Edito da Fandango Libri, Carne coltivata. La rivoluzione a tavola è una stimolante lettura che offre una buona panoramica delle diverse visioni su questo cibo del futuro, stimolando in maniera critica e ben documentata il lettore a porsi domande non solo scientifiche, ma anche etiche, morali e politiche.
Uscito quest’anno nella collana Icaro di Fandango, che si prefigge l’obiettivo di “confrontarsi con le promesse e con le problematiche delle nuove tecnologie”, Carne coltivata. La rivoluzione a tavola di Arianna Ferrari (168 pp, 12 euro) risponde pienamente a questa impostazione, offrendo una discussione ben più allargata rispetto al dibattito sulla carne coltivata cui siamo ormai abituati, con posizioni fortemente polarizzate e in linea di massima limitate ad un confronto di questo cibo del futuro con il cibo tradizionale. L’autrice, che ha conseguito un dottorato di ricerca in filosofia ed è specializzata in questioni etiche e politiche legate alle innovazioni tecnologiche, ci accompagna in un percorso decisamente stimolante che tocca diversi punti.
Il libro si definisce adatto e rivolto al grande pubblico. In realtà la lettura presuppone una certa preparazione scientifica di base e le pagine non scorrono così leggere, ma ne vale la pena.
La carne coltivata è artificiale?
La prima parte è una documentata introduzione alla storia della carne coltivata, dalle sue origini immaginate nel saggio sul futuro Possible Worlds and Other Essays del 1927 e nel noto Fifty Year Hence del 1932 scritto da Winston Churchill agli studi che a partire dagli anni Novanta hanno lavorato sulla produzione di carne in vitro, per arrivare alla presentazione pubblica del primo esempio concreto di carne coltivata: un hamburger. Era il 2013. Mark Post, ricercatore olandese, invitò 70 giornalisti alla conferenza stampa: su YouTube si può ancora trovare il video di promozione introdotto da Sergey Brin, cofondatore di Google e finanziatore convinto di questo cibo del futuro.
Segue un excursus sulle tecniche di produzione e sui punti critici ancora da risolvere, in primis la scalabilità del prodotto, che a oggi è ancora decisamente lontano da una modalità di produzione di tipo industriale.
Il secondo capitolo si apre con questa domanda: la carne coltivata è artificiale? La distinzione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale è un tema di grande interesse. Cosa si intende per naturale? Tutto ciò che segue l’ordine della natura. E agire contro questo ordine sarebbe quasi come sostituirsi a Dio. Le riflessioni che ne conseguono sono assai complesse.
Ciò che – a torto o a ragione – è considerato “naturale” è ritenuto buono, sicuro, accettato. Si parla di “pregiudizio sulla naturalità”. Conseguentemente ciò che non segue l’ordine della natura è cattivo, pericoloso. Basti pensare all’avversione verso gli alimenti OGM. Percezione di artificialità che porta al disgusto, al rifiuto.
La carne coltivata è vista da molti come artificiale, perché fatta in laboratorio. Non importa se si parte da cellule animali e non si tratti di un prodotto sintetizzato in laboratorio. Quello che passa è la contrapposizione con la carne tradizionale. Ma è giusto porsi la domanda: la carne tradizionale è naturale? La selezione di animali da reddito resi sempre più produttivi con inseminazioni artificiali e altre procedure biotecnologiche è naturale?
Carne coltivata e sviluppo sostenibile
Uno dei vantaggi messo sempre in evidenza dai fautori della carne coltivata è il ridotto impatto ambientale di questo nuovo alimento. Arianna Ferrari analizza studi e dati disponibili e conclude che finora non è stata portata a termine un’analisi esaustiva di LCA (Life Cycle Assessment), che consenta di valutare in modo esaustivo l’impatto ambientale della carne coltivata, anche perché le valutazioni fatte sono tutte basate su modelli ipotetici e dati provenienti da esperimenti a livello di laboratorio.
Le variabili ancora incerte per il passaggio a una vera produzione di massa non consentono una valutazione corretta. Per esempio, uno dei nodi cruciali ancora da sciogliere è quello del liquido di coltura e la scelta finale potrebbe influenzare in maniera importante l’impatto ambientale. E poi c’è la variabile bioreattori. Come saranno i bioreattori in grado di consentire una produzione industriale? In questa incertezza non va dimenticato il ruolo giocato dalle informazioni mancanti in quanto coperte dal segreto industriale.
La carne coltivata e il rispetto dei diritti degli animali
Nel libro è dedicata una parte importante alla valutazione della carne coltivata come soluzione per eliminare la sofferenza animale e rispettare i diritti degli animali. Anche su questo punto l’autrice non si ferma alla semplicistica conclusione di vedere nella carne coltivata una soluzione poiché coltivo la carne e non devo uccidere gli animali. Il processo produttivo parte a oggi da una biopsia muscolare che è un atto che provoca stress all’animale. Quante volte è necessario prelevare cellule e da quanti animali?
Il ricorso agli animali potrebbe essere in futuro evitato nel caso di utilizzo di linee cellulari immortalizzate, capaci di riprodursi all’infinito. È un’ipotesi. Il ricorso a siero fetale bovino è un altro aspetto critico per il benessere animale e anche su questo si sta muovendo la ricerca. E poi, ipotizzando l’impossibilità di abbandonare l’allevamento come fonte iniziale di cellule, è fondamentale che si passi a un allevamento estensivo per un numero decisamente inferiore di animali.
La carne coltivata nella transizione alimentare
La carne coltivata apre anche una questione politica. Sarà necessario risolvere i punti critici nella tecnologia produttiva, risolvere le questioni di sostenibilità e avere un’attenzione particolare ai diritti degli animali. Ma non basta. Bisogna pensare oggi a una politica di innovazione, al ruolo che potrà giocare la carne coltivata nella transizione alimentare verso modelli più sani, sostenibili e in grado di garantire la sicurezza alimentare intesa come security ovvero disponibilità per tutti di cibo sano e nutriente in quantitativi sufficienti. Modelli che prevedono una drastica riduzione degli apporti di proteine animali.