È di lunedì 26 ottobre 2015, la notizia dell’assoluzione da parte del Tribunale di Roma di Nello Martini, “fondatore” dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e direttore fino a luglio 2008, dall’accusa di disastro colposo perché “il fatto non sussiste”. Una bella notizia, ma che lascia l’amaro in bocca.
La vicenda di Martini, che potremmo definire “kafkiana”, merita di essere conosciuta e ampiamente condivisa.
Nel 2008 il dottor Martini era stato accusato di “disastro colposo” dalla Procura di Torino (successivamente l’inchiesta è stata trasferita a Roma) per non aver aggiornato tempestivamente le informazioni contenute nei foglietti illustrativi di ventidue farmaci (su oltre 13.000 specialità medicinali in commercio) tutti in vendita in Europa, Italia compresa, da almeno dieci anni.
Come documentato nei mesi successivi da nove autorevoli farmacologi e clinici italiani l’eventuale ritardo nell’aggiornamento delle schede non poteva aver avuto «conseguenze di qualche rilievo sulla salute pubblica». In quasi tutti i casi le informazioni sui rischi e gli effetti collaterali dei medicinali erano infatti già presenti nei foglietti illustrativi, e le modifiche richieste riguardavano una riformulazione di frasi/termini riportati.
Nonostante il parere degli esperti e le conclusioni di una commissione ministeriale, Martini venne frettolosamente licenziato dall’AIFA e sottoposto a processo.
Già assolto dalla stessa accusa nel 2010 (sentenza annullata dalla Cassazione per motivi formali) lo è stato nuovamente il 26 ottobre, dopo 7 anni e mezzo dall’inizio di questa vicenda.
La vicenda di Nello Martini aveva trovato eco su alcune prestigiose riviste scientifiche internazionali, preoccupate per la sua rimozione, ma, se si se si escludono rare eccezioni come l’articolo di Daniela Minerva sull’Espresso dal titolo esplicativo “ È bravo, mandiamolo via”, era stata descritta in maniera acritica e superficiale dalla stampa italiana, che ha seguito lo stile “sbatti il mostro in prima pagina”.
Non per nulla la notizia dell’assoluzione sembra aver avuto una scarsa eco sui mezzi di comunicazione nostrani.
Scrive Roberto Turno sul Sole 24 Ore Sanità: “Con la pronuncia del tribunale si chiude dunque una brutta, anzi bruttissima pagina della sanità e delle vicende del farmaco. A Nello Martini vanno restituiti onore e dignità. Lo faranno ora?”. Purtroppo a chi ha sbagliato difficilmente sarà chiesto di renderne conto. Sarebbe però auspicabile che a questa notizia venisse data la visibilità che merita.
Assolto Nello Martini. Onore a un’idea alta e scomoda di governo del farmaco
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La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.
Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.