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Come vincere la sfida del nuovo coronavirus

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L'intervista a Donato Greco, esperto in malattie trasmissibili, igiene e sanità pubblica, epidemiologia e biostatistica medica, e una delle figure di riferimento dell’epidemiologia e della prevenzione italiane, sull'attuale epidemia di coronavirus. Cosa sappiamo su SARS-CoV-2? Quanto interessa i più giovani? E cosa possiamo dire delle misure di contenimento adottate finora?
Nell'immagine: il nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Scansione al microscopio elettronico del virus SARS-CoV-2 (in color magenta) depositato sulla superficie di una cellula in coltura. SARS-CoV-2 è il virus che causa la COVID-19. Il virus nell'immagine è stato isolato dal primo paziente ricoverato negli USA. Credit: NIAID-RML

Tempo di lettura: 7 mins

Specializzato in malattie trasmissibili, igiene e sanità pubblica, epidemiologia e biostatistica medica, Donato Greco è stato per oltre 30 anni una delle figure di riferimento dell’epidemiologia e della prevenzione italiane. Ha diretto il laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità ed è stato Direttore Generale della prevenzione presso il ministero della Salute. Ha gestito la preparazione alla pandemia influenzale del 2009 e ha studiato molte epidemie in Italia e in altri paesi, tra cui un grave focolaio di Ebola. A lui abbiamo fatto qualche domanda sull’attuale epidemia di coronavirus SARS-CoV-2.

Donato Greco

Donato Greco

Prima di tutto, Donato Greco, ci faccia un ritratto di questa famiglia di virus. Quali sono le loro caratteristiche salienti?

I Coronavirus sono diffusi in tutto il mondo animale e umano, e sono ben noti per causare nell’uomo il raffreddore o analoghe sindromi dell’apparato respiratorio superiore. Sono anche noti perché la loro infezione non stimola una risposta immunitaria stabile e permanente, per cui gli individui possono reinfettarsi più volte con questi virus.

Il SARS-CoV-2, come quello della SARS e quello della MERS, è un coronavirus di origine animale che ha acquisito in ripetute mutazioni frammenti di RNA di virus umani che lo hanno reso aggressivo verso la nostra specie. Mentre tutti noi abbiamo una sia pur debole memoria immunitaria contro i comuni coronavirus del raffreddore, non abbiamo alcuna immunità pregressa verso questo nuovo tipo.

La trasmissione avviene per contatto diretto tra persona infetta e persona suscettibile, per via aerea attraverso l’inalazione di cellule umane infettate dal virus veicolate dalle goccioline di vapore acqueo che costantemente emettiamo col respiro ed ancor più con la tosse. Avviene anche una trasmissione indiretta con le mani che siano state contaminate dal vapore acqueo di una persona infetta.

Si concorda sul fatto che l’influenza stagionale sia molto più diffusa (più di 5 milioni di infetti da inizio stagione) per cui attualmente fa più morti (circa 6.000 in Italia), ma Covid-19 sembra avere un tasso di letalità più alto. Tuttavia, sappiamo ancora poco su quanto potrà diffondersi ulteriormente.

A proposito di letalità del nuovo coronavirus confrontata con quella dell'influenza stagionale, è un confronto difficile da fare. Prima di tutto ci troviamo di fronte a problemi di definizione di caso e, in particolare, del denominatore: per il coronavirus al numeratore ci sono i morti PCR positivi e al denominatore i soggetti PCR positivi (in maggioranza casi sintomatici e tanti loro contatti) e si arriva intorno al 2%. Per l'influenza, al numeratore ci sono i deceduti per una ILI (Influenza Like Sindrome, o sindromi parainfluenzali), solo pochissimi dei quali positivi al virus dell'influenza circolante, mentre al denominatore ci sono i casi stimati di ILI desunti da una rete di sorveglianza sindromica. Si tratta di una bella differenza che rende non confrontabili i due dati! La letalità da influenza ha una buona probabilità di essere sottostimata per l’assenza di sensibilità alla definizione di caso, al contrario la letalità da coronavirus è molto probabilmente sovrastimata, perché il denominatore è limitato ai pochi soggetti PCR positivi.

Sappiamo come si trasmette il virus (soprattutto dall’aerosol sprigionato da tosse e starnuti, o portandosi mani infette agli occhi e alla bocca). Ma in che fase della malattia si trasmette?

La stragrande maggioranza dei virus che provocano infezioni respiratorie può trasmettere il virus durante la fase acuta della replicazione virale nella gola delle persone sia un po' prima della comparsa dei sintomi, sia durante la fase acuta della malattia. Tutti i virus respiratori hanno anche la possibilità di infettare persone che poi non sviluppano la malattia.

Si dice che alcune persone avrebbero la capacità di infettarne altre in gran numero. Sono i cosiddetti “big spreader”, esistono per davvero?

Numerosi studi hanno dimostrato che alcune persone hanno una capacità imponente di replicazione virale e che quindi sono in grado di emettere una carica virale importante. Questo è vero per tutte le malattie virali, dall’Aids al coronavirus. Tuttavia dobbiamo considerare che nella dinamica del contagio si è sempre in due e quindi la carica virale emessa deve incontrare anche una persona suscettibile. Qui entra in ballo la disponibilità di recettori, punti di attacco per il virus. Possiamo paragonare questo meccanismo a una spina che si deve infilare nella presa giusta. Di solito i virus che colpiscono le alte vie respiratorie vengono intercettati dalle mucose della gola dove si trova un meccanismo difensivo, il cosiddetto anello di Waldeyer. Tuttavia quando la carica infettante è molto alta è possibile che alcuni virus riescano a superare questa barriera, raggiungendo la trachea, i bronchioli e gli alveoli polmonari. È questo che può scatenare la polmonite virale caratteristica di SARS-CoV-2.

Però ora si dice che è possibile che il virus sia trasmesso anche da chi non ha sintomi.

Alcune osservazioni indicherebbero che c’è questa possibilità, ma certo non è la forma prevalente.

Il coronavirus sembra non aggredire i più giovani. Conferma?

No, i bambini e i ragazzi sono esposti come tutti a un contagio possibile, non potrebbe essere altrimenti. E tuttavia credo che quello che possiamo fare è preservarli dal sottoporli a test e misure restrittive. Nei più piccoli, se non presentano altre malattie che ne aumentino la fragilità, è estremamente improbabile che il virus sviluppi qualcosa di peggio di un raffreddore. Come sempre nelle misure di sanità pubblica bisogna bilanciare il danno con il beneficio e io lascerei tranquilli i più piccoli.

Cosa ne pensa delle misure prese dalle autorità per contenere la diffusione del nuovo coronavirus?

Le misure profilattiche di livello sociale (chiusure di scuole, mercati, uffici etc.) per ridurre la trasmissione di malattie respiratorie virali non godono di una ricca documentazione scientifica che ne abbia provato l’efficacia: gli studi fatti su queste misure non sono conclusivi su quanto effettivamente questi interventi incidano sul contenimento della malattia. Al contrario, esistono buone prove scientifiche sull’efficacia di misure di protezione individuale quali l’isolamento e il lavaggio delle mani. Tuttavia, essendo quella da coronavirus una trasmissione interumana, appare assolutamente razionale il concetto che ridurre la probabilità di incontro tra persone riduce anche la possibilità che i relativamente pochi individui infetti in fase di propagazione del virus possano incontrare individui sensibili e infettarli.

Nelle zone dove sono presenti focolai si è proceduto per decreto alla chiusura di scuole, uffici e mercati, addirittura intere località sono state sigillate, i viaggi bloccati... Questo ha un costo sociale ed economico molto alto, che ha senso solo in presenza di benefici certi dal punto di vista sanitario. Ma cosa sappiamo di questi benefici?

È vero che queste misure hanno costi e conseguenze sociali, per questo vanno confrontate con l’effettiva efficacia di riduzione del rischio. Purtroppo, mancando prove certe di efficacia, l’adozione di queste misure va valutata caso per caso, se resta l’unica alternativa possibile per contenere il contagio. Tuttavia possiamo dire che questi provvedimenti hanno una elevata probabilità di ridurre il rischio di trasmissione da un individuo infetto a persone sane coprendo anche persone con l’infezione in incubazione o infetti asintomatici (si presuppone che gli individui veramente malati restino a casa).

Ha senso controllare la temperatura in aeroporto?

Questa misura intercetta persone che hanno febbre per mille motivi, al di là di una infezione da coronavirus e non identifica possibili infetti da coronavirus ancora in fase di incubazione o ammalati con poca febbre oppure asintomatici. Quindi la sensibilità e la specificità della misura sono molto basse.

Ora si procede a disinfettare in modo sistematico aerei e veicoli pubblici. Servirà?

Anche questa è una misura generica di dubbia efficacia: la disinfezione potrebbe ridurre la densità aerea o su superfici di cellule infette dal virus: ma la trasmissione interumana aerea è ben più efficace.

La gente è confusa perché alcuni esperti rassicurano e altri sono più pessimisti, sia sulla evoluzione globale dell’epidemia, sia sulla capacità italiana di contenerla efficacemente. Lei cosa pensa?

È normale che in situazioni di incertezza convivano scenari migliori e peggiori. Ma quanto meno la lezione delle precedenti epidemie di SARS (2003) e MERS (2012) dovrebbe essere stata appresa. Come ho già detto concordo pienamente sul fatto che le misure di contenimento hanno un'efficacia molto limitata, ma, in assenza d’altro, sono anche l’unica cosa da fare. L'Italia sta prendendo sul serio questo focolaio. Quello che non condivido è la valutazione della gravità della malattia. Se il panico non invade il paese, questa epidemia può diventare come l’influenza stagionale: una grande sfida, ma gestibile.

 


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