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I comunisti sulla Luna

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Foto originale di Jurij Gagarin durante il training fatta da un fotografo anonimo. Pubblico dominio. Credit: TASS. Immagine delle stelle e delle galassie ripresa dall'Hubble Space Telescope. Pubblico dominio. Credit: NASA - Immagine composta da Robert Couse-Baker - Licenza: CC BY-SA 2.0.

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Il 31 gennaio 1958, sessant’anni fa, gli Stati Uniti d’America posero in orbita Explorer I. Iniziava così l’avventura americana nello spazio. Preceduta e per molti anni superata da quella dell’Unione Sovietica, come sostengono e dimostrano Stefano e Marco Pivato in un libro, I comunisti sulla Luna, pubblicato da Il Mulino (2017, pagg. 240, € 16,00).

Già perché, alla data del 31 gennaio 1958, l’URSS aveva inviato nello spazio già due satelliti che avevano fatto parlare il mondo intero. Il 4 ottobre 1957 era stato lanciato lo Sputnik 1, il primo oggetto costruito dall’uomo mandato in orbita intorno alla Terra. Il 3 novembre 1957 era stato lanciato lo Sputnik 2, realizzando quella che Gianni Rodari definì: “la prima favola di fantascienza vera”, perché a bordo c’era Laika, la cagnolina più famosa di ogni tempo e, in ogni caso, il primo essere vivente a lasciare la Terra e a raggiungere lo spazio. Laika commosse mezzo mondo perché perse la vita in quella sua missione. Un sacrificio necessario, dissero i sovietici, ad aprire una nuova era: l’esplorazione spaziale, che da fantascienza diventava, appunto, autentica scienza.

La cagnolina Laika e lo "schiaffo dello Sputnik"

Gli americani accusarono quello che venne definito lo “schiaffo dello Sputnik” e diedero una brusca accelerazione alla loro politica in due direzioni che sarebbero poi risultate paganti per l’assunzione della leadership nella società e nell’economia della conoscenza: la ricerca scientifica, con un formidabile aumento degli investimenti, e la scuola, con nuove risorse e nuove didattiche. L’imperativo era: superare il “gap tecnologico” che sembrava penalizzarli rispetto al grande paese comunista. Ebbene, Stefano Pivato, docente di Storia contemporanea all’università di Urbino, e il figlio Marco, giornalista scientifico, sostengono che, almeno nel settore spaziale negli ultimi anni ’50 e nei primi anni ’60, quel gap era reale. I sovietici arrivavano regolarmente per primi e riuscivano a plasmare anche la percezione pubblica della loro superiorità. Ci fu un’abile campagna di propaganda.

Così lo Sputnik 1 divenne la “luna rossa”. E Laika, una bastardina raccolta in strada, diventava il simbolo del riscatto degli umili. Nella prima parte del libro Stefano Pivato dimostra come lo spazio si impossessò dell’immaginario collettivo e diede dell’Unione Sovietica un’impressione di forza e di capacità d’innovazione che, in realtà, non aveva. Una percezione che, con modalità e sentimenti diversi, - a tratti opposti - per almeno un decennio dominò sia il mondo comunista sia quello occidentale, capitalista.

E, in effetti, i successi spaziali dell’Unione Sovietica continuarono con impressionante continuità. Sebbene nel 1958 gli unici lanci di satelliti furono americani, il 10 ottobre 1959 l’Unione Sovietica manda nello spazio Lunik 3 che raggiunge la Luna e ne fotografa, per la prima volta, la faccia nascosta. L’umanità vide, letteralmente, cose mai viste prima.

Il mito di Jurij Gagarin, il primo cosmonauta

E poi ecco che il 12 aprile 1961 un sovietico, Jurij Gagarin, diventa il primo uomo a raggiungere lo spazio e a orbitare intorno alla Terra. Stefano Pivato mette molto bene in evidenza come Gagarin divenne, all’improvviso, un personaggio famosissimo: uno dei grandi miti del XX secolo. Cantato nel mondo comunista da grandi poeti, come Evgenij Evtušenko, con malcelato orgoglio: “Io sono Gagarin/Per primo ho volato,/e voi volaste dopo di me”. E dipinto, letteralmente, in Occidente da grandi pittori, come Pablo Picasso, l’autore di un Étude pour Youri Gagarine. Ma Evtušenko e Picasso non sono che la punta di un iceberg immateriale che fa di Gagarin, come rileva acutamente Stefano Pivato, la risposta sovietica ai grandi miti dell’Occidente, famoso quanto e forse più delle rockstar di quei tempi, i Beatles e i Rolling Stones. In realtà Gagarin, come peraltro era già avvenuto con Galileo, viene paragonato a Cristoforo Colombo: lo scopritore di nuovi mondi.

Il cosmonauta venne scelto sulla base di rigorosi test scientifici. Ma fece molto gioco alla propaganda sovietica il fatto che venisse da una famiglia umile, di contadini. Ancora una volta si affermava la capacità del comunismo di riconoscere e valorizzare le capacità degli umili.

Valentina Tereškova, la prima donna nello spazio

Un’operazione di propaganda analoga si realizza con Valentina Tereškova, la prima donna a raggiungere lo spazio il 16 giugno 1963. Ancora una volta si propone l’idealtipo di una “donna normale” che, col suo sorriso, diventa pioniere e simbolo dell’emancipazione femminile promossa e attuata dal comunismo.

Non c’è dubbio, per tutti questi anni l’URSS ha preceduto gli Stati Uniti nella “conquista dello spazio”, ovvero in quello che, a torto o a ragione, veniva considerato il settore d’avanguardia dell’innovazione tecnologica fondata sulla conoscenza scientifica.

Le ragioni "scientifiche" della supremazia comunista

Com’è potuto accadere? A questa domanda risponde, nella seconda parte del libro, Marco Pivato. E i fattori individuati, sostanzialmente condivisibili, sono due: uno per così dire strutturale, l’altro umano. Il fattore strutturale riguarda il fatto che il comunismo considera la scienza come un proprio sinonimo. Non solo perché Karl Marx aveva definito scientifico il suo socialismo, ma anche, e soprattutto, perché Lenin aveva definito il comunismo come: “i soviet più l’elettrificazione”. In altri termini la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e la costruzione del “socialismo in un solo paese” puntavano sulla scienza e sulla tecnologia per affermarsi. Non a caso negli anni ’30 l’Unione Sovietica investiva in ricerca scientifica e tecnologica più degli Stati Uniti d’America. E la sua comunità scientifica cresceva cercando di mantenere sia una certa autonomia sia stretti contatti con quella dell’Europa occidentale. Non mancavano, tuttavia, i limiti strutturali: talvolta l’invadenza politica era così forte da portare - si veda il caso Lysenko - a paradossi scientifici e catastrofi culturali. Ma il più grande limite è che l’industria sovietica, creata a tappe forzate dopo la Rivoluzione e soprattutto durante il periodo di Stalin, non richiedeva innovazione. La verità è che c’era una grande separatezza tra scienza ed economia.

Quando - è il caso del nucleare, della missilistica e quindi dello spazio - la domanda di innovazione era reale, la scienza sovietica ha saputo rispondere raggiungendo livelli del tutto paragonabili a quelli dell’occidente libero. Si giunge così al paradosso evidenziato da un meccanico italiano e che ha dato spunto a un capitolo del libro di Stefano e Marco Pivato: “quelli vanno sulla Luna e non sanno fare le automobili”.

Il fattore umano: Ciolkovskij e Korolëv

Il fattore umano assume il nome e il volto (soprattutto, ma non solo) di due russi: Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij che, pubblicando nel 1903 L’esplorazione dello Spazio cosmico per mezzo di motori a propulsione inaugura la stagione dell’ingegneria spaziale; e di Sergej Pavlovič Korolëv che, dopo essere sopravvissuto al carcere staliniano, diventa negli anni ’50 e nei primi anni ’60 il leader del programma spaziale sovietico. Si tratta di geni assoluti, certo non programmabili a tavolino, ma che appartengono a pieno titolo all’ambiente culturale russo (anche prima del comunismo, ovviamente) e, dunque, non meteore che compaiono all’improvviso nel cielo di Mosca.

È, dunque, il combinato disposto di due elementi - la domanda di innovazione nel settore militare; la presenza di scienziati e tecnologi di assoluto valore - che rende possibile la supremazia sovietica nel primo decennio di esplorazione dello spazio. E che porta Nikita Sergeevič Chruščëv, il Presidente dell’Unione Sovietica a credere (a illudersi) di poter raggiungere e superare gli Stati Uniti nella leadership tecnologica del pianeta.

La "rimonta" della NASA

Già, perché nella seconda parte degli anni ’60 l’URSS perde il primato spaziale e sono gli Stati Uniti i primi e gli unici a portare un uomo sulla Luna. I motivi, anche in questo caso, sono tre: umani e strutturali. Quello umano è la morte di Korolëv, grave in sé, ma ancor più decisiva perché il programma spaziale sovietico non ha un’organizzazione forte e chiara. I motivi strutturali riguardano, in prima battuta, gli investimenti: a metà degli anni ’60 la NASA americana può contare su risorse dieci volte superiori a quella dei tecnici e degli scienziati sovietici. Insomma, non c’è più partita.

Ma il motivo fondamentale è la domanda sempre più scarsa d’innovazione del sistema produttivo del cosiddetto “comunismo reale”. La scienza in generale e lo spazio restano avulsi dalla società sovietica. Rosse ciliegie su una torta che non si regge in piedi.

Neil Armstrong, un americano sulla luna

Ed è così che “l’ultimo mito della Rivoluzione russa” volge al tramonto, sia pur lentamente e onorevolmente. I “comunisti sulla Luna” non ci arrivano. Il 20 luglio 1969 è invece un americano, Neil Armostrong, il primo uomo a posare il piede sul nostro satellite naturale. Gli Stati Uniti hanno vinto in rimonta, come si direbbe in gergo calcistico, una partita che è stata insieme scientifica, tecnologica, militare, d’immagine e di propaganda.

Una partita vinta con strumenti - ampie risorse in ricerca e sviluppo, organizzazione, stretto legame con il sistema produttivo - che ancora oggi costituisce una ricetta per qualsivoglia paese voglia competere in qualsivoglia settore della società e dell’economia della conoscenza.

 

 

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