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Carbon offsetting: a chi giova?

Il carbon offsetting prevede la compensazione delle emissioni con interventi che ne assorbano o annullino un quantitativo equivalente. Ma, come molti ambientalisti sospettavano, rappresenta in realtà un espediente volto ad aggirare l’obiettivo primario per azzerare le emissioni, la mitigazione, e soprattutto difficile da controllare e verificare.

Crediti immagine: Jas Min/Unsplash

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Per evitare future probabili catastrofi climatiche, le cui anticipazioni sono sempre più presenti, bisogna raggiungere l’obiettivo di zero emissioni di gas serra nell’atmosfera entro il 2050. Il metodo per raggiungerlo è la mitigazione, quindi la sostituzione delle attuali fonti di emissioni – principalmente l’uso dei combustibili fossili – con energie rinnovabili. Fin dal Protocollo di Kyoto è stato tuttavia previsto un altro metodo: quello di compensare le emissioni con interventi che ne assorbano o annullino un quantitativo equivalente. È il carbon offsetting.

Il Clean Development Mechanism, uno specifico meccanismo previsto dal Protocollo, aveva globalizzato il metodo, prevedendo che i paesi industrializzati potessero compensare le proprie emissioni con progetti volti a ridurre le emissioni di gas serra realizzati nei paesi poveri (assumendo che in quei paesi non avrebbero potuto essere altrimenti realizzati). Molti ambientalisti avevano storto il naso, considerando il meccanismo un espediente volto ad aggirare l’obiettivo primario, la mitigazione, e soprattutto difficile da controllare e verificare. Infatti i due requisiti principali di ogni progetto di offsetting sono l’addizionalità e la permanenza.

L’addizionalità prevede che il progetto finanziato a scopo di offsetting non si possa realizzare in assenza del progetto e dunque che esso compensi davvero le emissioni di chi acquista i crediti: se si prevede la costruzione di una centrale solare già finanziata con i fondi dell’assistenza per lo sviluppo non si stanno compensando emissioni. La permanenza prevede che gli effetti del progetto perdurino nel tempo: non si compensano emissioni se si investe in una foresta destinata ad assorbire emissioni che però viene utilizzata dopo qualche anno per produrre legname. Gli ambientalisti sospettosi non avevano torto.

Nel 2016, l’Institute for Applied Ecology, un centro di ricerca con sede in Oregon, è giunto alla conclusione che solo per il 2% dei progetti era possibile accertare che fosse realizzata un’effettiva e durevole compensazione delle emissioni. La maggior parte erano progetti sovrastimati quando non puramente fittizi.

Nonostante ciò, o forse proprio per questo, il carbon offsetting ha avuto un dilagante successo, avvalendosi dell’aumento di sensibilità ecologica dei consumatori. Non solo gli Stati e le città, ma ogni impresa, dalle compagnie aeree alle case di moda (Gucci e Burberry), dai supermercati ai fast food e perfino agli studi professionali, ha diffuso annunci di aver intrapreso progetti per azzerare le proprie emissioni di gas serra (talvolta richiedendo un contributo al consumatore).

A questo scopo si è creato un apposito mercato dove si acquistano crediti di carbonio per finanziare specifici progetti. Si è creata un’apposita borsa dove si scambiano certificati di credito di carbonio: si può quindi acquistare certificati per realizzare una diga in Congo e cedere certificati per realizzare una foresta in India. Si sono create anche apposite organizzazioni per controllare e verificare che le transazioni siano corrette e quindi che i progetti siano realizzati. Intorno a questo mercato si è così creato un mondo di compratori, venditori e organizzazioni di intermediari, consulenti, controllori e verificatori che ruota e trae profitti dal carbon offsetting.

È una brillante dimostrazione della tesi di Polanyi (esposta in La grande trasformazione) secondo la quale i mercati – dal piccolo mercato medioevale collocato in un villaggio posto all’incrocio di importanti vie di comunicazione agli attuali mercati finanziari – non esistono in natura, ma sono costruiti dall’essere umano che ne prevede gli strumenti e i controlli per farli funzionare. Attualmente nel mercato delle emissioni si trattano crediti per molte decine di miliardi di dollari per finanziare progetti che dovrebbero compensare le emissioni provocate dall’acquirente.

È un consistente contributo all’abbattimento del cambiamento climatico? Purtroppo ancora una volta gli ambientalisti sospettosi avevano ragione. Corporate Accountability, un’organizzazione non-profit che controlla gli impegni assunti dalle più importanti società multinazionali con riferimento all’ambiente e al rispetto dei diritti umani, ha analizzato i 50 più importanti progetti di carbon offsetting, pari a un terzo dei progetti complessivamente presenti sul mercato secondo la classificazione da AlliedOffsets, un’organizzazione che valuta tutti i progetti di offsetting presenti sul mercato mondiale. I progetti presi in esame riguardano la realizzazione di foreste, di dighe, di impianti per la produzione di energia solare e di centri per il trattamento dei rifiuti in 20 paesi in via di sviluppo. Sono stati emessi crediti per oltre un miliardo di dollari che, come detto, “compensano” un equivalente ammontare di emissioni realizzate nei paesi ricchi.

I risultati non sono incoraggianti. Secondo Corporate Accountability, di questi progetti, 39, quindi il 78%, sono completamente privi di valore e non compensano neppure in parte le emissioni per le quali i crediti sono stati acquistati. Per esempio: tutte le dieci dighe in costruzione in Brasile e la diga in costruzione in India, per le quali sono stati emessi crediti, sarebbero state realizzate in ogni caso, con finanziamenti del Governo brasiliano e della Banca Mondiale. Altri otto appaiono attualmente di difficile realizzazione. Rimangono tre progetti per i quali non si è potuta effettuare alcuna indagine per la mancanza delle necessarie informazioni.

In sostanza, questi progetti sono sostanzialmente una truffa: la maggior parte di essi giova solo a molte società per mantenere le loro emissioni di gas serra ingannando i consumatori e danneggiando i paesi poveri, secondo Souparna Lahiri, rappresentante per l’India della Global Forest Coalition, e secondo Erika Lennon del Center for International Environmental Law (Ciel). (sul tema si veda anche: Nina Lakhani, Revealed: top carbon offset projects may not cut planet-heating emissions in The Guardian 19 sett 23).

 


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