fbpx A cosa serve la ricerca? | Scienza in rete

A cosa serve la ricerca?

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

La domanda "a cosa serve la ricerca?" è relativamente nuova, ma più recentemente e a causa della persistente crisi economica e industriale, è dilagata. Ci si chiede se gli investimenti in ricerca debbano essere indirizzati principalmente verso chiare ricadute e si considera rischioso finanziare ricerca fondamentale. A questo proposito è opportuno analizzare due punti: cosa si intende per ricadute della ricerca? E chi dovrebbe finanziare la ricerca pubblica?

  1. Cosa si intende per ricadute della ricerca?  
    Nell'ultimo secolo la principale differenza tra ricerca pubblica e ricerca privata è stata la finalità. Progresso culturale, scientifico e sociale per la prima, obiettivi di competitività sui mercati per la seconda. Questa differenza, non sempre esclusiva, ma fondativa, consente di mantenere il ruolo visionario, di frontiera che è proprio della ricerca pubblica e spesso determina la relazione asincrona tra nuova conoscenza e suo sfruttamento. Si stabilisce che l'autonomia della ricerca è un'espressione della sua indipendenza da interessi di parte. 
    Il tessuto industriale si è lungamente nutrito di risultati della ricerca pubblica per alimentare la propria e sviluppare nuovi prodotti e quindi è stato il principale punto di contatto tra la ricerca pubblica e quella privata. Più recentemente e in relazione alla crisi di competitività delle imprese si è iniziato a ritenere che la ricerca pubblica debba essere in parte al servizio dello sviluppo tecnologico. In Italia la ridotta dimensione delle imprese e l'accorciamento dei business plan ha spinto a considerare i centri di ricerca pubblici come fornitori di consulenza scientifica e tecnologica a sportello riducendo il ruolo esplorativo e prospettico, più ambizioso e innovativo, della ricerca pubblica.  
    Dobbiamo considerare quindi che se per ricadute della ricerca si intendono le dirette conseguenze dei rapporti tra gli enti di ricerca e le imprese basati su contratti problem solving, allora la ricerca pubblica non soddisfa appieno le aspettative e costa troppo. Se invece le ricadute della ricerca sono lo sviluppo culturale e scientifico del paese su cui si basa la formazione universitaria e la prospettiva di competitività di lungo periodo del settore economico produttivo, allora la ricerca pubblica svolge il proprio ruolo, ma è sottofinanziata.
  2. Chi dovrebbe finanziare la ricerca pubblica? 
    Quando si parla di finanziamento alla ricerca occorre distinguere tra il mantenimento delle strutture di ricerca e il loro potenziamento. Oggi è ancora evidente che il sostegno del sistema della ricerca pubblica, nonostante i drammatici tagli, è e deve essere in capo allo stato. Il problema dello sviluppo del sistema della ricerca e quindi del suo potenziamento - nuove strutture, laboratori, personale – è un problema di politica della ricerca, di politica industriale, di politica pubblica. 
    E' giusto che la ricerca sia finanziata secondo dei criteri di necessità che ne individuano i beneficiari, i portatori di interesse. Se ad esempio si ritiene che i portatori di interesse siano le imprese è giusto che loro cofinanzino la ricerca. Da qui tutti i bandi per progetti nei quali la presenza di un cofinanziamento privato è condizione necessaria per ottenere il finanziamento pubblico. 
    Ma se il portatore di interesse è il paese stesso per i motivi già detti – sviluppo culturale, scientifico e sociale basato sulla conoscenza - è giusto che la ricerca garantita, sostenuta e potenziata dallo stato. Questo avviene in tutti i paesi moderni e con un governo democratico nei quali alla ricerca si chiede di essere il motore che promuove aggregazione, connessione internazionale, attrazione di talenti, nuovo sapere e nuove idee per la competitività e la sostenibilità di lungo periodo.

L'articolo di Pietro Greco del 27 giugno "La ricerca italiana non sta tanto male nel mondo" ci racconta molto bene con i numeri che in Italia i ricercatori sono bravi e che la difficoltà del sistema della ricerca è, appunto, nel sistema. Vogliamo quindi riconsiderare che la ricerca serve al paese, deve essere sostenuta e potenziata dallo stato e che non possiamo più svendere consulenza alle piccole imprese per comprarci le attrezzature di laboratorio e mantenerle in funzione? Non è una questione di soldi, ma di mentalità.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La contraccezione di emergenza e il mistero dei “criptoaborti”

Il comitato anti-aborto denominato Osservatorio permanente sull’aborto sostiene che i contraccettivi di emergenza come la pillola del giorno dopo causino "criptoaborti" e insiste su una presunta azione abortiva non riconosciuta dalla comunità scientifica, che afferma chiaramente la natura contraccettiva di questi farmaci. È un movimento, sostenuto anche dall'Associazione ProVita e Famiglia, che porta avanti una campagna più ampia contro tutti i contraccettivi ormonali.

Sono 65.703 le interruzioni volontarie di gravidanza registrate dall’ISTAT nel 2022 in Italia. Il numero è calato progressivamente dal 1978, quando è entrata in vigore la legge 194, che regolamenta l’aborto nel nostro Paese. Un comitato di ginecologi e attivisti dell’Associazione ProVita e Famiglia, però, non è d’accordo: sostiene che sono molte di più, perché aggiunge al computo 38.140 fantomatici “criptoaborti” provocati dall’assunzione dei contraccettivi ormonali di emergenza, la pillola del giorno dopo e quella dei cinque giorni dopo.