Il libro Internet fatta a pezzi di Vittorio Bertola e Stefano Quintarelli ripercorre la storia di Internet dagli anni '90, mettendo in luce l'evoluzione della rete e le sue trasformazioni. Immagine di Pete Linforth da Pixabay
Ecco il suono della libertà per un giovane degli anni 90’. Quando il modem faceva silenzio scattava una frenesia tutta nuova. Non era come aprire un libro o un giornale: avevi i minuti contati. Per collegarsi a Internet a metà anni novanta bisognava prima pagare il provider locale e poi gli scatti telefonici: il prezzo per poter viaggiare in mondi mai visti prima. Si saltava da un link all'altro come in una specie di giungla, con lentezza e senza la guida invisibile degli algoritmi.
A distanza di anni la rete è diventata un bene essenziale, fonte di ricchezza e terreno di scontro tra potenze. Ma in che modo e per quali ragioni?
lo spiegano bene nel loro libro Internet fatta a pezzi (Bollati Boringhieri) Vittorio Bertola, che negli anni novanta, poco più che ventenne era già un pioniere della rete e Stefano Quintarelli che nel 1996 creò il primo e più grande provider italiano e oggi si dedica alla dimensione politica della rete.
La notevole storia di Internet
La narrazione segue questo percorso. C’era una volta una grande comunità che ha creato una rete libera e transnazionale. Questa comunità sperava di unire il mondo e superare gli stati nazione di cui rifiutava regole e imposizioni. Ma la rete non si è autoregolamentata come sperato, così gli stati hanno avuto buon gioco a farsi avanti e sottoporre la rete a nuovi vincoli. Anche le aziende hanno recintato ampi spazi tanto da contendere agli stati il controllo della ricchezza e del potere. Altri gruppi di interesse stanno ora premendo per avere nuove regole che riducano la frammentazione e riportino, almeno in parte, Internet sul tracciato iniziale.
Internet era troppo seria per lasciarla agli informatici
Il primo capitolo del libro, “Per efficienza e per orgoglio” descrive il funzionamento della comunità che stava organizzando la rete: chiunque poteva proporre una modifica all’Internet Engineering Task Force, i partecipanti decidevano se adottarla o no e ne proponevano a loro volta. Non c’erano votazioni, il testo veniva recepito quando si esaurivano le obiezioni. Un processo che ha ispirato, poi, i teorici della democrazia diretta. L’entusiasmo era tale che l’attivista per i diritti e delle libertà digitali John Perry Barlow nel 1996 presentò al World Economic Forum di Davos la "Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio", in cui si leggeva:
“Non avete sovranità sul luogo in cui ci riuniamo. […] Il cyberspazio non si trova all’interno dei vostri confini”.
I capitoli successivi sono dedicati a comprendere perché non sia andata così.
Con l’ingresso in rete di una moltitudine di persone, nazioni, aziende e altri gruppi di interesse le questioni da dirimere si fecero più complicate e difficili da risolvere con la semplice partecipazione. Anche perché, come spiegano Bertola e Quintarelli, le regole erano, e sono, in gran parte scritte da e per l’occidente (e sempre più da e per un suo sottoinsieme, i giganti della Silicon Valley) e non sempre vengono accettate pacificamente dal resto del mondo.
Nazioni e aziende amano proteggere gli utenti
C’è un passo che rivela il punto di vista che gli autori hanno assunto per raccontare la storia dell’evoluzione di Internet.
“La democrazia partecipativa, infatti, ha un semplice problema che nessuno è ancora riuscito davvero a risolvere: chi ha molti interessi particolari e molto denaro per sostenerli può semplicemente partecipare in modo molto più attivo degli altri, sommergendo la concorrenza nella lotta per il consenso. Se poi, come in questo caso, nessuna istituzione ha un reale potere coercitivo, e le aziende private possono anche rifiutarsi di seguire il consenso e le richieste degli altri portatori d’interesse, di fatto l’unico potere politico resta in mano a chi domina l’industria e i relativi ricavi, ossia, in questo caso, i gruppi di potere economico degli Stati Uniti, con la parziale aggiunta del potere pubblico cinese in alcuni settori in cui quell’industria ha già ottenuto il predominio. È dunque evidente il nocciolo del problema che porterà poi al dominio delle cosiddette big tech: la mancanza di un qualunque sistema istituzionale e giuridico su scala mondiale in grado di costringere i poteri privati a sottostare al pubblico interesse globale.”
Da una parte le aziende che hanno potuto costruirsi una posizione di dominio ora tentano di difenderla chiudendo i consumatori in recinti in cui pascerli. D’altro canto, gli stati (in particolare alcuni stati), vorrebbero innalzare altrettante barriere per rafforzare il controllo sui propri cittadini.
Queste tendenze hanno lentamente cambiato volto al progetto originale della rete, l’hanno fatta a pezzi. Nel libro, sotto questa prospettiva, si trovano scanditi i passaggi essenziali di questo percorso in uno sguardo di insieme che tiene il dettaglio a una giusta distanza.
Un nuovo capitolo di Internet sarà scritto in Europa?
Nel capitolo “Un talento tutto europeo”, gli autori provano a capire se l'Europa, finora attrice non protagonista, riuscirà nel tentativo di regolamentare il settore secondo i propri princìpi.
“Non era mai accaduto prima che un singolo legislatore procedesse in un tempo così breve a una tale sequenza di nuove norme su ogni aspetto di Internet e della società digitale, dalla concorrenza alla rimozione dei contenuti, dall’analisi dei dati all’Intelligenza Artificiale […] Le grandi aziende americane e lo stesso governo di Washington, superata l’incredulità iniziale, non hanno gradito la svolta, e non ne hanno nemmeno troppo compreso le ragioni profonde”.
Scopriamo che un grande italiano, Stefano Rodotà, primo presidente del Garante della privacy, è stato l’ispiratore di questo processo. Bertola e Quintarelli riescono a spiegare le ragioni profonde di queste norme che, inizialmente snobbate dalle aziende e recepite con fastidio persino dagli utenti (a cominciare dal click sul pulsante dei cookie) ora stanno effettivamente incidendo sullo sviluppo futuro di Internet.
Il finale è aperto: quale Internet avremo in futuro non si sa, ma l’invito sotteso al libro è quello di non lasciarsi scappare di mano un’altra volta il governo di questo strumento e diventare cittadini digitali più consapevoli ed esigenti.
Infine, perché i soldi hanno sempre un ruolo, quasi come un bonus track troviamo un capitolo in cui gli autori, con molta efficacia, hanno inquadrato il tema dei bitcoin. Esistono innumerevoli testi che vogliono “spiegare bene” cosa siano le criptovalute e la blockchain: finalmente ne abbiamo uno che ci riesce davvero. Grazie!