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Auto elettriche: occorre ripensare il modello di mobilità

Vehicle battery pack ballistic shield, Tesla Inc 2011

Da un punto di vista sia economico sia ambientale, la parte più costosa di un’auto elettrica è la batteria, pertanto è bene sfruttare tutta la sua vita utile. Tuttavia, il modello di mobilità attuale, basato su molte auto private poco utilizzate, non è né efficiente né sostenibile per un parco auto completamente elettrificato: occorre passare verso un modello di mobilità basato sul car sharing di veicoli a guida autonoma.

Immagine: Patent US8286743B2, Vehicle battery pack ballistic shield, Tesla Inc 2011.

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Nel 2023, in Italia le immatricolazioni di auto elettriche sono state 66.276, con una quota di mercato del 4,22%, contro le 49.053 del 2022 e una quota di mercato del 3,71%. Il parco circolante BEV si attesta così a 220.188 unità.

Su base regionale, le immatricolazioni sono così ripartite: in testa il Trentino-Alto Adige con 12.807 veicoli immatricolati, seguito da Lombardia con 12.509 immatricolazioni, Lazio 7.533 veicoli, Toscana con 6.410, Veneto con 5.327, Emilia-Romagna 5.025 veicoli e Piemonte con 4.299 veicoli.

Nel confronto con gli altri principali Paesi europei nel periodo gennaio-novembre 2023 con lo stesso periodo del 2022 si continua a notare un incremento della quota di mercato delle auto elettriche in tutti i maggiori Paesi europei, con l’Olanda sempre in testa con il 29,99% di quota di mercato, seguita da Belgio (19,02%) Germania (18,07%), Regno Unito (16,29%), Francia (16,39%) Spagna (5,56%), mentre l’Italia, si ferma al 4,07%. (Dati Motus-E)

Nonostante la quota di mercato delle auto elettriche stia crescendo, seppur più lentamente in Italia rispetto ad altri Paesi europei, il dibattito su alcuni aspetti delle auto elettriche è ancora molto acceso. Abbiamo provato ad affrontare alcune di queste tematiche con Sergio Savaresi, professore ordinario presso il Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano che guida il gruppo di ricerca mOve, che si occupa di controlli automatici in veicoli terrestri. Con il team PoliMOVE, nato in seno al gruppo mOve, ha vinto due edizioni della Indy Autonomous Challenge, un torneo per auto da corsa a guida autonoma.

Sicurezza delle auto elettriche

Uno degli aspetti frequentemente dibattuto in rete è la sicurezza, in particolare rispetto al rischio incendio. La questione torna ciclicamente alla ribalta ogniqualvolta la cronaca riporta di incendi in cui sono stati coinvolti veicoli elettrici.

Nelle batterie a litio si possono verificare delle reazioni chimiche indesiderate che determinano il cosiddetto thermal runaway. Come spiega Savaresi: «Si tratta di un’instabilità termica dovuta a un cortocircuito, a un danneggiamento della cella oppure a un'alterazione dei parametri nominali e che può innescare un incendio e propagarsi alle altre celle vicine».

L’agenzia svedese per le emergenze civili (MSB Myndigheten för samhällsskydd och beredskap) ha rilevato che nel 2022 si sono verificati 3,8 incendi ogni 100.000 auto elettriche o ibride, rispetto ai 68 incendi ogni 100.000 auto prendendo in considerazione tutti i tipi di carburante. Tuttavia, queste ultime cifre includono gli incendi dolosi, rendendo i confronti complicati.

Il Dipartimento della Difesa australiano ha finanziato EV FireSafe per esaminare la questione. Si è scoperto che c’è una probabilità dello 0,0012% che la batteria di un veicolo elettrico prenda fuoco, rispetto allo 0,1% di probabilità per le auto con motore a combustione interna.

Come spiega Savaresi, «È difficile fare una comparativa». Secondo il professore, l’allarmismo sarebbe dovuto all'Ansia da nuova tecnologia. «C’è una vecchia tecnologia che è chiaramente rischiosa, perché portare in giro decine di litri di benzina è pericoloso, ma ci siamo abituati. Le auto elettriche sono una tecnologia relativamente nuova, non siamo abituati a questo tipo di rischio e quindi si è creato dell’allarmismo; ma è difficile affermare che le batterie sono più pericolose di un serbatoio di benzina. Non fa assolutamente notizia se un’auto a benzina prende fuoco a seguito di un incidente, lo si ritiene normale; fa notizia se un veicolo elettrico prende fuoco a valle di un incidente».

Le materie critiche per la produzione delle auto elettriche 

Un altro aspetto, che riguarda sempre le batterie, è la reale disponibilità dei materiali per la loro produzione. Le quantità variano a seconda del tipo di batteria e del modello del veicolo ma, secondo i dati dell'Argonne National Laboratory, un singolo pacco batteria agli ioni di litio per auto potrebbe contenere circa 8 kg di litio, 35 kg di nichel, 20 kg di manganese e 14 kg di cobalto.

L’U.S. Geological Survey, Mineral Commodity Summaries 2024 stima che, grazie alla continua esplorazione, le risorse di litio siano aumentate sostanzialmente in tutto il mondo e ammontino a circa 105 milioni di tonnellate. Tuttavia, solo 28 milioni si possono considerare riserve, ossia effettivamente sfruttabili.

Mentre per il cobalto si stima che le risorse terrestri siano di 25 milioni di tonnellate, per lo più concentrate tra Congo e Zambia, cui si aggiungono 120 milioni di tonnellate sui fondali oceanici sottoforma di noduli polimetallici. L'estrazione di queste ultime è però controversa, poiché manca una regolamentazione per lo sfruttamento di tali risorse che in parte ricadono in acque internazionali.

Il riciclo delle batterie delle auto elettriche

Una via per ridurre il consumo di materie prime è il ricorso al riciclaggio delle batterie, che, come spiega Savaresi, «È ancora all’inizio. È chiaro che va sviluppata una filiera e tutti i Paesi che stanno puntando sull’elettrico si stanno attrezzando. Non è ancora ben sviluppato perché la stragrande maggioranza delle batterie per uso automotive non hanno bisogno di essere riciclate: la necessità di riciclarle la vedremo non prima di cinque, dieci anni».

L’industria si sta già preparando ad affrontare lo smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici, anche perché il riciclaggio non solo preverrebbe l’inquinamento ma aiuterebbe anche i governi a rafforzare la loro sicurezza economica, aumentando le forniture di metalli chiave per le batterie, controllati da una o poche nazioni. Dunque, se da un lato lo smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici è un problema di gestione dei rifiuti, dall'altro, è un'opportunità per produrre un flusso secondario sostenibile di materiali critici.

Tuttavia, non manca qualche difficoltà. Le batterie differiscono notevolmente tra i vari costruttori, sia in termini di composizione chimica sia nel modo in cui sono costruite, il che rende difficile creare sistemi di riciclaggio efficienti. Ciò fa sì che spesso per i produttori di batterie sia più economico acquistare metalli estratti piuttosto che utilizzare materiali riciclati.

Inoltre, le batterie dei veicoli elettrici hanno una struttura annidata: un pacchetto principale contiene diversi moduli, ciascuno dei quali è costituito da numerose celle più piccole. All'interno di ciascuna cella, gli atomi di litio si muovono attraverso un elettrolita tra un anodo di grafite e un foglio catodico composto da un ossido di metallo. Le batterie sono solitamente definite dai metalli nel catodo. Esistono tre tipi principali: nichel-cobalto-alluminio, ferro-fosfato e nichel-manganese-cobalto.

Le aziende che si occupano del riciclaggio sono più interessate ai metalli del catodo, come il cobalto e il nichel, che hanno prezzi elevati, ma a causa delle piccole quantità presenti nelle batterie sono difficili da trovare e recuperare.

La tecnica più comune per il recupero dei metalli è la pirometallurgia, in cui la cella viene prima distrutta meccanicamente e poi bruciata, per procedere infine al recupero dei metalli. Il principale vantaggio di questa tecnica è che chi ricicla non ha bisogno di conoscere la struttura e la chimica della batteria; lo svantaggio è che si tratta di una tecnica altamente energivora. L’idrometallurgia, invece, prevede l’immersione dei materiali delle batterie in soluzioni acquose acide, producendo un liquido carico di metalli. Questa tecnica consente il recupero di materiali non recuperabili tramite la prima, ma talora rende difficile il recupero di altri metalli dal liquido ottenuto. Inoltre, occorre che la batteria sia scarica e vengono utilizzate sostanze pericolose per la salute. Infine, va tenuto conto che entrambi i processi producono grandi quantità di rifiuti ed emettono gas serra.

Una tecnica alternativa è il recupero diretto del materiale catodico nella sua composizione chimica e fisica originaria e riutilizzarlo direttamente per la produzione di nuove celle agli ioni di litio. Ciò consente di evitare le costose procedure ad alta intensità energetica per la separazione dei materiali della batteria e il successivo riassemblaggio.

La ricerca per il riciclaggio completo delle batterie continua, sia da parte di chi le deve riciclare sia da parte di chi le produce per realizzare batterie che siano più semplici da riciclare.

Il problema delle batterie non è l'autonomia ma il rischio di non sfruttarne la vita utile

Un aspetto forse poco conosciuto, invece, riguarda l’autonomia delle batterie. «Non è un problema dare lunghe autonomie alle batterie delle auto elettriche. Se volessimo delle batterie che abbiano autonomie reali di 500-600 chilometri, non sarebbe un problema costruirle», spiega Savaresi. «Ma, ironicamente, queste batterie durerebbero troppo. Supponiamo di avere un’auto elettrica con un’autonomia di 500 chilometri: una batteria a litio può essere ricaricata circa 1.500 volte, il che vuol dire che la vita della batteria sarebbe 750mila chilometri».

Secondo dati riportati nello studio L’automobile: italiani a confronto, condotto nel 2022 da UNRAE, Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri, la percorrenza media annua per vettura è pari a 10.712 chilometri. Questo vorrebbe dire che un’auto elettrica potrebbe durare teoricamente circa 75 anni; ma il deterioramento della batteria non dipende solo del numero di volte che viene ricaricata ma anche da quello che viene chiamato calendar aging, ossia l’invecchiamento dovuto al trascorrere del tempo. Dunque, secondo Savaresi, il rischio paradossalmente è quello di non sfruttare integralmente la vita utile della batteria: «L’auto elettrica ha senso solo se usata molto intensamente, quindi 50, 60, 70 mila chilometri l’anno, ma questi non sono chilometraggi da utilizzo privato».

Un nuovo modello di mobilità per le auto elettriche

Per sfruttare a pieno il potenziale delle auto elettriche occorre quindi cambiare il modello di mobilità. «L’attuale modello di mobilità si basa su moltissime auto private, utilizzate pochissimo, mentre l’auto elettrica, per quanto detto prima, si presta molto bene a un utilizzo intensivo compatibile con il car sharing. L’elettrificazione di massa delle auto ha senso solo se si va verso un modello di mobilità basato largamente sul car sharing. Per un pieno sviluppo del car sharing occorre lo sviluppo dei veicoli a guida autonoma», spiega Savaresi.

Secondo il ricercatore, l’elettrificazione delle auto è certamente il punto di arrivo, ma inverte l’ordine con cui questo traguardo sarà raggiunto: prima occorre lo sviluppo dei veicoli a guida autonoma, che permetterà la diffusione del car sharing in modo capillare, e questo consentirà di sfruttare a pieno le potenzialità dei veicoli elettrici. «Un’elettrificazione completa su un parco veicolare privato è sostanzialmente infattibile e insostenibile. Dunque meno macchine ma più utilizzate: questa è la direzione che dobbiamo prendere».

 


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