Ci sono
malattie di cui si dice tutto e il contrario di tutto, consegnando,
inevitabilmente ai cittadini e ai pazienti un quadro distorto/poco chiaro che
alimenta la confusione su cause, rischi, trattamenti.
L’autismo è un ottimo
esempio di questa categoria di condizioni, con l’aggravante di interessare
l’età pediatrica e dunque coinvolgere l’emotività dei genitori a volte a
sfavore di approcci basati su evidenze scientifiche.
Nell’approccio
all’autismo ci sono alcuni vizi di fondo riconducibili all’incapacità o alla
scarsa volontà di comprendere e gestire la complessità.
Uno riguarda la definizione stessa: l’autismo non è una malattia ma il
sintomo/quadro sintomatologico di un insieme di condizioni, i disturbi dello
spettro autistico, appunto. Di conseguenza, ognuno dei bambini con autismo è un
caso a sé, esattamente come lo sono i singoli bambini che hanno la febbre in
quanto sintomo di patologie diverse.
Può
creare confusione anche l’affermazione, troppo semplicistica e ormai superata,
che le cause sono oscure. Sono infatti ampiamente descritte le anomalie a
livello neurale che riguardano in particolare le connessioni nervose: sono
insufficienti le connessioni a lungo raggio con funzione di integrazione delle
informazioni, mentre sono in eccesso le connessioni a corto raggio dedicate a
una sola funzione. Questo stato ha un corrispettivo funzionale, dal momento che
il bambino autistico è cristallizzato/irrigidito su singole funzioni e incapace
di integrare funzioni diverse in modo armonico. Indagini su tessuti cerebrali post
mortem disponibili in biobanche statunitensi mostrano già intorno al
secondo trimestre di gestazione anomalie derivanti da una eccessiva
proliferazione di alcune popolazioni neuronali con localizzazione prevalente a
livello della corteccia prefrontale. Nello stesso trimestre sono state rilevate
anche alterazioni in difetto o in eccesso dell’espressione di alcuni geni
associati ai disturbi dello spettro autistico. Queste anomalie rimandano ad una
alterazione di meccanismi attivi fin dal primo mese di gravidanza. La domanda da porsi è cosa e quando abbia determinato
queste alterazioni.
Le reti neurali si formano in epoca prenatale e si plasmano successivamente, ma il momento cruciale per il posizionamento delle cellule nervose nella rete e per la crescita dei loro prolungamenti è il primo trimestre di gravidanza, in parte l’inizio del secondo. Nella specie umana lo sviluppo del sistema nervoso prosegue con una certa vivacità fino alla adolescenza e in teoria non si esaurisce vita natural durante. Ma in fase postnatale non si modifica più la strutturazione delle reti neuronali (posizionamento delle cellule nervose e crescita dei loro prolungamenti), piuttosto intervengono riarrangiamenti dei contatti (la cosiddetta sinaptogenesi) e fenomeni di maturazione/completamento della guaina mielinica che influiscono sulla trasmissione del segnale e dunque della comunicazione nella rete. Il collocare il quando della strutturazione neurale a una fase prenatale e il ricondurre il come a cause congenite, spesso genetiche, sgombra pertanto il campo da possibili dubbi sul ruolo causale di singoli eventi intervenuti nei primi mesi o anni di vita, tipicamente le vaccinazioni, alcuni agenti tossici, ma anche alcune infezioni che invece possono avere conseguenze ben più negative durante la gravidanza.
La relazione
tra questi eventi e talune diagnosi di disturbi autistici ha una spiegazione
diversa. Non si tratta di un nesso di causalità, ma di una coincidenza
temporale riconducibile al fatto che sia le vaccinazioni, sia le infezioni
hanno un effetto di attivazione del sistema immunitario che ponendo un
sovraccarico di richiesta energetica sull’organismo potrebbe slatentizzare un
difetto neurale preesistente, facendo emergere il malfunzionamento clinicamente
latente di una rete neurale costitutivamente imperfetta. Il fatto che la
diagnosi arrivi molto più tardi rispetto al momento in cui la malattia ha
origine è, comunque, un significativo fattore di confondimento.
È comune
nell’esperienza clinica di chi si occupa di autismo, incontrare bambini di 3-4
anni con disturbi autistici anche gravi e genitori che collocano l’insorgenza
dei sintomi/l’esordio del disturbo nei giorni/nelle settimane immediatamente
successive a un’infezione importante, all’inizio della deambulazione oppure a
una vaccinazione.
In realtà una ricostruzione accurata della storia familiare e personale rivela,
a posteriori, segnali chiari di un problema più remoto: da difficoltà nel
concepimento, poliabortività o minacce d’aborto durante la gravidanza, a un
importante reflusso gastroesofageo, ritardo nella lallazione, una
riduzione/ritardo della condivisione dello sguardo nella relazione
madre-bambino o, ancora, selettività nelle scelte alimentari al momento dello
svezzamento o nella manipolazione dei giochi. Le vaccinazioni o l’infezione
avrebbero solamente slatentizzato in un tempo relativamente breve,
anticipandone la lenta e progressiva manifestazione, il disturbo autistico.
Solo così si può spiegare che la rimozione di alcuni vaccini non sia stata
seguita da una diminuzione dell’incidenza di autismo, nei Paesi dove è stata
applicata.
È chiaro che si è ben lontani dal poter affermare che un vaccino sia causa di autismo. Altrimenti, replicando un analogo ragionamento, si dovrebbe concludere che sono le infezioni durante la prima infanzia a causare l’autismo. Magari proprio una delle forme infettive da cui un vaccino rifiutato avrebbe protetto. E, per estrema coerenza, se si ritiene responsabile l’ente o l’operatore sanitario erogatore di una vaccinazione, si dovrebbe denunciare e condannare l’asilo nido dove il piccolo ha contratto l’infezione precipitante, oppure se si tratta di un’infezione prevenibile con vaccinazione, chi la vaccinazione non l’ha effettuata.
Concentrando
l’attenzione sulla tematica vaccinale, bisogna sottolineare che, per esempio,
le prove scientifiche escludono il ruolo di un altro grande imputato di
autismo, il tiomersale, conservante a base di mercurio una volta presente in
alcuni vaccini (prima del 2000). Imputato a torto il tiomersale perché contiene
etilmercurio (un conservante alimentare che in questa forma nessuno teme) e non
quel metilmercurio che davvero ha causato nel 1956 danni gravissimi da
inquinamento ambientale. Nell’organismo i due composti hanno una cinetica
completamente diversa e l’etilmercurio viene eliminato senza accumularsi nei
tessuti. Tra l’altro, una volta bandito dalla composizione dei vaccini non si è
osservata una consensuale riduzione dell’incidenza di autismo, bensì il
contrario.
E ancora le prove scientifiche, dimostrando il peso della componente genetica,
smontano il ruolo di noxae esogene. Gli studi sui gemelli mostrano una
concordanza del 60-80% tra gemelli monozigoti e del 30-40% tra gemelli
dizigoti. E inoltre un grande rischio di ricorrenza nell’ambito delle fratrie,
più marcata per i maschi: se in famiglia c’è un figlio/una figlia con autismo,
il fratello che nascerà avrà un aumento del rischio del 25,9%, la sorella del
9,8%. Per un approccio corretto all’autismo appare utile il monitoraggio dei
soggetti ad alto rischio con lo scopo di individuare al più presto degli indici
precoci. Infatti la diagnosi precoce migliora gli esiti.
Il Progetto di diagnosi precoce dell’autismo avviato nel 2011 dall’Istituto superiore di sanità ha sviluppato, grazie a network di competenze diverse, una promettente attività di ricerca prospettica longitudinale orientata a studiare e standardizzare in una popolazione ad alto rischio il riconoscimento di alcuni segnali precoci (red flag) alcuni dei quali evidenti già a pochi mesi relativi allo sviluppo vocale, motorio e neuropsicologico.
Antonio Persico
Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma,
Responsabile UOS di Neuropsichiatria infantile e dell’Adolescenza
Maria Luisa Scattoni
Dipartimento di Biologia cellulare e Neuroscienze
- Coordinatrice del Progetto per il riconoscimento precoce dell'autismo,
Istituto superiore di sanità
Articolo pubblicato su Epicentro