is more). Un modello di descaling che è oggi dominante nella produzione scientifica della ricerca oncologica.
Secondo il blog Medscape Oncology la frequenza di studi randomizzati di non inferiorità presentati al congresso mondiale degli oncologi è in costante aumento. Denise Grady, in un articolo sul New York Times, intervista alcuni oncologi che sostengono che lo studio TAYLORx garantirà la possibilità di ridurre moltissime occasioni di sovratrattamento. Joseph Sparano, l'autore principale, ricorda che "a partire dal 2000 il National Cancer Institute raccomandò la chemioterapia per la maggior parte delle donne, anche senza coinvolgimento dei linfonodi, per prevenire la ricorrenza della malattia". Un effetto è stato raggiunto, conclude Sparano, ma nello stesso tempo molte donne sono state sovratrattate, cioè hanno ricevuto la chemioterapia ma non ne hanno beneficiato. “Per ogni cento donne trattate con chemio e ormonoterapia combinate, probabilmente si prevengono quattro ricorrenze a distanza. La maggior parte di queste donne, quindi, sono trattate inutilmente”.
Basta chiedersi se un nuovo approccio funziona?
Lo studio TAILORx è un esempio di valutazione guidata dalla genetica, in cui la risposta che si chiede a un trial randomizzato è legata alla domanda: funziona? La domanda interpretata nella sua singolarità disciplinare - la tecnologia genetica - semplifica un processo causale che invece richiede di considerare il “come funziona” per dare un significato allo specifico intervento.
Le donne che vengono inserite nello studio hanno tumori con caratteristiche specifiche che riguardano alcuni aspetti biologici (positive per i recettori degli estrogeni, negative per HER2 e linfonodi-negativi) dimostratisi prognostici per il tumore al seno. Altri indicatori clinici tradizionali, come il diametro della lesione o il grado patologico, non sono considerati, anche se riportati nel materiale supplementare e in parte discussi. Ne deriva che tra i diversi gruppi classificati per rischio genomico nello studio TAYLORx e randomizzati alla diagnosi la distribuzione degli indicatori clinici tradizionali è bilanciata nei due gruppi randomizzati (solo donne a rischio intermedio), e quelli che indicano che la donna ha un possibile rischio maggiore di recidive sono rappresentati soprattutto nel gruppo con score più alto. Un dato prevedibile.
Lo studio MINDACT, la genetica integra il rischio clinico
Un approccio diverso è stato quello usato da Cardoso e dai suoi colleghi, che hanno pubblicato la valutazione del MammaPrint, un test analogo ma con 70 geni. Lo studio MINDACT, che arruolava donne affette da tumori al seno più vari tra loro in termini prognostici rispetto a quelli studiati in TAILORx, considerava il rischio clinico secondo il protocollo comunemente usato, basato su diametro, stadio patologico, grading ed espressione estrogenica. Gli autori concludono che nelle donne con alto rischio il test genetico con uno score di basso rischio clinico consente di evitare la chemioterapia a circa la metà delle donne. Al contrario, le donne con rischio clinico basso e con rischio genomico alto non traggono beneficio dalla chemioterapia. In altre parole, il MammaPrint non è utile in donne con basso rischio clinico. Con questo approccio il test genetico integra la conoscenza che deriva dal rischio clinico.
Due visioni diverse
I due studi non sono immediatamente comparabili e probabilmente sarà necessaria in futuro un’analisi congiunta dei due dataset. La differenza fra i due studi è tuttavia lampante: MINDACT parte dagli indicatori clinici e aggiunge l’analisi genetica a fini predittivi. TAILORx, invece, confronta una terapia proposta sulla base del test genetico con un'offerta di terapia senza altra informazione, il che si traduce in terapia per tutte. Questo approccio ha due falle teoriche:
- l’alternativa all’uso del test genetico, anche nel gruppo di donne selezionato per positività a recettori estrogenici, negatività all’HER2 e linfonodi non interessati, come previsto nel trial, non è allo stato attuale “chemio per tutte”. Nelle linee guida NCCN per le donne con queste caratteristiche la chemio è raccomandata o da prendere in considerazione, cioè non è consigliata sempre come migliore pratica;
- la domanda "funziona o non funziona?" spinge verso una scelta unica e non ci dirà mai se il test è effettivamente utile per tutte le donne oppure se sia possibile individuare sottogruppi che non traggono beneficio dalla chemioterapia anche sulla semplice base degli indicatori convenzionali, come si è in effetti verificato nello studio MINDACT. Né ci dice se la combinazione dell’informazione data da indicatori convenzionali e test genetico possa stratificare la popolazione in modo più preciso.
Trial guidati da tecnologia e mercato
In questo senso diciamo che il trial è guidato dalla tecnologia, ma anche guidato dal mercato, perché la risposta che il trial può indicare, sulla base delle prove che produce, è quella di applicare il test a tutte le donne o a nessuna. Dato che il test ha un indubbio valore almeno per alcune sottopopolazioni la risposta sarà scontata: si applichi il test a tutte, ignorando tutti i biomarcatori già noti.
Questo approccio epistemologico in cui la pars destruens è rinnovata ogni volta che una nuova tecnologia viene proposta trova un fertile terreno nell’approccio del trial randomizzato e in particolare nella cristallizzazione che ha subito il trial registrativo dei farmaci.
Questo disegno di studio è infatti adatto a rispondere alla domanda: il farmaco A funziona meglio del farmaco B? Nel caso di un confronto fra due farmaci questo confronto dei soli esiti finali, senza chiarire la catena degli eventi intermedi, è spesso giustificato e possiamo essere ragionevolmente sicuri che le differenze negli esiti fra i due bracci siano causate dal caso o dalla differenza nei due principi attivi che abbiamo somministrato.
Nel caso di interventi più complessi un approccio così riduzionista è invece imperfetto. E' necessario non solo confrontare i due trattamenti ma avere conoscenza di come si determina la scelta del trattamento. Questo può consentire di tenere conto di come funzionano i due protocolli, con le opportune analisi per sottopopolazioni e secondo possibili algoritmi alternativi (altri fattori di mediazione o modificatori di effetto, in termini tecnici) che magari si rivelerebbero più efficienti ed economici.
Secondo le indicazioni di TAILORx, tutte le donne con cancro positivo per i recettori ormonali, HER2 negativo e linfonodi negativi, devono sottoporsi all’Oncotype21. Considerato che il suo costo è di 2.500 dollari, l’impatto complessivo sarà un sostanziale costo per la donna e la collettività. È vero che a fronte di questo costo potremo ridurre in modo importante il numero delle donne che ricevono chemioterapia senza trarne benefici, ma un simile vantaggio si potrebbe ottenere a costi assai minori utilizzando saggiamente gli indicatori clinici tradizionali, che sono validissimi indicatori prognostici, come dimostrano ad esempio gli studi pubblicati sulla base dei registri tumori olandesi, e riservando così la genomica per le donne per cui veramente abbiamo un'incertezza1.
Cosa significa tumore al seno precoce
Agli inizi degli anni novanta Bernard Fisher puntualizzò in diversi articoli quello che definì il nuovo paradigma scientifico che superava quello di Halsted della chirurgia demolitiva del seno. Secondo il nuovo paradigma, il tumore al seno è una malattia sistemica, e Fisher presentava uno schema che distingueva tra tumori del seno identificati clinicamente (invasivi e non) e quelle lesioni, non palpabili clinicamente, che erano identificabili solo alla mammografia e risultavano maligne. Ipotizzati erano all’epoca altri marker che non erano identificabili fenotipicamente come cancro, ma solo come tumori al seno “biologici”, modificazioni biologico-molecolari o genetiche che avrebbero portato a una diagnosi mammografica o clinica in tempi brevi.
Nel descrivere questo complesso processo - la “storia naturale del tumore” - si ipotizzavano alterazioni genetiche predisponenti, la trasformazione cancerogena e poi l'attivazione di cellule con una competenza specifica per stabilire metastasi non riconoscibili al microscopio e non ancora evidenti fenotipicamente. Da queste fondamenta biomolecolari trarrebbe origine la crescita del clone neoplastico e tutto ciò che segue sarebbe il frutto della relazione dello sviluppo di questo clone con l’ambiente individuale. A un certo punto, egli affermava, si sviluppano cellule che hanno acquisito le competenze per stabilire metastasi a distanza. Il cambio di paradigma si realizza quindi nella scoperta che la curabilità del tumore al seno è correlata a una efficace terapia sistemica.
Da qui la domanda che si pose Fisher in quegli anni: “Quale tumore al seno può essere considerato precoce?”. La risposta fu che le conoscenze dell’epoca non consentivano una facile formulazione di questo concetto. Concludeva che il trattamento del tumore del seno era necessariamente governato, in una sorta di compromesso, dai due paradigmi in teoria contrapposti, l’eradicazione delle lesioni locali e l’eradicazione della malattia sistemica. In quest'ottica si spingeva fino a ipotizzare la progressiva scomparsa dell’approccio chirurgico quando si fosse definitivamente affermato l’approccio sistemico.
Nel 1992, Laszlo Tabar e altri autori, sulla base del più grande studio di valutazione dello screening mammografico svedese, lo studio delle Due Contee, convenivano con Fisher che le ricorrenze di malattia non fossero tappe nel processo di metastatizzazione ma espressioni di un accresciuto rischio. Riportando i dati dello studio affermavano che l’anticipazione della diagnosi, dovuta allo screening, riduceva la probabilità di comparsa di metastasi "vitali" e la loro conclusione, in uno studio che era ancora in epoca pre-terapia ormonale, era che la diagnosi precoce in forma pre-clinica garantiva elevati livelli di sopravvivenza. Con l'importante conclusione che, se si intendevano i tumori precoci come quelli fino a due centimetri di diametro e con linfonodi negativi, non era necessaria la chemioterapia.
La differente definizione di early breast cancer in uso in ocncologia rispetto a quella adottata in ambito di screening è evidente. L’Early Breast Cancer Trialists' Collaborative Group (EBCTCG), che da decenni analizza gli studi randomizzati che valutano i tumori al seno precoci e che ha grande influenza sulle linee guida internazionali per il trattamento del tumore del seno, considera early i tumori fino a cinque centimetri di diametro e con numero di linfonodi inferiori a dieci, in pratica i tumori al seno operabili. Dove è attivo lo screening mammografico si trovano oggi molti tumori con la probabilità di essere a basso rischio di prognostico e forte è il rischio che le pazienti subiscano danni dal trattamento.
Tornare alla causalità
Da questa storia ricca di complessità si comprende che l’evoluzione della cura del cancro del seno va ben oltre lo slogan less is more, che suggerisce come la questione sia ridurre la tecnologia in uso. È vero che molta tecnologia è usata in modo inappropriato, ma la dicotomia sovra/sottotrattamento non basta a guidare le scelte, specialmente nel descaling dei trattamenti e degli approcci diagnostici.
La complessità è dietro l’angolo, come suggerisce Lisa Rosenbaum in un suo recente "Perspective" sul New England Journal of Medicine. L’esperienza su un tema complesso come la senologia dimostra che la riduzione (il less) frequentemente nasce dal più (il more), dall’innovazione tecnologica spesso sofisticata (si pensi al linfonodo sentinella) oltre che dalla disponibilità di una buona teoria. Come sosteneva Umberto Veronesi, “dal massimo tollerabile al minimo efficace”, e in questa linea leggeva i suoi fondamentali studi sulla chirurgia conservativa e il linfonodo sentinella che hanno richiesto più innovazione, tecnologia e conoscenza della "storia naturale" del tumore, non meno.
Difficile, in molti campi, pensare che esistano scorciatoie che solo si concentrino su un sì o un no a specifiche soluzioni tecnologiche: non si può evitare il confronto con le teorie e le pratiche che sono alla base delle conoscenze scientifiche e con la loro storia. In questo senso vanno gli studi, anche randomizzati, indirizzati ad analizzare la storia naturale del tumore, come avviene oggi in molti casi, per esempio negli studi di wait and see.
A livello teorico, si sta discutendo il modo in cui si guarda modernamente all’acquisizione delle conoscenze scientifiche in campo medico. Molto è dovuto alla ripresa di interesse e all'importanza che oggi viene data alla nozione di causalità. Judea Pearl, nel suo ultimo libro The Book of Why, sostiene che è in atto una svolta rivoluzionaria. Per decenni la statistica, sulla base della lezione di Pearson, ha escluso la possibilità di parlare di causalità e questo è divenuto oggi - afferma - un ostacolo allo sviluppo della conoscenza. Alla base di questa riflessione è la sua fondazione della teoria dei grafi causali con un nuovo approccio alla conoscenza scientifica, soprattutto di natura epidemiologica, ma oggi estesa a molte scienze sociali come l’economia. In questi primi mesi del 2018, il premio Nobel per l'economia Angus Deaton e Nancy Cartwright, una nota filosofa della scienza e in particolare di quella sociale, hanno stimolato un vivacissimo dibattito sulla rivista Social Science in Medicine a partire da un loro scritto "Understanding and misunderstanding randomized controlled trials". Il dibattito apre la strada a una riflessione in profondità sui metodi di valutazione dell’evidenza scientifica e sul trial randomizzato, e sottolinea la necessità di passare da una pratica sempre più guidata dalla tecnologia, in cui il trial randomizzato acquisisce una supremazia epistemologica, a una prassi valutativa rivolta alla conoscenza del “come funziona” e, di conseguenza, di riconsiderare il ruolo degli studi osservazionali e della conoscenza della storia naturale.