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Covid-19 e il mito della caverna

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Tre temi a partire da un libro: a partire da La notte delle ninfee di Luca Ricolfi (La Nave di Teseo Editore) l'epidemiologo Paolo Vineis parla dei lockdown preventivi, delle nuove varianti di SARS-CoV-2 e fa il punto sul contact tracing.

Crediti immagine: Hà Nguyễn/Unsplash

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Questo articolo discute tre temi: è opportuno un lockdown preventivo? Che fare con la nuove varianti? E a che punto siamo con il contact tracing? Ne discuterò con riferimenti a un libro appena uscito, La notte delle ninfee di Luca Ricolfi, ma comincerò dalla Repubblica di Platone.

Non ho mai pensato al mito della caverna di Platone come nell’ultimo anno a proposito di Covid-19. Platone ci invitava a immaginare una caverna, all’esterno della quale c’è un muro oltre il quale passano personaggi che trasportano oggetti dalle fogge più diverse. Un fuoco proietta sulle pareti della caverna ombre che gli abitanti della caverna (che sono prigionieri) cercano di interpretare. Di fonte a Covid-19 non siamo un po' tutti (chi più chi meno) come quei prigionieri? Quanti errori interpretativi abbiamo fatto, e mi riferisco non ai singoli ma alla comunità della ricerca nel suo insieme, e alla collettività in generale?

Anche se escludiamo gli Zangrillo, cioè i casi estremi, resta ancora una grande variabilità di interpretazioni, giuste o sbagliate, che si sono succedute nel tempo. Pensiamo a quando molti di noi dicevano che il Veneto era da prendere a modello, e a come il Veneto si è poi rivelata una delle Regioni più problematiche nella seconda ondata. Oppure pensiamo alla fase di entusiasmo per i test antigenici. Quanti Presidenti di Regione hanno promesso screening per tutti? L’unica area geografica che l’ha praticato (la provincia di Bolzano) è stata fino a pochi giorni fa in zona rossa, o addirittura rosso scura. Con questo non intendo dire che non vi sono alcune certezze, ma che nel giudicare occorrono umiltà e prudenza.

Un altro atteggiamento comune consiste nell’inanellare in modo unilaterale una serie di eventi o osservazioni e costruire una narrazione interamente positiva o (più spesso) interamente negativa, come il libro di Ricolfi La Notte delle Ninfee – Come si malgoverna un’epidemia (La nave di Teseo, 2021).

Lockdown preventivi?

Il libro di Luca Ricolfi, noto sociologo torinese e direttore della Fondazione Hume, non è un libro umile, e contiene affermazioni molto critiche verso le istituzioni insieme a qualche osservazione condivisibile. La metafora usata da Ricolfi per descrivere l’andamento esponenziale del contagio è la seguente: immaginate un contadino pigro che vede le ninfee proliferare nel laghetto in cui abitualmente pesca. All’inizio sono due, il giorno dopo quattro, ma poiché la crescita è esponenziale dopo una settimana le ninfee saranno 128 e presto occuperanno interamente il laghetto, impedendo alla fine ogni forma di vita e uccidendo gli stessi pesci. Ma se anche il contadino fosse intervenuto diciamo dopo dieci giorni, per evitare il disastro avrebbe dovuto mettere in atto misure destinate a durare molto più a lungo di quelle sufficienti a restaurare l’habitat quando le ninfee erano solo 8 o 16. In sostanza, la crescita esponenziale non è solo responsabile di un numero di casi molto elevato in un breve periodo, ma anche della necessità di un tempo più lungo per tornare alla situazione di partenza.

Tralascio di commentare affermazioni estreme come per esempio quella secondo cui nessuno tranne Angela Merkel (grazie alla sua formazione scientifica) si sarebbe accorto della natura esponenziale della crescita. E torno invece alla seconda parte del ragionamento di Ricolfi, cioè che le misure di contenimento come le chiusure, se tardive, richiedano un tempo molto più lungo per riportare la situazione sotto controllo. (L’osservazione era già stata fatta peraltro da vari ricercatori tra cui il professor Pedreschi e colleghi). Ora, secondo Ricolfi, tutti indistintamente nel mondo occidentale hanno sbagliato eccetto uno sparuto gruppo di paesi: Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Finlandia, Norvegia e Danimarca (Ricolfi esclude giustamente dal confronto i paesi asiatici, troppo diversi da noi culturalmente e politicamente).

Tornerò su questi confronti. Per il momento soffermiamoci sull’argomentazione principale: ha contenuto meglio l’epidemia chi ha istituito lockdown molto precoci, quando le ninfee erano ancora pochissime. In realtà, l’Italia è stato il primo paese occidentale a istituire un lockdown stretto. Tuttavia, anche riuscendo a ridurre rapidamente il numero di casi portandoli molto vicini a zero con un lockdown radicale e precoce, non appena lo si rilascia l’epidemia inizierà nuovamente a crescere. A meno che mettiamo in atto altre misure concomitanti o immediatamente successive al lockdown, in particolare la vaccinazione e un efficace contact tracing. Dunque un lockdown molto tempestivo o addirittura preventivo, quando i casi sono pochi, non è un’idea da scartare, ma solo se si accompagna a un'incisiva campagna vaccinale (in modo da raggiungere rapidamente l’immunità di comunità) e a un’incisiva attività di riconoscimento e spegnimento dei focolai (contact tracing).

Le nuove varianti: mutazioni e selezione

Si è molto scritto sulle nuove varianti e non lo ripeterò qui. Si è anche ripetuto che l’Italia è molto indietro con il sequenziamento dell’RNA virale, benché recentemente sia stato costituito un consorzio guidato dall’ISS. La domanda è: come utilizzare i dati di sequenziamento? Una risposta può essere che in ogni caso il contact tracing deve essere organizzato, indipendentemente dalle varianti, e dunque il sequenziamento non cambia la risposta alla pandemia.

A mio avviso vi sono almeno tre motivi per sequenziare un consistente campione dei tamponi, prospetticamente ma anche retrospettivamente. Il primo è monitorare l’evoluzione dei focolai e della diffusione dell’epidemia: un improvviso aumento di Rt (meglio RDt: vedere il punto di vista del’Associazione Italiana di Epidemiologia sulla necessità di adottare RDt) può essere spiegato in tanti modi, incluso il rilasciamento di alcune delle misure di contenimento, e anche con la comparsa di nuove varianti. Senza sequenziamento si rischia un’erronea attribuzione causale, già molto comune “nelle retrovie della caverna”. Un secondo motivo è sapere in che misura può essere necessario adattare le armi di cui disponiamo, in prima istanza i vaccini e gli anticorpi monoclonali, all’evolvere delle varianti. Il terzo motivo è più pertinente alla ricerca, ma sul lungo periodo di grande utilità pratica. Stiamo assistendo al dipanarsi di un grande esperimento naturale, in cui il virus approfitta di alcuni miliardi di persone per moltiplicarsi, adattandosi a esse.

Ora, se sappiamo qualcosa delle mutazioni, non sappiamo invece nulla delle forze di selezione, per ricordare le basi neo-darwiniane dell’evoluzione. Forse i virus mutati si selezionano (cioè hanno un vantaggio selettivo) in persone immunodepresse? Altre domande pertinenti di ricerca riguardano le reinfezioni e le infezioni nei vaccinati. Sarebbe interessante rispondere a queste domande per prepararci a una migliore risposta alle prossime pandemie.

Contact tracing: quale ruolo?

Tra le accuse di Ricolfi al Governo Conte e al complesso delle istituzioni c’è anche quella, variamente ripetuta nella prima e nella seconda fase, di avere effettuato troppo pochi tamponi. Vero, ma la domanda è: a che scopo? Tracciare il virus ha evidentemente uno scopo conoscitivo sulla diffusione dell’epidemia, ma l’accusa di non fare abbastanza tamponi sembra sottintendere anche un’utilità preventiva. È evidente – ma non traspare chiaramente dal libro di Ricolfi – che l’utilità pratica si riferisce al contact tracing, cioè all'identificazione precoce, retrospettiva e prospettica, dei contatti dei casi al fine di bloccare i focolai. In realtà bisogna ammettere, e anche questo richiede una discussione aperta, che la strategia 3T, giustamente sottolineata fin dall’inizio del 2020 da Alessandro Vespignani, non è mai stata sperimentata prima nel corso di una pandemia. Si tratta di una strategia largamente utilizzata (con successo) per epidemie più circoscritte, non delle attuali dimensioni. Infatti il contact tracing di Covid-19 ha avuto grandi difficoltà quando il numero dei casi si elevava sopra un certo livello (diciamo oltre 50 casi per 100.000).

Dunque il contact tracing, che ha richiesto una enorme profusione di energie nelle ASL, deve essere riconsiderato con lucidità. È possibile renderlo tecnologicamente più efficace? Quale può essere il ruolo delle app degli smartphones? È evidente che il problema non è né solo teorico né solo clinico, ma soprattutto organizzativo e di governance.

Su un punto Ricolfi ha certamente ragione, e cioè che l’arrivo della seconda ondata è stato largamente sottovalutato e vi è stata ben poca preparedness, per esempio proprio nell'organizzazione di contact tracing adeguati e tempestivi1.

I confronti territoriali

Solo qualche parola sui confronti territoriali. Ricolfi cade in quello che in epidemiologia si chiama “sovrainterpretazione”, cioè attribuisce alle differenze geografiche tra paesi spiegazioni causali che sono al massimo ipotesi. Anche qui, un atteggiamento di umiltà ci induce a riconoscere che non sappiamo perché ci siano differenze così marcate tra paesi. Al 21 dicembre 2020, i tassi di incidenza giornaliera di Covid-19 andavano da 0,3 a 9340 per 100.0002, e la mortalità cumulativa attribuita a Covid-19 andava da 0,03 a 163 morti per 100.0003. Nel caso della letalità il case-fatality ratio oscillava tra 0 e 29%3, mentre stime di infection fatality ratio (IFR) derivate da indagini di sieroprevalenza di popolazione in 11 nazioni suggerivano valori tra 0,14 e 0,42% in paesi a basso reddito e 0,78 - 1,79% in paesi ad alto reddito4.

Possiamo esercitarci all’infinito nell’interpretare queste differenze, ma prima di tutto dobbiamo essere consapevoli dei problemi sottostanti di metodo:

  1. Variano i criteri di attribuzione della causa di morte (solo casi confermati con test di laboratorio o anche casi probabili; tempo intercorso tra il test e il decesso; tipo di test – PCR o antigenico; ruolo della sierologia; luogo del decesso, ecc.)
  2. Variano le modalità di accertamento dei casi (politiche di uso dei test, frequenza dei test, metodo e qualità dei test)
  3. Vi sono ritardi nell’accertamento e nella notifica

Fondamentale è anche un confronto tra paesi che tenga conto della diversa distribuzione per età. Quando Villani e colleghi5 hanno standardizzato per età i tassi di mortalità, il paese che aveva la mortalità più alta alla fine di agosto 2020 era la Svezia: i tassi standardizzati per età erano infatti 61,6/100.000 per la Svezia, 50,2 per l’Italia, 41,4 per l’Olanda, 15,9 per il Portogallo e 10,1 per la Germania (gli unici paesi per i quali la standardizzazione per età era possibile). Su queste basi, cercare di concludere, per esempio, che i paesi con la mortalità più bassa sono quelli che hanno effettuato più tamponi – come fa Ricolfi – è una grande semplificazione, perché ci sono troppe variabili di contorno, compresa la densità degli abitanti, la loro mobilità e le diverse misure di contenimento.

Osservo un paradosso: l’Inghilterra, che oggi va peggio dell’Italia (o è a pari merito) ha fatto un numero di tamponi doppio (1 milione per milione di persone, tasso cumulativo) rispetto all’Italia (0,56 milioni/milione). D’altra parte, l’Italia oggi sta effettuando il numero giornaliero di tamponi (250-300.000) che era indicato da Andrea Crisanti (e ripreso da Ricolfi) come l’obiettivo da raggiungere, ma questo non impedisce all’epidemia di crescere quando si rinuncia alle chiusure. A testimonianza del fatto che non è il numero di tamponi la variabile essenziale, ma in quale contesto organizzativo i tamponi si inseriscono.

In conclusione

C’è molto bisogno di definire una visione strategica che non si limiti a periodici lockdown e al vaccino. Il vaccino è ovviamente cruciale, ma sappiamo che è probabile che per tutto il 2021 avremo ancora un numero molto elevato di casi prima di raggiungere l’immunità di comunità. Può avere senso puntare su un lockdown preventivo, quando i casi sono pochi, accompagnato e seguito da una campagna vaccinale e un contact tracing energici? È una domanda che vale la pena porsi.

Sarebbe un errore, credo, pensare di affidarsi interamente ai vaccini o alle chiusure parziali e a singhiozzo nel corso di quest’anno. Siamo tutti nella caverna e cerchiamo di intepretare umilmente – seppure con successo crescente – le ombre sulla parete. Questo dovrebbe farci astenere da interpretazioni semplicistiche.

 

Note
1. Vineis P, Bisceglia L, Forastiere F, Salmaso S, Scondotto S. Covid-19: arrivare preparati all’autunno. Epidemiologia e Prevenzione 2020; 44(4): 202-204
2. Roser M, Ritchie H, Ortiz-Ospina E, Hasell J. Coronavirus Pandemic (COVID-19). (2020). https://ourworldindata.org/grapher/covid-daily-vs-total-cases-per-millio... [Accessed January 7, 2020]
3. Johns Hopkins University of Medicine. Coronavirus Resource Center- Mortality analyses. (2020) https://coronavirus.jhu.edu/data/mortality [Accessed January 7, 2020]
4. Brazeau NF, Verity R, Jenks S et al. (2020). COVID-19 Infection Fatality Ratio: Estimates from Seroprevalence. Imperial College London (2020). https://doi.org/10.25561/83545. https://www.imperial.ac.uk/mrc-global-infectious-disease-analysis/covid-... [Accessed January 7, 2020]
5. Villani L, McKee M, Cascini F, Ricciardi W and Boccia S (2020) Comparison of Deaths Rates for COVID-19 across Europe During the First Wave of the COVID-19 Pandemic. Front Public Health (2020) 8:620416. doi: 10.3389/fpubh.2020.620416

 


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