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Capitalismo, quanto mi costi!

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La trappola dell'efficienza è il nuovo libro degli economisti Pier Giorgio Ardeni e Mauro Gallegati, che prende atto delle cose buone del capitalismo criticandone però i fortissimi impatti ambientali e sociali. È un riassunto di quanto accaduto in economia fino alle attuali crisi, che vuole spogliarla dai vecchi stracci del pensiero mainstream e aggiornarla sulle sfide di oggi: clima, salute e guerre.

Immagine Pixabay

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Negli ultimi anni, l’economia si sta facendo più “scientifica”. C’è, da parte degli economisti più ragionevoli, una maggiore attenzione alla verificabilità delle proprie teorie, un maggiore riguardo verso il mondo naturale e sociale circostante, altrimenti relegato a essere mera “esternalità”. Si pensi al concetto di mission-oriented di Mariana Mazzucato sul rapporto tra pubblico, privato, scienza e democrazia che è ormai parte integrante delle politiche economiche dell’Unione Europea; il nostro stesso PNRR è articolato in "missioni", non a caso.

Non sapremmo quantificare quanti economisti stanno modernizzando il loro pensiero in questo senso rispetto a quelli ancora relegati al vecchio e scricchiolante mainstream. In ogni caso, c’è qualcuno che lo fa da sempre, come Pier Giorgio Ardeni, ordinario di economia dello sviluppo all’Università di Bologna, e Mauro Gallegati, ordinario di macroeconomia avanzata all’Università Politecnica delle Marche, che sono da poco usciti con La trappola dell’efficienza. Ripensare il capitalismo per uno sviluppo diverso (Luiss University Press, 2024).

Il libro tratteggia parte della storia dell’economia occidentale, raccontando la nascita e la crescita del capitalismo, riconoscendone tanto i benefici quanto i danni. La denuncia principale che regge tutto il libro è anzitutto rivolta agli strumenti concettuali con cui il pensiero mainstream descrive i fenomeni economici: con leggi e assiomi mutuati dalle leggi della meccanica classica newtoniana. Ottima per descrivere il moto di semplici palle da biliardo; pessima per arrogarsi il diritto di voler esaustivamente descrivere non tanto una fisica più complessa, ma una rete inestricabile di persone fatte di comportamenti razionali e irrazionali. È ingenuo infatti continuare a pensare che l’economia abbia a che fare con individui scollati con in tasca il portafoglio e la calcolatrice, governati dalla fatidica mano invisibile del mercato. Il premio Nobel Joseph Stiglitz (con cui Gallegati collabora, per altro) suggerisce una linea interpretativa: «La mano invisibile è invisibile perché non esiste».

Riconoscere la complessità della società di cui l’economia dovrebbe descrivere le sfaccettature, significa tra le altre cose fare i conti con il re degli indicatori economici: il PIL. È ormai cosa nota agli esperti (quasi tutti) quanto questo sia inadatto a rappresentare tutte le facce del benessere. Non misura la distribuzione della ricchezza, non misura il benessere reale (e non stiamo qui a ricordare per l’ennesima volta il celebre discorso di Bob Kennedy), non misura tutti gli impatti sull’ambiente e sulla società. E soprattutto, non può crescere per sempre e sempre più velocemente, se, in ultima istanza, dipende dallo sfruttamento di risorse fisiche reali che, come fisica ci insegna, non sono affatto infinite. Gli autori, accanto agli interessanti paragrafi di carattere storico, affiancano infatti anche considerazioni che riassumono le principali evidenze scientifiche sullo stato dell’ambiente, che ogni economista dovrebbe conoscere almeno un po'.

Inoltre, Gallegati e Ardeni mettono in luce quanto Covid-19, crisi climatica e guerre abbiano minato alla base dei principali assunti economici classici, riportando in auge il ruolo indispensabile degli stati. Ma attenzione, gli stati non possono più intervenire nell’economia solo nei momenti di crisi, ma anche “in tempo di pace”, ammesso che questo esista davvero.

Spesso gli economisti paragonano il mercato ai processi che caratterizzano l’evoluzione della specie di Darwin rifacendosi alla “legge del più forte”. Purtroppo non funziona così nemmeno l’evoluzione, dove chi si adatta meglio a determinati ambienti non è affatto detto che sia più “forte” (qualsiasi cosa voglia dire), ma dove esiste la cooperazione oltre che la competizione, la simbiosi oltre che il parassitismo. I due autori non ci fanno dimenticare le note parole di Margaret Thatcher, tra i principali fautori del pensiero economico liberista oggi da abbandonare: «La società non esiste, esistono solo gli individui».

Il capitalismo, si legge nel libro, è intrinsecamente instabile. Produce grandi ricchezze, ma per farlo crea altrettanti danni.

Lo sviluppo del capitalismo industriale non sarebbe potuto avvenire senza il parallelo sviluppo dei mercati del capitale […]. Ma quei mercati, particolarmente nelle prime fasi, non sono particolarmente attrezzati a garantire i prestiti e le erogazioni, isolando quando possibile i fenomeni speculativi strumentali, o proteggendo gli investitori dagli effetti nefandi dei fallimenti. Il capitalismo delle origini è molto più “selvaggio” e improvvisato di quanto si potrebbe immaginare. Tanto quanto la costruzione di uno stabilimento nelle vicinanze di un corso d’acqua, possibilmente non troppo distante da una miniera, non è certamente guidata da alcuna programmazione territoriale o piano di urbanizzazione – e così la costruzione di alloggi per i lavoratori – così banche e compagnie finanziarie nascono in modo spontaneo grazie all’azione di pochi capitalisti desiderosi di mettere a frutto i loro capitali. Lo spontaneismo è a un tempo una grande leva di sviluppo e una grande incognita, perché espone al rischio le iniziative imprenditoriali.

La transizione ecologica dipende fortemente dalla chiave economica interpretativa con cui la si imposta. Sebbene sia assolutamente indispensabile sostituire in massa gran parte delle tecnologie in circolazione che riguardano energia, trasporti, industria e agricoltura, è pericoloso pensare che si possa trattare di una mera sostituzione. La sostenibilità dello sviluppo, se non si vuole cadere in trappole retoriche, esiste solo se, come diceva il rapporto Brundtland dell’87, soddisfare i bisogni delle generazioni presenti non compromette quelli delle generazioni future. In altre parole, lo sfruttamento inevitabile delle risorse naturali – che esiste da quando esiste Homo sapiens – deve consumare e scartare non più di quanto la natura riesca a produrre e riassorbire. La tecnologia e l’efficienza sono indispensabili, ovviamente, ma le politiche economiche devono fare in modo che non si ripeta il classico esempio delle automobili: oggi sono molto più efficienti singolarmente, ma così tante di più del passato che complessivamente inquinano di più.

Verso la fine del libro, gli autori offrono anche una loro lettura, condivisibile per altro, sul rapporto tra scienza e politica – molto caro a noi di Scienza in rete.

Tuttavia, la relazione tra scienza e politica è più complessa di un mero flusso lineare di informazioni o conoscenze dai generatori (scienziati) ai destinatari (decisori politici o altri attori politici). […] La mancanza di sostegno scientifico nella progettazione delle politiche non è il risultato di un “deficit di informazioni”, ma di un problema strutturale correlato agli interessi e agli atteggiamenti sia dei decisori che del pubblico. La maggior parte dei problemi che richiedono un processo decisionale che deve rispondere a un consenso sociale non possono essere affrontati solo avendo a disposizione maggiori e migliori informazioni o conoscenze. Come sappiamo, i responsabili politici sono orientati a obiettivi precisi, generalmente di corto respiro e a breve termine, e hanno capacità cognitive limitate, e quindi sono influenzati dai loro stessi interessi, ideologie e convinzioni quando elaborano le informazioni (e sono guidati da una combinazione di emozioni e ragionamento razionale, come ogni essere umano).

Tra le raccomandazioni finali Ardeni e Gallegati ci ricordano che «non possiamo perseverare con una politica di privatizzazione dei guadagni e socializzazione delle perdite». Sta tutto qui.

Poiché il PIL misura beni e servizi che hanno un prezzo, un’epoca di costi marginali quasi nulli lo rende obsoleto. […] Questo cambio di prospettiva ci fa altresì passare dal concetto di proprietà a quello di uso di beni e servizi, in primis del reddito minimo di welfare e dal conflitto alla collaborazione (attraverso i commons collaborativi, cioè la divisione orizzontale del sistema economico – mi produco l’energia senza doverla acquistare da un grande fornitore, mi informo in rete, o divido l’uso delle auto – in una rete di connessioni tra agenti in cui una persona è al tempo stesso produttore e consumatore) tra lavoro e capitale. Non profetizziamo la morte della grande impresa, ma le nuove tecnologie metasostenibili […] di piccola scala lasciano immaginare reti di tanti piccoli produttori-consumatori.

E ancora, propongono

l’istituzione di un dividendo sociale – un reddito universale – finanziato dai trasferimenti di ricchezza ereditaria e dalla imposizione progressiva sui redditi. Lo Stato assume la proprietà “di circa il 50% delle ricchezze della società e utilizza il ricavo derivante dalla remunerazione del capitale per concorrere al finanziamento del dividendo sociale”. […] Per ridurre la disoccupazione e la disuguaglianza, è insufficiente operare solo sui flussi di reddito: occorre rivedere e redistribuire gli assetti proprietari. Inoltre, si devono introdurre misure fiscali su quanto è ritenuto socialmente indesiderabile.

Come sanno i nostri lettori, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, e abbiamo visto quali sono gli uni e gli altri. Oggi la società ha bisogno di una economia più moderna, che aiuti la politica, la scienza e la società (e anche l’informazione) ad affrontare al meglio il secolo che terminerà nel 2100. Non si tratta solo di una necessità di perfezionismo accademico, ma di equità e giustizia sociale. Gli economisti sono un po’ come i politici e i giornalisti, sanno un po’ di tutto e sono tra le persone che hanno (o dovrebbero avere) un’immagine della società più completa. Gallegati e Ardeni ne sono un esempio e questo libro lo dimostra.

 

Segnaliamo che la sera del 31 luglio chi vi scrive presenterà il libro assieme a Mauro Gallegati a Sirolo (AN) in piazza Gugliormella ore 21.30.

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