Questo libro può disturbare fin dal titolo e dal sottotitolo ma come
l’autore ha spiegato in un’intervista a “L’intraprendente”, questi non sono da
prendere alla lettera: «Ho deciso di usare come sottotitolo “perché la natura
non è né buona né giusta né bella” ma avrei potuto benissimo scrivere “perché
non è né cattiva né ingiusta né brutta”. La natura è un ente che punta alla propria sopravvivenza così
come dobbiamo fare noi uomini che ne facciamo parte».
Chiarito questo, non c’è dubbio che il libro farà arrabbiare qualcuno e
provocherà anche reazioni scomposte, come capita a chi si azzarda a criticare senza
mezzi termini la cultura dominante. In questo caso, a farne le spese, sono le
idee-feticcio collegate all’ambientalismo e a una concezione astratta della
natura e del buon tempo andato. Il tono ironico di molte pagine lo rende di
lettura gradevole ma non attenua la severità dei giudizi che traspare dai
contenuti. L’autore del libro, Chicco
Testa, che lo ha scritto insieme a Patrizia
Feletig, deve essersi abituato alle critiche almeno a partire dal 1991,
quando scrisse, con Mauro Ceruti, un
articolo per Micromega intitolato
“Gli otto peccati capitali della cultura verde”.
I contenuti di quell’articolo vengono richiamati nelle ultime tre
pagine del libro e, in particolare, si parla delle tendenze negative che già
allora si manifestavano, come l’irrigidimento dogmatico, la “centralità
ambientale” riduttiva degli altri aspetti dell’organizzazione sociale, il culto
della natura e l’enfatizzazione della “penuria” ambientale.
Secondo Testa, quelle tendenze regressive sono diventate ancora più nette ed
evidenti. La causa principale sarebbe, secondo Testa, l’idea che la specie
umana non è un’eccezione, “una forma di vita aliena capitata per caso sulla
terra”, ma una popolazione cresciuta in base alle leggi generali dell’evoluzione che procede insieme
al pianeta. Per uscire dal pensiero sterile che ci costringe a sacrificare
“innaturalmente” uno dei due poli, bisognerebbe rovesciare alcuni termini e
luoghi comuni dell’ “ambientalista collettivo”. I limiti, quando esistono,
possono essere superati e le situazioni
di penuria non sono mai assolute ma possono essere risolte dall’innovazione
tecnologica. Non esisterebbero, secondo Testa, “equilibri ecologici che
prescindano da equilibri sociali e dalla soddisfazione dei bisogni umani”. Il
vaso di Pandora è ancora da esplorare e “ci riserverà cose che non siamo
nemmeno in grado di immaginare”. Ecco allora l’incitamento a sostituire il
pessimismo con la speranza e a ridiventare esploratori, “anziché ometti
spaventati”.
Queste valutazioni, occorre dirlo, provengono da un uomo che ha un’esperienza professionale molto varia e di alto profilo. La sua biografia ufficiale conferisce autorevolezza, se così si può dire, a parte dei suoi consigli. Laureato in filosofia presso l’Università Statale di Milano, dal 1980 al 1987 è stato Segretario Nazionale, e successivamente Presidente Nazionale, di Legambiente. Eletto alla Camera dei Deputati per due legislature, nelle liste del Pci nelle elezioni del 14 giugno 1987, poi riconfermato con il Pds fino al 1994; è stato membro della Commissione Ambiente e Territorio. Successivamente ha ricoperto numerose e importanti cariche. Tra l’altro è stato Presidente del Consiglio di Amministrazione di Enel, membro dell’Expert Advisory Committee dello European Carbon Fund, Presidente del Comitato Organizzativo del 20° Congresso Mondiale dell'Energia, promosso dal WEC-World Energy Council (2007). Nel luglio 2012, l'Assemblea ordinaria di Assoelettrica lo ha eletto Presidente dell'Associazione. È giornalista e collabora settimanalmente con alcuni fra i più importanti quotidiani e settimanali italiani. È stato professore incaricato presso la Scuola di Management della LUISS, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali, Master in Business Administration, responsabile del corso in Economia e Management delle Imprese di servizi di pubblica utilità. Certo, per alcuni, il passaggio di Testa da Lega Ambiente a posizioni di vertice in campo industriale e, soprattutto, la sua critica agli ambientalisti fanatici è sembrato un voltafaccia ma lui non si è mai pentito delle scelte fatte. In questo libro non mancano esempi di clamorose autocritiche, come a p. 105, dove si parla dell’ambientalista Mark Lynas, già membro della cellula anarco-capitalista Earth First! che girava per il Regno Unito alla ricerca di campi di Ogm da distruggere e si accaniva contro le vetrine di McDonald’s. Fece pubblica ammenda per gli Ogm nel gennaio 2013 e definì “superstizione culturale” una certa cultura ambientale.
Anche Testa si batte contro queste derive, anzi contro l’ambientalismo
trasformato in “mantra pieno di luoghi comuni”. Il libro ne fornisce un elenco
e cerca di distinguere fra buone idee e paure senza senso, tra dati obiettivi e
dati scientifici usati come gadget. A
volte, si tratta di vere e proprie leggende metropolitane, colpe da espiare
oppure mode transitorie.
Testa ci ricorda più volte come la tecnologia e la
“manipolazione” della natura ci hanno reso la vita meno dura e anche più lunga. Si consiglia vivamente la lettura del libro a chi
ha dimenticato come si viveva fino a cinquant’anni fa, specialmente nelle
campagne, dove l’aria era salubre e i cibi erano “naturali” ma gli ambienti
delle case erano riscaldati a legna, non c’era acqua calda, mancavano la
lavatrice e il frigorifero, le cure mediche non avevano confronti con quelle
attuali e gli spostamenti avvenivano solo in bicicletta. Chi la pensa
diversamente dall’autore farà bene a riflettere perché solo dall’ascolto
vicendevole potranno nascere le soluzioni che salveranno non solo il pianeta ma
anche i suoi abitatori.