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Cosa può fare il nucleare contro il cambiamento climatico?

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Alla COP 21 di Parigi siede un convitato di pietra: il nucleare. Se ne parla assai poco, sembra quasi non esistere, tutti presi a immaginarsi la liberazione dalle fonti fossili e spingere sulle rinnovabili. Eppure secondo molti il nucleare è un ingrediente essenziale per rispettare l’obiettivo di non più di 2°C di aumento di temperatura nel 2050. Le centrali nucleari infatti non emettono CO2. Anche considerando il loro intero ciclo di vita (costruzione, attività, dismissione della centrale), l’anidride carbonica emessa per chilowattora è paragonabile all’eolico, 3 volte meno del fotovoltaico, 30 volte meno del gas naturale, 65 volte meno del carbone. In un futuro in cui bisognerà ancora dare energia elettrica a 1,5 miliardi di persone che ne sono privi, e in cui i consumi di elettricità sono destinati ad aumentare, poter contare anche sull’energia sprigionata dalla fissione dell’atomo non pare proprio un optional. Soprattutto per quei paesi tecnologicamente avanzati, dotati di sistemi politici stabili e con una opinione pubblica non ostile, che possono premettersi di  gestire una fonte di questo tipo garantendone i massimi livelli di sicurezza e di controlli contro il rischio di proliferazione. 

Le centrali nucleari in funzione nel mondo

D’altronde, per restare in Francia,  il nucleare è la prima fonte energetica di origine nazionale, visto che copre il 77% della produzione elettrica. Un record mondiale, di cui in Francia non si scorgono segni di resipiscenza. In Europa seguono Svizzera e Svezia con il 40%, mentre il contributo del nucleare nel settore elettrico dell’Unione Europea è pari al 27%. Percentuale che scende al 10% nella media dei paesi OCSE, e al 5% se si considerano tutti i paesi del mondo. Il Paese con più centrali nucleari al mondo restano gli Stati Uniti, con 99 impianti attivi, seguito da Francia, Giappone, Russia e Cina.

Reattori per paese (Fonte: IAEA).

Sì, ma dopo l’incidente di Fukushima - si dirà - la fonte nucleare è destinata all’eclissi. Le cose in realtà non paiono andare così. Se da un lato l’Italia è uscita definitivamente dai suoi progetti di ritorno al nucleare e la Germania ha dichiarato di volerne uscire, altri paesi vi investono ancora, facendo azzardare agli esperti pronostici di un vero e proprio “nuclear renaissance”. Il Giappone, per esempio, si è presentato a Parigi con l’obiettivo di coprire con il nucleare il 30% del suo fabbisogno elettrico. Gli USA stanno costruendo nuove centrali a Spring City, Tennessee (1 reattore), Jenkinsville, South Carolina (2 reattori), Waynesboro, Georgia (2 reattori). La Cina, se da una parte continua ad avvelenare il pianeta col carbone, dall’altra sta costruendo 27 nuove unità elettronucleari con l’obiettivo di portare la potenza nucleare installata ad oltre 30 mila MWe entro il 2020.

Reattori in costruzione (Fonte: IAEA).

Non paga delle proprie centrali in via di rinnovamento, la Francia si è consorziata con la Cina per costruire una nuova centrale con due reattori da 1600 MWe a Hinkley Point, sulla costa inglese del Canale di Bristol, dove è attualmente presente una centrale elettronucleare dotata di quattro unità del tipo raffreddato a gas di concezione britannica. Due di questi, i più vecchi, da 270 MWe ciascuno, sono spenti dal 2000. Gli altri due, da 470 MWe, sono oggi di proprietà di Électricité de France (EDF). Con i loro 40 anni di vita operativa sulle spalle si avvicinano ormai alla chiusura. 

Il progetto è ovviamente sostenuto dal governo britannico, che a sua volta ha deciso di mantenere il nucleare nel suo mix elettrico da qui alla fine del secolo, e di garantire un prezzo minimo dell’energia elettrica in grado di tutelare gli investitori dai rischi finanziari che questo tipo di impianti comporta. In termini energetici, EDF stima che la nuova centrale, “Hinkley Point - C”, contribuirà al 7% del fabbisogno elettrico della Gran Bretagna. 

I reattori EPR che il gruppo francese si dispone a costruire in Gran Bretagna si basano sull’esperienza di esercizio di migliaia di reattori-anno di questa categoria, hanno un rendimento fra il 36 e il 37% e un’aspettativa di vita di 60 anni, contro i 40 dei precedenti impianti. E la sicurezza? Non è questo il tallone di Achille del nucleare che rende tutti così cauti a parlarne dopo Fukushima? In realtà, questi impianti francesi sono progettati per far fronte anche alla totale fusione del nocciolo senza emettere radiazioni all’esterno, in virtù di un apposito sistema di raccolta, il cosiddetto core catcher. Anche se il vessel che contiene il reattore dovesse cedere, il catcher confinerebbe il materiale radioattivo. 

La collaborazione franco-cinese fra EDF e China General Nuclear Power Corporation (CGN) è in realtà attiva da molti anni con la realizzazione di due unità per la centrale cinese di Taishan, dove sono in fase di avanzata costruzione due impianti nucleari dello stesso tipo di quelli previsti per Hinkley Point. Ancora in Gran Bretagna, dopo quest centrale si prevede di costruire altri impianti a Sizewell e a Bradwell, in sostituzione delle centrali di vecchia generazione.

 

Le due nuove unità EPR in fase di completamento in Cina (fonte Assoelettrica).

La corsa dell’atomo civile quindi continua e può rivelarsi una carta importante per contenere le emissioni di gas climalteranti nei prossimi decenni, soprattutto se - come pare - i consumi di elettricità sono destinati a crescere anche per la transizione dell’industria automobilistica verso i motori elettrici. E, in attesa di un sempre più futuribile avvento dell’energia da fusione nucleare, l’industria nucleare lavora per arrivare nei prossimi anni ai reattori della cosiddetta IV Generazione, concepiti per minimizzare la produzione di scorie e sfruttare decisamente meglio le risorse di combustibile, eliminando da ogni scenario ragionevole la previsione del loro esaurimento.    

Riferimenti:
Nuclear Engineering International, December 2015
International Atomic Energy Agency
Ambasciata di Francia a Londra

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