fbpx Alzheimer, il cervello “compensa” i primi danni | Scienza in rete

Alzheimer, il cervello “compensa” i primi danni

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Molte persone in età avanzata sperimentano un declino della capacità mnemonica, un sintomo comune anche alla fase precoce della malattia di Alzheimer (AD). Di quest’ultima non sono note le cause ma le recenti teorie vedono l’accumulo di peptide beta-amiloide (Ab) nelle regioni cerebrali implicato nelle fasi precoci della patogenesi.
Alcuni studi hanno però dimostrato, sia attraverso indagine autoptica che in vivo mediante PET, la presenza di estese placche Ab anche in molti anziani con funzioni cognitive normali, suggerendo che essi possano trovarsi in una fase preclinica di AD.
Studi effettuati mediante risonanza magnetica funzionale per immagini (fMRI) hanno poi riportato un’aumentata attività neuronale durante il processo cognitivo in individui con depositi Ab e processi cognitivi normali e in pazienti con lievi disturbi cognitivi (MCI) rispetto ad individui senza placche Ab.

In un articolo recentemente apparso su Nature un gruppo di ricercatori dell’Università di Berkeley diretto da William Jagust si sono chiesti se questi aumenti di attività neuronale dipendente dai depositi Ab avessero un ruolo benefico o dannoso sul processo cognitivo.
Lo studio è stato condotto su un gruppo di 22 giovani sani e 49 anziani con capacità cognitive normali, questi ultimi suddivisi tramite PET in 33 soggetti senza depositi amilioidi e 16 con presenza di placche Ab.
Durante l’acquisizione dei dati fMRI, ai volontari sono state mostrate alcune immagini. Dopo circa 15 minuti i soggetti sono stati interrogati sul significato generale dello stimolo ricevuto (“memoria sostanziale”) e poi sulla presenza di alcuni dettagli nella scena visualizzata.
L’analisi fMRI ha valutato le attivazioni cerebrali durante la codifica degli elementi (hits) successivamente ricordati durante la funzione “sostanziale” in confronto al basale, oltre agli incrementi o decrementi lineari nell’attività legati al numero di dettagli ricordati.
Per distinguere gli incrementi e i decrementi relativi rispetto al basale, gli autori hanno mascherato i risultati di questi confronti con mappe di funzionalità positiva e negativa derivanti dal confronto della media basale degli hits in tutti i gruppi.

Per valutare gli effetti parametrici, gli autori hanno comparato gli incrementi e i decrementi lineari attraverso il numero dei dettagli correttamente identificati per gli elementi ricordati nella memoria sostanziale tra i gruppi.
Considerando solo l’età, rispetto agli anziani senza placche Ab i giovani hanno mostrato un maggior aumento parametrico relativo ai dettagli lungo la corteccia occipitale laterale e ventrale, la corteccia parietale superiore e mediale e la corteccia temporale inferiore. Rispetto ai giovani, gli anziani senza placche Ab hanno invece mostrato una modulazione relativamente scarsa delle regioni a funzionalità positiva e un’ampia inattivazione nella corteccia parietale mediale che fa parte del network di funzionalità negativa.
Questi dati indicano che i giovani hanno una maggiore attivazione rispetto agli anziani per il recupero della memoria sostanziale e ciò contribuisce a formare ricordi più ricchi e dettagliati; mentre i soggetti anziani mostrano questi effetti per la disattivazione.

Gli scienziati della Berkeley hanno poi esaminato gli effetti dei depositi amiloidi sugli incrementi parametrici nell’attività di codifica. Coloro che hanno placche Ab mostrano effetti parametrici più forti nella corteccia parietale e occipitale, soprattutto nell’emisfero destro. Mostrano inoltre maggiori incrementi attraverso la corteccia parietale superiore e laterale e la corteccia occipitale mediale e laterale in relazione al numero di dettagli codificati. Il gruppo di anziani senza placche Ab mostrano una risposta parametrica minima nelle regioni a funzionalità positiva e maggiori decrementi lineari nelle regioni a funzionalità negativa, incluso il giro angolare destro e la corteccia parietale mediale. I soggetti con depositi amiloidi hanno invece mostrato un decremento lineare relativamente inferiore in queste aree.

Il rapporto parametrico tra attività neurale e ricchezza della memoria è la prova che l'aumento dell'attività neurale in soggetti con placche Ab è un processo benefico che riflette la plasticità neurale e serve da funzione compensatoria. I depositi amiloidi interferiscono anche con numerose funzioni neurali, incluso il potenziamento a lungo termine, e inducono proprietà aberranti nei circuiti locali. Sono inoltre associati a ridotta connettività dei circuiti di funzionalità positiva e la funzione anormale dei circuiti positivi e negativi potrebbe tradursi in processi neurali inefficienti che richiedono maggiore attività neurale.
Meccanismi analoghi sono stati proposti per spiegare i cambiamenti dovuti all'età e potrebbero riflettere il meccanismo in base al quale le persone anziane con depositi amiloidi sono in grado di rimanere cognitivamente normali, mentre quelli non in grado di reclutare queste risorse vadano incontro al declino cognitivo.

Le conseguenze a lungo termine dei depositi amiloidi non sono ancora state comprese completamente.
È possibile che individui con placche Ab e funzione cognitiva normale siano destinati al declino cognitivo poiché l’inefficienza neurale aumenta al punto in cui la compensazione non è più efficace.
In realtà, questa stessa inefficienza neurale può portare alla deposizione di una maggiore quantità di placche Ab, rilasciate attraverso attività neurale alla sinapsi.
Il ridotto rapporto parametrico tra l'attivazione e la performance in soggetti con più alti livelli di deposizione suggerisce che queste regioni contribuiscono al declino della formazione della memoria attraverso il continuo accumulo di amiloide. Se e come gli individui con placche Ab possano rimanere cognitivamente sani per lunghi periodi di tempo è una questione che richiede l'osservazione longitudinale del comportamento e della funzione neurale.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Gli sprechi nel Servizio Sanitario Nazionale: è possibile fornire raccomandazioni per combatterli?

medico con stetoscopio

La crisi del SSN italiano è aggravata non solo dal sottofinanziamento, ma anche da sprechi strutturali. Tra le principali cause vi sono inefficienze gestionali, acquisti non ottimizzati e inappropriatezza nell'erogazione di servizi sanitari. Per affrontare il problema, è necessario un approccio scientificamente fondato che includa raccomandazioni su politiche sanitarie più mirate, come la razionalizzazione della rete ospedaliera e l'adozione di modelli assistenziali innovativi.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano è in crisi e la salute è diventato uno dei problema che preoccupa di più gli italiani. La crisi della sanità pubblica ha portato questi giorni a uno sciopero di 24 ore del personale della sanità, promosso da alcune sigle sindacali e che si potrebbe definire “da esaperazione”. Un'esasperazione ampiamente giustificata. Nel quotidiano dibattito politico, tecnico e mediatico sulla crisi del SSN trova giustificatamente un grande spazio il tema del sottofinanziamento, mentre una scarsa attenzione viene riservata alla lotta agli sprechi.