fbpx Arriva la rivoluzione dell'esposomica | Scienza in rete

Arriva la rivoluzione dell'esposomica

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

Immaginatevi un migliaio di persone dotati di smartphone che oltre alle normali funzioni rilevano con speciali sensori alcuni inquinanti, e che grazie a un GPS correlano le esposizioni con gli spostamenti. Immaginatevi ora che le stesse persone vengano seguite all'interno di una sperimentazione che periodicamente preleva loro sangue e altri liquidi corporei, dosandone i principali metaboliti; che ne segua la storia medica e indaghi con questionari sulle principali abitudini di vita.

Ecco come si presenta dalle prime indiscrezioni Exposomics, forse il più ambizioso progetto di nuova epidemiologia ambientale, finanziato per quattro anni dalla Commissione europea per 8,7 milioni di euro. Il consorzio, composto da 12 partner e guidato dall'Imperial College di Londra (fra gli altri lo IARC di Lione e il CREAL di Barcellona) vara una rivoluzione nel modo di misurare le esposizioni ambientali e correlarle agli esiti di salute.

Fino a oggi l'epidemiologia ambientale si è basata su misurazioni indirette, spesso semplicemente la distanza dei soggetti dalle fonti inquinanti (le cui emissioni vengono ricostruite con modelli di dispersione): un po' poco per arrivare a stabilire solide correlazioni fra esposizioni e malattie. Tant'è vero che – come sottolinea Paolo Vineis dell'Imperial College di Londra (che coordina il progetto) “è di fatto impossibile catturare, ad esempio, la reale associazione fra PCB e linfoma non-Hodgkin basandosi solo sulle misure di esposizione e i questionari tradizionalmente usati”.
Serviva qualcosa di nuovo, e soprattutto di allineato alla rivoluzione molecolare che interessa ormai da decenni biologia e medicina.

Questa rivoluzione ha un nome: esposoma, un concetto proposto per la prima volta da Christopher Wild, direttore dello IARC di Lione, in un articolo apparso su CEBP nel 2005 (“Complementing the Genome with an Exposome: the Outstanding Challenge of Environmental Exposure Measurement in Moleculare Epidemiology”) (ma si veda anche l'articolo di S. Rappaport). Esposoma è l'insieme delle esposizioni di un soggetto per una vita intera, dall'utero alla tomba, per così dire. In esso quindi è compresa tutta la storia delle interazioni personali con l'ambiente: non solo quindi gli agenti chimici e fisici presenti nell'aria e nell'acqua, ma anche tutto quanto nello stile di vita (alimentazione, alcol, esercizio fisico, fumo, stress ecc.) lasci la propria firma molecolare nell'organismo. E qui arriva l'altro punto fondamentale del progetto: l'omics. Con una impostazione che richiama i Genome Wide Association Studies, il nuovo approccio si prefigge di passare al setaccio tutto quanto si può trovare nei liquidi corporei esaminati con avanzate tecniche di spettrometria, alla caccia di biomarcatori, i quali a loro volta vengono messi in relazione con mutazioni genetiche (del DNA e del RNA), epigenetiche, metoboliche e proteomiche. Un'impostazione top-down – quindi – che non parte da ipotesi già assodate di relazione agente-malattia, ma dai risultati della “cieca” scansione delle sostanze presenti nell'organismo messe statisticamente in relazione con le variazioni riscontrate nei diversi omics degli individui esaminati. Da questo potrebbero venire alla luce associazioni anche inaspettate fra biomarcatori e le principali malattie croniche, di cui si sospetta ormai da tempo una robusta radice nelle esposizioni ambientali. Non solo “veleni” chimici, quindi, ma anche – per dire – la pressione esercitata dallo stress psicosociale, che può tradursi a livello organico nell'accorciamento dei telomeri e in altre risposte biologiche, come il “carico allostatico” conseguente ad attivazioni neuroendocrine, o particolari espressioni geniche. Una nuova frontiera scientifica capace finalmente di ricondurre anche realtà più sfuggenti come la salute mentale e la sindrome di status alla genesi delle malattie organiche.

“Il sequenziamento del genoma umano ci ha fornito una messe considerevole di informazioni sulla suscettibilità genetica coinvolta nell'insorgere delle malattie. Ma è ormai chiaro che le malattie più diffuse (dal diabete al cancro, dalle malattie neurodegenerative a quelle cardiache) hanno cause diverse dalla mera componente genica” continua Vineis. In questa luce, quindi, si può ben dire che l'ambiente (da quello dello sviluppo intrauterino a quello fisico-psicologico-sociale nel quale viviamo – stili di vita compresi) ha una parte preponderante nell'evoluzione del nostro stato di salute. Ma è un oceano ancora inesplorato, che va scandagliato con i nuovi strumenti molecolari del biomonitoraggio e della genomica.

Già da qualche anno sono in corso ricerche di questo tipo, che possono peraltro giovarsi delle coorti di sani e malati come il Millennium Cohort Study del Dipartimento della difesa statunitense (circa 150.000 individui screenati) o di grandi trial del National cancer Institute americano (come il Prostate, Lung, Colorectal and Ovarian cancer screening Trial). Poter accedere alle banche di materiali biologici di queste coorti consentirebbe di generare nuove ipotesi di associazione fra esposizioni (anche multiple) e malattie.

Da queste collaborazioni cominciano già a fioccare i primi risultati importanti, come la “firma trascrittomica” (molecole del RNA prodotto dal genoma) del benzene, il diverso profilo dei micro-RNA in fumatori e non-fumatori, o degli studi di associazione fra esposoma e metaboloma nel Parkinson (vedi The Exposome: A powerful Approach for Evaluating Environmental Exposures and Their Influences on Human Diseases, The National Academies, USA).

In questa nuova teoria unificata della patogenesi - simile, per ambizione alla teoria della grande unificazione in fisica – la medicina recupera una visione olistica (ma scientifica) della salute, e non potrà che essere sviluppata attraversi grandi progetti internazionali come Exposomics (vedi anche cosa ne scrive Nature). Mettere infatti in relazione malattie, polimorfismi genomici e biomarcatori di migliaia di individui in continua evoluzione porrà ben presto la comunità scientifica davanti a una immensa sfida informatica, ben superiore a quella affrontata con il sequenziamento del genoma umano.

Nei prossimi quattro anni Exposomics seguirà 13 diverse coorti di individui caratterizzate da fasce di età diverse (dalla vita in utero alla terza età) per arrivare a una visione ampia e dinamica dell'esposizione ambientale (all'inquinamento outdoor e indoor, a pesticidi, cosmetici e altri prodotti chimici, a stili alimentari, abitativi, di mobilità ecc.). Tre gli scopi principali del progetto: generare nuove ipotesi di eziologia ambientale delle malattie; identificare con più precisione i contaminanti più rilevanti per la salute pubblica, in modo da poter elaborare nuove leggi e regolamenti per ridurne le emissioni. E forgiare infine una nuova medicina personalizzata in grado di intervenire sugli individui in base al loro profilo di suscettibilità ambientale e genetica. (Obiettivo affascinante, ma indubbiamente ancora molto lontano).


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.