fbpx Conto alla rovescia per gli effetti del clima sulla salute | Scienza in rete

Conto alla rovescia per gli effetti del clima sulla salute

Primary tabs

Copertina del sito www.lancetcountdown.org

Tempo di lettura: 3 mins

L'hanno chiamato The Lancet Countdown, il conto alla rovescia, l'iniziativa multidisciplinare lanciata il 14 novembre in occasione di COP22 sul clima che si sta svolgendo in Marocco. Obiettivo: monitorare e analizzare gli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute delle popolazioni, proprio nel momento in cui dalle agenzie meteorologiche arriva la quasi certezza che il 2016 sarà l'anno più caldo da quandosiregistrano le temperature. L'iniziativa messa in campo dalla rivista britannica vedrà il contributo di 48 esperti di spicco provenienti da tutto il mondo e di 16 istituzioni partner, da quelle che operano a livello locale, fino alle organizzazioni internazionali, fra cui le Nazioni Unite stesse, l'Organizzazione Mondiale della Sanità e la World Meteorological Organisation (WMO).

Una sfida più che mai necessaria, nel momento in cui le maggiori organizzazioni mondiali – WHO in testa – concordano sul fatto che il cambiamento climatico è IL problema sanitario del XXI secolo. "The Lancet Countdown" giunge infatti in un momento cruciale per la cooperazione internazionale e l'azione nazionale sui cambiamenti climatici, dopo la ratifica dell'accordo di Parigi e il lancio dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite sugli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello mondiale.

Circa 18 mila persone muoiono ogni giorno a causa anche dell'esposizione prolungata ad agenti inquinanti presenti nell'aria che respiriamo, per non parlare degli effetti in termini di perdita di anni spesi in buona salute (Scienza in Rete ne ha parlato recentemente qui ). La Banca Mondiale, per esempio, stima un costo economico intorno ai 225 miliardi di dollari in termini di perdita di produttività.

Il lavoro di "The Lancet Countdown" si articolerà intorno a 5 pilastri: il rischio per la salute dato dall'esposizione agli agenti inquinanti, la creazione di comunità resilienti, che sappiano cioè far fronte al cambiamento in maniera sostenibile per la salute, l'analisi dei benefici correlati al miglioramento o al peggioramento delle condizioni di salute, l'aspetto economico e finanziario e infine, ma non ultimo, l'impatto del cambiamento climatico sulle politiche locali e globali. Di particolare interesse è l'analisi dei cosiddetti co-benefici di determinate pratiche (dall'energia all'alimentazione) sul cambiamento climatico (leggi qui).

Ogni anno l'iniziativa della rivista britannica elaborerà un rapporto su una serie di indicatori intorno a questi cinque gruppi di lavoro. Si tratta di un set di indicatori che verranno discussi da qui a novembre 2017 grazie a un'ampia collaborazione multisettoriale, che andrà a integrarsi nei processi di monitoraggio esistenti, come gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Dichiarazioni di intenti a parte, la speranza è che questa iniziativa si rifletta in una serie di scelte concrete a livello economico e politico, sia sul piano internazionale ma – soprattutto – su quello locale. Nodale sarà per esempio il concetto di resilienza, intesa come studio dell'adattamento della salute della popolazione al cambiamento climatico. La salute è oggi ampiamente riconosciuta sulla carta come priorità nei processi di adattamento. Oltre il 95% dei paesi meno sviluppati pone la salute come una priorità nei loro programmi nazionali di comunità resilienti. Tuttavia, questa priorità non si riflette ancora nei flussi finanziari, dove gli investimenti diretti a progetti specifici sulla salute rappresentano solo  l'1-5% del totale.

I destini della salute globale sono inoltre legati a doppio filo con il futuro energetico del nostro pianeta, sia in termini di investimenti sulle fonti di energia rinnovabile sia su processi di efficienza energetica. Al fine di decarbonizzare il sistema energetico globale e per soddisfare gli impegni presi sui cambiamenti climatici globali nell'accordo di Parigi, le nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio dovrebbero rappresentare circa il 90% degli investimenti stimati da qui al 2035. Per farci un'idea di a che punto siamo ora, nel 2014, questo valore era pari al 23%.

Ancora una volta – ribadisce The Lancet – il problema è politico. Stiamo facendo abbastanza per incoraggiare un'economia basata su basse emissioni di carbonio? Rispondere a questa domanda significa anche riflettere sugli effetti che queste nostre azioni avranno sulla salute delle popolazioni nei prossimi trent'anni. Nel frattempo, nel 2014, i sussidi per i combustibili fossili erano pari a circa 490 miliardi di dollari, circa quattro volte quelli per la diffusione delle energie rinnovabili.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.