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Anche la ricerca scientifica ha bisogno di una "ripartenza"

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Prenzlauerberg, Berlino. Foto di Renata Tinini.

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Ora che si "riparte", diventa importante farlo con il piede giusto. Anche nel campo della ricerca scientifica, che in questo periodo di Covid-19 si è mostrata così cruciale. Anche a laboratori chiusi, i ricercatori di tutto il mondo hanno contribuito con una inaspettata quantità di lavori scientifici sul nuovo coronavirus. In particolare, pur nelle ristrettezze economiche che da molto tempo caratterizzano la ricerca italiana (finanziata con l’1,3% del PIL, uno dei più bassi in area OCSE), i nostri ricercatori hanno prodotto circa un decimo dei lavori su Covid, ponendo l’Italia al terzo posto dopo gli Stati Uniti e la Cina (vedi Dashboard Ricerca).

I nostri ricercatori vengono periodicamente lodati per riuscire a fare le nozze coi fichi secchi, ma la penuria di risorse e infrastrutture lascia comunque il suo segno sulla nostra capacità di competere a livello internazionale. Come già detto altrove, basta guardare la nostra declinante capacità di aggiudicarci progetti europei, come pure il flusso costante di ricercatori italiani verso sedi estere più prestigiose, non compensato da rientri o da un flusso uguale e contrario di ricercatori stranieri nel nostro Paese.

La nostra ricerca, anche se vitale, ha bisogno di ben altri mezzi, di regole nuove che premino il merito, e di una maggiore considerazione sociale. Il Gruppo 2003 ha voluto lanciare un segnale in questo senso lanciando una nuova edizione del Premio Giovani Ricercatori (al quale è possibile partecipare fino al prossimo 20 giugno). Ma un segnale chiaro e forte va mandato anche al mondo della politica, che deve finalmente rendersi conto dell'importanza della ricerca e dei suoi protagonisti per il futuro del paese.

I limiti del Decreto “Rilancio” sulla ricerca

Non vi è dubbio che le misure destinate al “rilancio” - per usare il titolo dell’ultimo decreto governativo del 13 maggio - anche la ricerca dovrebbe avere un posto di primo piano. È cruciale infatti che oltre all’economia, al turismo, allo spettacolo, anche la scienza possa riaprire i laboratori, che possa contare su più ricercatori (al momento la metà della media europea) e più risorse distribuite in risposta a strategie precise e in base a valutazioni basate sul merito. In fondo, la ricerca su diagnosi, farmaci e vaccini contro Covid può rappresentare una voce importante della nostra economia, ma può anche salvare molte vite.

Che cosa prevede quindi il nuovo decreto a favore della ricerca? La risposta a questa domanda la troviamo soprattutto verso la fine dello sterminato decreto, agli articoli su università, ricerca e innovazione tecnologica. Per l’insieme di queste realtà il governo destina intorno al miliardo mezzo di euro, distribuito su tre anni (2020-2022), con aumenti del fondo ordinario delle università (FFO) e la previsione di un nuovo bando PRIN per un totale di 550 milioni di euro. Parte delle risorse (circa 250 milioni) sono destinate ad assumere 3.000 nuovi ricercatori [1].

La misura dà ossigeno ma non è risolutiva e non sembra per ora indicare un cambio di rotta. E d’altra parte sarebbe illusorio pensare che un decreto concepito in emergenza e di chiara impronta risarcitoria, come osservato da Sabino Cassese sul Corriere della Sera, potesse abbozzare una strategia compiuta [3]. Certo fa specie che una manovra eccezionale di circa 50 miliardi di euro destini 3 miliardi ad Alitalia e 1,5 al motore scientifico del Paese. 

Cosa serve ancora? Noi crediamo che quattro siano le domande che attendono ancora risposte adeguate dal governo: una strategia, infrastrutture, sburocratizzazione e nuove regole di valutazione.

La strategia: a che punto siamo con il nuovo Piano nazionale della ricerca 

Il governo ha effettivamente  dato l’avvio alla redazione del Piano con un decreto del 1° maggio di nomina delle commissioni. Il piano è stato giustamente sincronizzato sui tempi del nuovo programma quadro della Commissione europea (2021-2027). Questo è sicuramente un buon segno: il paese ha bisogno di una strategia che si caratterizzi per la capacità di guardare lontano, sostenere la ricerca di base (di prevalente competenza nazionale) preveda una pianificazione a livello nazionale ed europeo, e che operi anche come piano di indirizzo per la Commissione Europea.

I temi di sicurezza per la società, da quella climatica, ambientale, sanitaria, alimentare, informatica, delle strutture, e altri ancora, sono diventati di stretta attualità. Investire oggi sulla sicurezza - come sostenuto dal gruppo 2003 nel suo rapporto su ricerca e sicurezza del 2019 - vuol dire non essere costretti domani a sostenere spese insopportabili.

Ma proprio per la rilevanza della posta in gioco, sarebbe utile aprire la discussione del nuovo piano nazionale a tutta la comunità dei ricercatori e oltre, evitando logiche autoreferenziali. Ascoltare tutti, insomma, prima di assumersi la responsabilità di decidere su quali settori puntare, sarebbe per il governo un bel cambio di passo, in linea con le migliori pratiche europee

Anche le infrastrutture devono avere la giusta attenzione

Limitiamoci alla pandemia: la ricerca su virus, farmaci e vaccini va infatti sostenuta non solo finanziariamente, ma anche curando le condizioni di lavoro. Come ci ha segnalato il presidente della Società italiana di virologia Arnaldo Caruso, è evidente il declino sconsiderato della ricerca virologica in epoca pre-Covid-19, e di cui ora ci si rammarica tardivamente, lamentando soprattutto la mancanza di infrastrutture strategiche, come i laboratori ad alta sicurezza e i relativi finanziamenti. Stesso discorso vale per altri ambiti, dalla cybersecurity alla crisi climatica, al campo energetico.

Sburocratizzare e accelerare la ricerca 

Nell’attuale situazione di emergenza, sembra importante, per esempio, passare a una accelerazione su bandi su temi cruciali come Covid [2]. I ricercatori hanno bisogno sì di risorse, ma ancor prima di certezza sui tempi di pagamento. Chi ha necessità  di spendere deve poterlo fare velocemente e in modo omogeneo in tutto il comparto, documentando tuttavia in modo chiaro le ragioni dell'urgenza e assumendosi in prima persona responsabilità  civili e penali di eventuali errori e/o danni erariali.

Inoltre, i ricercatori necessitano che la normativa sulla sperimentazione animale sia adeguata alla normativa dei paesi europei. Questo tipo di ricerca richiede la massima serenità e concentrazione e non può essere rallentata da ostacoli di vario genere. In particolare, l’invio di minacce anonime a ricercatori e alle loro famiglie è un atto indegno che va perseguito con dovute indagini ed azioni giudiziarie, come più volte ribadito.

Valutazione e carriera dei ricercatori  

Sono molti i casi in cui si assiste alla migrazione forzata dei ricercatori italiani in altri Paesi per la mancanza di prospettive di crescita e di carriera in patria. I risultati relativi all’assegnazione dei finanziamenti ERC a giovani ricercatori hanno messo in luce, ancora una volta, il problema della ricerca in Italia [3]. Come risolvere questa crescente debolezza competitiva?

È interessante notare come in alcuni paesi europei un giovane che presenti un progetto ERC che riceva una valutazione positiva essendo ammesso al secondo livello di valutazione, riceve comunque un finanziamento a livello nazionale. In Italia questo è avvenuto solo nella prima assegnazione ERC e non è stato più ripreso.  Si fa riferimento al progetto IDEAS che fu bandito a seguito del primo call ERC per finanziare qui progetti (in realtà pochi) che avevano superato positivamente la prima valutazione, ma che non erano stati finanziati per mancanza di fondi. È importante studiare forme di sostegno, che altri paesi europei applicano, a progetti presentati, valutati positivamente, ma non finanziati. 

In un Paese normale, i ricercatori necessitano di certezze e meritocrazia nel reclutamento e nella progressione di carriera, nonché di mobilità territoriale per inserirsi in gruppi di ricerca coerenti alla propria preparazione culturale. Questa dinamica deve andare a sostituirsi alla cooptazione locale di ricercatori che nascono e crescono sempre nello stesso gruppo di ricerca, unitamente alla stesura di bilanci nei quali la voce di spesa non sia finalizzata prevalentemente alla progressione di carriera, ma anche e soprattutto al reclutamento, come avviene in molti paesi europei. Questo obiettivo richiede un intervento, non invasivo, ma promozionale, a livello nazionale rispetto alle autonomie locali di università e centri di ricerca.

A questo aspetto si accompagna lo sganciamento del finanziamento competitivo dei progetti di ricerca da logiche politiche e accademiche, cosa che si può ottenere soltanto facendo crescere anche in Italia, come nel resto del mondo, una Agenzia nazionale per la ricerca di alto profilo scientifico, indipendente dal controllo dei gruppi politici e finanziari, come più volte sostenuto dal gruppo 2003.  L’attuale emergenza e i costi connessi hanno temporaneamente eclissato questo organismo previsto dall’ultima finanziaria. Tuttavia, sarebbe urgente riprendere lo sviluppo e potenziamento di questo organismo, con l’ambizione di dare ad esso nei prossimi anni un ruolo centrale nel finanziamento basato sul merito e in coerenza con le strategie di ricerca e innovazione individuate dal governo e dal Piano nazionale della ricerca.

Finita l’emergenza Covid, si apre quindi l’opportunità di processo virtuoso che può portare il Paese a un livello di competizione internazionale e di effettivo rilancio economico e sociale. 

 

Note
1   Il Capo IX del Decreto Rilancio è dedicato a università e ricerca Altri articoli del decreto dedicati a ricerca applicata e tecnologia sono l’art. 42 (Fondo di trasferimento tecnologico e altre misure urgenti per la difesa e il sostegno alle innovazioni”, che destina circa 500 milioni di euro alle start-up, tramite ENEA; l’art. 48, che destina 10 milioni di euro al Tecnopolo bolognese; l’art. 57 “Aiuti alle imprese per la ricerca e lo sviluppo in materia di Covid-19, con agevolazioni e anticipi a carico di Regioni ed enti locali; l’art. 244 “Credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo nelle aree del Mezzogiorno”.
2 Ad esempio, la Regione Piemonte ha già  provveduto a modificare alcuni bandi in corso e a crearne alcuni ex novo per liberare risorse a favore di imprese e infrastrutture per la ricerca:
https://www.regione.piemonte.it/web/temi/fondi-progetti-europei/fondi-eu...
https://bandi.regione.piemonte.it/contributi-finanziamenti/vir-voucher-i...
La Regione Lombardia ha promosso un bando di 7.5 milioni di euro diretto a università , EPR, ospedali e aziende del territorio per ricerche su coronavirus:
https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioAvviso/servizi-e-informazioni/enti-e-operatori/ricerca-e-innovazione/covid-19-progetti-ricerca/covid-19-progetti-ricerca e ha aperto una piattaforma per condividere i dati e accelerare la ricerca: https://www.openinnovation.regione.lombardia.it/it/b/572/covidunapiattaf...
3 La situazione presenta risvolti preoccupanti al punto che autorevoli scienziati ormai definiscono l’Italia un paese malato per quanto riguarda il sistema ricerca. Il dato statistico che maggiormente risalta è che il numero di ricercatori italiani ai quali è stato assegnato il prestigioso riconoscimento ERC è pari a 48 finanziamenti, quindi un dato confrontabile con i paesi europei maggiormente impegnati nella ricerca scientifica,  UK, Germania e Francia. Quindi il sistema Italia ha successo, nonostante le note difficoltà, nella formazione di giovani ricercatori. Purtroppo, invece un dato successivo indica che meno di un terzo di questi opera in Italia, mentre due terzi hanno scelto di lasciare il paese per operare in altre nazioni europee. Altrettanto preoccupante è la scarsa capacità di attrazione di ricercatori stranieri da parte delle istituzioni e imprese italiane. Se esaminano il risultato delle assegnazioni dei grant ERC  "consolidator" e "advanced"  per ricercatori con maggiore esperienza di ricerca, allora il risultato si presenta  disastroso per il sistema Italia. Infatti, il numero di successi si riduce ulteriormente rispetto ai successi per le grant di giovani ricercatori. La spiegazione di questo declino va cercata nella obiettiva difficoltà di sviluppare ricerche altamente competitive con finanziamenti inadeguati.

 

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