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Antidecalogo. Dieci racconti tra debolezze e vizi umani

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Da tempo Giuseppe O. Longo, professore emerito di Informatica all’Università di Trieste e tra i primi cultori in Italia di teoria dell'informazione, affianca all'attività scientifica la scrittura narrativa e drammaturgica e l'attività di attore. La messa in scena di Farm Hall ne è l'ultimo, riuscito, esempio.

Longo non si limita a mescolare nella sua ricca produzione scienza e letteratura, mostrando nei fatti come possano convivere e arricchirsi a vicenda, ma ha variamente riflettuto sul rapporto tra scienza e narrazione nei suoi corsi di “Tecniche narrative e di scrittura” tenuti al Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste e nel suo saggio Scienza e letteratura: una figura bistabile?pubblicato in P. Greco, a cura di, Armonicamente. Arte e scienza a confronto, mimesis, Milano-Udine 2013, pp.  213-232.
Mette conto richiamare qualche aspetto di questa riflessione, perché può illuminare la sua ultima raccolta narrativa: Antidecalogo. Dieci racconti, Editoriale Jouvence, Milano 2015. Nel saggio del 2013 Longo sostiene che “la linea di demarcazione tra narrazione e simulazione è molto incerta: molte delle storie che ci narriamo sono 'inventate', cioè costituiscono una sorta di simulazione esplicita, anche se adottano il tempo passato; ma anche i racconti che definiamo 'oggettivi', che cioè dovrebbero riprodurre vicende accadute, sono sempre in parte rimaneggiati dal filtro della memoria-oblio e dalla parzialità del punto di vista, e contengono interpolazioni ed estrapolazioni, cioè componenti simulate inserite in un tessuto in linea di principio più 'reale'” (pp. 214-215).

L'imprescindibilità della simulazione nelle procedure narrative è condizione necessaria per una narrazione che oltrepassi la ricerca scientifica della verità e comprenda le “possibilità della verità”. L'ambiguità simulante della narrazione risponde all'interrogazione di senso sul mondo, che – prosegue Longo – “ha senso e insieme non ne ha: questa doppia e contraddittoria verità, che la scienza non potrebbe sopportare, e nemmeno afferrare, è invece nutrita e fortificata dalla natura enigmatica e allusiva della letteratura e in genere dell'arte” (p. 216). Ecco perché “la narrazione è più viva e attuale che mai” e intreccia la pluralità multiforme delle storie nel “senso della Storia”, “questo seguito di possibilità e di contingenze che trasformano una sola di quelle in necessità irreversibile, aprendo la strada ad altre contingenze e condizionando così, anche se debolmente, il futuro”. Questa riflessione sul rapporto tra narrazione, simulazione e senso delle nostre storie e della Storia è vicina al tentativo sviluppato da Michel Serres, almeno a partire da Hominescence (Le Pommier, Paris 2001) di percorrere anche in forma narrativa il Gran Récit che lega, nella sua  struttura arborescente, la storia del mondo naturale con quella del mondo umano.

Ma la propensione narrativa di Longo assume una fisionomia propria e originale, che rende conto delle sue competenze sull'intelligenza artificiale, sulla robotica e sui principali effetti della rivoluzione informatica nella comunicazione e nella vita quotidiana. Un libro fortunato come Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura (Laterza, Roma-Bari 19981, 20034) dimostra bene che l'intreccio di tali competenze permetta a Longo di indicare come la rivoluzione informatica cambi anche il nostro modo di pensare e quale sia il suo impatto sulla società e sullo sviluppo delle altre scienze. Ma mostra anche che  “gli esseri umani raccontano e si raccontano per trovare un'immagine del sé, per trovare un senso del mondo e della loro presenza nel mondo” (p. 103).

Lo stile della narrazione di Longo, alla ricerca di un'immagine del sé, innanzitutto fa leva sul quel mistero che secondo Albert Einstein “è la fonte della vera arte e della vera scienza. Chi non possiede questo ineffabile senso del mistero non può nemmeno essere un vero scienziato” (p. 231). Il velo del mistero avvolge ciascuno dei dieci racconti della silloge dell'Antidecalogo, illustrata in copertina da un quadro del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli, Il peccato inseguito dalla  morte, ispirato da un episodio del Paradise Lost di John Milton. L'Antidecalogo è scandito nei titoli dei suoi racconti, in gran parte inediti e scritti tra il 1980 e il 2011, dai dieci comandamenti, tematizzati in forma antifrastica. C'è poi un altro elemento caratteristico: il tema dell'ibridazione del simbionte, al quale Longo ha dedicato due libri recenti, Homo technologicus e Il simbionte. Prove di umanità futura (entrambi pubblicati dall'editore Meltemi di Roma, rispettivamente nel 2001 e nel 2003).             “Quanto potrà portarci verso una più ampia e profonda comprensione l'ibridazione con le macchine della mente (computer, rete ecc.)?”; “Grazie alle nostre macchine arriveremo ad essere 'super-intelligenti'? Oppure saranno loro, le macchine, a diventare super-intelligenti, abbandonandoci per strada?” (p. 231).

In particolare, Non dire falsa testimonianza (sottotitolo: Giobbe. Dramma per otto voci recitanti e basso continuo) descrive con le descrizioni divergenti di otto personaggi interrogati da un enigmatico inquisitore, lo scontro violento tra un programma di costruzione artificiale di simbionti uomo-macchina super-intelligenti, il progetto Talos (“Talos rappresenta la macchina vivente, l'artificiale animato, il simbionte o l'androide, l'ibrido di uomo e macchina. È la metafora della creazione mediata dall'uomo”, p. 97), e un salto evolutivo naturale che, con bambini come Giobbe, “stava fabbricando gli esseri super-intelligenti per via biologica” (p. 96), trovando “terreno favorevole nelle nuove condizioni in cui si era venuto a trovare il pianeta. Forse l'inquinamento, forse i cambiamenti climatici, forse la variazione di alcuni parametri del moto terrestre, l'inclinazione dell'asse sul piano dell'eclittica, oppure l'intensificazione dei raggi cosmici, o del vento solare, un'attività abnorme della corona” (come cerca di spiegare L'urologo, pp. 97-98). Questo Dramma per otto voci recitanti e basso continuo che, come negli altri racconti, non conduce a una 'risoluzione' narrativa che sia anche una 'soluzione' razionale, assorbe un assillo di Longo che tocca quei problemi insieme epistemologici, tecnologici ed etici che vanno sotto il nome di  'post-human', per i quali rimane utile la ricognizione complessiva offerta da Roberto Marchesini in Post-Human. Verso nuovi modelli di esistenza (Bollati Boringhieri, Torino 2001). In questo racconto, come anche in Ricordati di santificare le feste (sottotitolo: Natale al Diorama), traspare una dimensione 'nostalgica' che guarda all'ibridazione di uomo e macchina, e più in generale agli scenari desertificati di un'esistenza non più tradizionalmente umana, come esito di una crisi della scienza e di un mondo irreversibilmente trasformato, e peggiorato, dalla tecnica. La nostalgia dell'umano traspira nel mondo extraterrestre popolato da arpie, lemuri e meduse di Ricordati di santificare le feste e conduce Egyeb a vedere al Diorama, al carissimo prezzo di diventare uno zombi che si lascia succhiare il sangue da un'arpia, lo spettacolo di un Natale vissuto “sessant'anni prima, quand'era ancora sulla Terra, bambino” (p. 40), del quale “per tanti anni [ne] aveva perso il ricordo e il ricordo del ricordo” (p. 41). Egyeb ora si trovava su Akkor, lontano da ogni dimensione umana, ma “dalla Terra una stazione sfuggita al disastro lo ritrasmetteva ogni anno in quel giorno, che su Akkor era uguale a tutti gli altri giorni, nella rossa vampa di quel cielo, di quel sole implacabile” (p. 41). Un gioco di ricordi perduti nello spazio extraterrestre, che fa pensare al film A.I. - Intelligenza artificiale (2001) di Stephen Spielberg, nel quale, in un mondo devastato dall'effetto serra e dell'innalzamento degli oceani, vengono prodotti robot molto simili a esseri umani, come David, dalle fattezze e dal comportamento di un bambino. Dopo una storia lunga e avventurosa David  verrà recuperato da robot evoluti che hanno preso il posto degli umani, ormai estinti, e che tramite David ottengono informazioni su quella specie umana che non hanno mai conosciuto e con cui bramano di ricongiungersi. David non potrà diventare un bambino vero, come avrebbe voluto, ma tramite la sua memoria e la sua narrazione il ricordo della specie umana si prolunga ben oltre la sua estinzione.

Per analogia si potrebbe, in conclusione, intendere la narrazione di Longo come un tassello di quell'indefinito racconto di storie che recuperano e trasmutano i ricordi, tessendo un fragile ponte di parole che chiamiamo 'senso'. La vertigine del domandare e del narrare che si prova, insieme a una condizione spesso angosciosa e oscura, alla lettura di questi racconti ci porta al centro di un grande, incomprensibile rimbombo, in quella lingua del mondo che è nelle cose e non cesserà mai di essere parlata.


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