L'OMS si era posta l'obiettivo di vaccinare completamente il 70% della popolazione mondiale entro il giugno 2022, ma si è ben lontani dall'obiettivo. Nella situazione peggiore si trova l'Africa, in cui solo il 17% degli abitanti ha ricevuto almeno la prima dose; anzi, nel tempo le vaccinazioni sono diminuite anziché aumentare. Infatti, la gente ha ora meno paura dell'epidemia, perché non c'è stata la marea di morti paventata: la mortalità riportata dall'Africa sub-sahariana è più bassa di quella dei paesi affluenti, ma si dibatte se il dato sia veritiero o dovuto a mancanza di un adeguato tracciamento.
La posizione dell'OMS sulle dosi booster continua a evolversi, di pari passo con i cambiamenti del virus e con l'efficacia dei regimi vaccinali prestabiliti nell'opporsi all'infettività delle nuove varianti. L'anno scorso, l'agenzia ha definito la somministrazione di dosi extra a persone già vaccinate nei paesi ricchi come moralmente indifendibile di fronte ai miliardi di persone dei paesi poveri che non avevano ancora ricevuto la prima dose. Ora
sostiene fortemente l'accesso urgente e ampio agli attuali vaccini Covid-19 per le serie primarie e le dosi di richiamo, in particolare per i gruppi a rischio di sviluppare malattie gravi
Nell'intento di mettere fine alla pandemia o, quanto meno, di evitare l'emergenza di ulteriori varianti che mettano a dura prova sia i vaccini sia i farmaci fin qui messi a punto contro SARS-CoV-2, alla metà dell'anno scorso, l'OMS si era posta l'ambizioso obiettivo di vaccinare completamente il 70% della popolazione mondiale entro il giugno 2022. Non solo si è ben lontani dall'aver raggiunto l'obiettivo, ma gira un'aria di rassegnazione sulla prospettiva di non raggiungerlo mai, almeno nei paesi a più basso reddito. Come dice Isaac Adewhole, rappresentante per la Nigeria dell'Africa Centers for Disease Control and Prevention, il momento buono ormai è passato, perché gli Stati che più sovvenzionavano i vaccini per questi paesi, USA in testa, hanno chiuso i rubinetti, avendo altre priorità.
Solo pochi degli 82 paesi più poveri (reddito calcolato con il metodo World Bank Atlas) hanno raggiunto il 70% dei vaccinati, in contrasto con i due terzi di quelli più ricchi e, secondo le rilevazioni di Our World in Data dell'Università di Oxford, molti paesi sono addirittura sotto al 20%. Gli USA sono al 66%; alcuni paesi dell'Europa dell'Est e del Medio Oriente vedono uno stallo del tasso vaccinale a meno di un terzo della loro popolazione.
Nella situazione peggiore si trova l'Africa, continente in cui, stando ai dati COVID-19 vaccination in the WHO African Region- 05 April 2022, solo il 17% degli abitanti ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino contro il nuovo coronavirus. La metà delle dosi fornite non è stata somministrata per assenza di personale sanitario, difficoltà logistiche e inadempienze governative, e nel tempo le vaccinazioni in media sono diminuite anziché aumentare (in marzo sono scese del 35% rispetto a febbraio).
Infatti, la gente, che si disperava quando i primi vaccini mancavano, ha ora meno paura dell'epidemia, perché non c'è stata la marea di morti paventata. La mortalità riportata dall'Africa sub-sahariana, infatti, è più bassa di quella dei paesi affluenti, ma si dibatte se il dato sia veritiero o, invece, dovuto a mancanza di un adeguato tracciamento. Un approfondimento della questione, pubblicato sul New York Times a firma della giornalista esperta di salute pubblica Stephanie Nolen, esordisce con la certezza che, nel terzo anno della pandemia, non ci si deve più chiedere se SARS-CoV-2 sia o non sia dilagato in Africa: l'ha fatto. Un'indagine dell'OMS ha chiarito che, nell'inverno del 2021, il 65% degli abitanti dell'Africa occidentale e centrale aveva gli anticorpi contro SARS-CoV-2 (e solo il 4% era stato vaccinato): tale tasso d'infezione è più alto che in molte altre parti del mondo.
E, se il virus c'è, davvero in Africa uccide di meno? Sicuramente il virus uccide: The Economist, che dall'inizio della pandemia ha tracciato, paese per paese, le morti in eccesso rispetto alla media annuale prepandemica, stima che per l'intera Africa arrivino a 2.900.000.
Tuttavia, nell'Africa sub-sahariana l'eccesso di mortalità è inferiore a quello medio del pianeta, con l'eccezione di Eswatini (ex Swasiland), Lesotho, Botswana e Namibia. L'ha verificato un importante studio appena pubblicato su Lancet, che ha contato le morti in eccesso in 191 nazioni e in 252 sotto-regioni, dal primo giorno del 2020 fino all'ultimo giorno del 2021 (come si vede nella figura).
Distribuzione planetaria dell'eccesso di mortalità nel biennio 2020-2021 (Lancet, studio citato)
Alcuni studiosi individuano la ragione della minore mortalità nell'età media più giovane degli abitanti: 19 anni, contro i 43 degli europei e i 38 degli statunitensi, con due terzi della popolazione sotto i 25 anni e solo il 3% sopra i 65 anni. In pratica, in Africa non si vivrebbe abbastanza a lungo da sviluppare le malattie metaboliche o cardiovascolari croniche che rendono grave il decorso dell'infezione virale. La comorbilità, però, è ben lungi dall'essere assente in Africa. L'OMS ha verificato sulla popolazione complessiva di 13 nazioni sub-sahariane (270 milioni di persone), una grande differenza tra la mortalità globale per Covid-19 (2,5%) e quella in presenza di diabete (10%). L'OMS stima la prevalenza di 24 milioni di africani diabetici, per lo più di tipo 2, il 3% dei quali non sa di avere la malattia che, comunque, spesso non è adeguatamente curata e comporta complicanze cardiovascolari.
Sono state avanzate altre ipotesi a spiegazione dell'apparentemente bassa mortalità: lo svolgimento della vita prevalentemente all'aria aperta, le alte temperature, la bassa densità di popolazione, la scarsità di mezzi di trasporto pubblico, la mancanza di residenze per gli anziani e, infine, la possibile protezione crociata data da precedenti infezioni endemiche. Queste teorie, tuttavia, sono confutate dalla realtà delle centinaia di migliaia di vittime che SARS-CoV-2 ha mietuto nel Sud-Est asiatico e nel subcontinente indiano, dove i dati ambientali, demografici e infettivologici sono simili.
Si dovrebbe, allora, giungere alla conclusione che i morti africani semplicemente non vengono contati, per inadeguatezza dei sistemi informativi o perché la maggioranza dei malati muore in casa e il decesso non viene notificato a nessun ufficio. Dove i servizi anagrafici sono più evoluti, come in Sudafrica, dal maggio 2020 al settembre 2021 sono stati contati 250.000 decessi sopra la media antecedente la pandemia e, in Zambia, un'indagine post mortem condotta da Christopher Gill, un ricercatore dell’Università del Massachusetts, ha stabilito che l'87% dei cadaveri, negli obitori ospedalieri era infetto; nel frattempo, quel paese, con 19 milioni di abitanti, segnalava meno di 4.000 morti per Covid-19.
Per contro, vi sono scienziati, in specie epidemiologi africani, ma anche in forza all'OMS, che si rifiutano di credere che milioni di morti siano invisibili, per arretrato che sia il sistema sanitario e anagrafico nel loro paese. Poiché i funerali sono pubblici e spesso enfatici, i deceduti possono essere calcolati con margini d'inesattezza, ma non passare inosservati. Dalle pagine del Corriere della Sera, per spiegare la più alta sopravvivenza a Covid-19 in Africa, Giuseppe Remuzzi ha rilanciato l'ipotesi genetica. Quando Homo sapiens ha lasciato l'Africa (35-85 mila anni fa) si è incrociato, in Persia, con l'uomo di Neanderthal, portatore di 13 varianti sul cromosoma 3 che rinforzano la risposta alle infezioni. Gli attuali discendenti di questi "matrimoni" hanno una percentuale minima di DNA del Neanderthal nel loro corredo cromosomico e se essa contiene l'aplotipo mutato, la loro risposta a SARS-CoV-2 può essere una flogosi smodata, la cosiddetta tempesta citochinica. Non incorrono in questo eccesso di reazione gli abitanti dell'Africa, i cui antenati preistorici non hanno mai incontrato Neanderthal, non avendo mai lasciato il sito d'origine.
Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas, sospetta, invece, che le risposte al coronavirus possano mutare, in modo imprevedibile, in una situazione di grande prevalenza di altre malattie, come l’AIDS.
Molte sono, quindi, le teorie suggestive, ma è ancora irrisolto un mistero di grande rilevanza per valutare la necessità di raggiungere l'obiettivo vaccinale fissato dall'OMS. La percezione generale è che, attualmente, Covid-19 non sia in cima alla lista dei problemi ritenuti più gravi dai governi dei paesi africani dove imperversano malaria, AIDS, tubercolosi e denutrizione, piaghe croniche tra le quali s'inseriscono altre contingenti. Nella Repubblica Democratica del Congo, per esempio, mentre la mortalità da Covid-19 riportata è molto bassa, un'epidemia di morbillo sta minacciando 20 milioni di bambini e manca il vaccino specifico. In molte regioni, l'attenzione dei governi è ormai dirottata da SARS-CoV-2, tanto che le più grandi aziende farmaceutiche non occidentali, come la sudafricana Aspen Pharmacare o le indiane Serum Institute of India e Bharat Biotech, per via del calo della domanda dei paesi in via di sviluppo hanno smesso di produrre i loro vaccini, peraltro non molto efficaci per proteggere dall'infezione con la variante Omicron, il cui dilagare sembra frenato solo dal ciclo vaccinale completo con i vaccini Pfizer o Moderna a mRNA.
Allontanandosi il traguardo della copertura vaccinale universale al 70%, l'OMS incoraggia i paesi africani a vaccinare almeno i soggetti più a rischio (sanitari, gravide, portatori di patologie). Resta l'amarezza di vedere allargarsi il gap tra i paesi che invocano la vaccinazione per i bambini sani nonché la quarta dose per tutti e i paesi in cui la maggioranza della popolazione sta ancora aspettando il primo inoculo. Molti africani che sono stati esclusi dal primo round vaccinale, si sono protetti contraendo l'infezione prima dell'ondata di Omicron, ma avrebbero bisogno di un richiamo vaccinale per proteggersi anche da questa variante. Inoltre, uno studio pubblicato su JAMA Pediatrics ha verificato in una coorte di 500 bambini e ragazzi, trasversale a molti paesi africani, che Covid-19 ha spesso in loro un decorso più grave che nei bambini occidentali, a causa delle condizioni ambientali e nutrizionali di fondo. Non va dimenticato, infatti, che le necessità di salute dell'Africa non si limitano alla fornitura dei vaccini, ma coinvolgono tutta la "filiera" dell'assistenza, dagli ambulatori nei villaggi e nelle banlieue al trasporto dei malati in ospedale, all'equipaggiamento dei presidi sanitari.
Recentemente, si sono intensificati gli sforzi di analisi dell'impatto dei SARS-CoV-2 sul continente africano: il primo studio epidemiologico multinazionale è stato l'African COVID-19 Critical Care Outcomes Study (ACCCOS), che ha valutato i dati di assistenza e di esito dei 6.779 pazienti gravi, ammessi alle terapie intensive di 64 ospedali situati in Egitto, Etiopia, Ghana, Kenya, Malawi, Mozambico, Niger, Nigeria e Sud Africa, nel secondo semestre del 2020. La mortalità intraospedaliera a 30 giorni è risultata del 48%, più alta di quella riportata in Asia, Europa, Nord e Sud America, a causa della scarsità di risorse tecnologiche e di personale nei reparti di terapia intensiva (in media 2 intensivisti per centro e un pulsiossimetro disponibile solo in 57 centri).