Assistiamo con preoccupazione ad una rapida crescita del numero giornaliero di nuovi postivi ad un ritmo che «sembra» paragonabile ai peggiori periodi dello scorso mese di marzo. La situazione è però diversa dal passato. È necessario fare attenzione nel concentrarsi solo sulla crescita degli infetti oggi rispetto alla prima fase dell’epidemia perché rischiamo di confrontare cose diverse, dedurre conseguenze non corrette e prendere decisioni sbagliate.
Immagine: Pixabay.
La prima fase dell’epidemia è stata caratterizzata da un lungo periodo di lockdown dopo una prima rapidissima libera diffusione dell’epidemia a cavallo di febbraio/marzo 2020 durata almeno 3-4 settimane. Durante il lockdown è stato possibile seguire l’andamento dell’epidemia nelle varie regioni: dappertutto il numero degli effetti attivi ha raggiunto un massimo e poi ha iniziato a calare. Ogni regione ha avuto però parametri diversi nel raggiungimento del massimo e nella velocità di decrescita. La riapertura nel giugno 2020 è avvenuta in un momento in cui alcune regioni l’epidemia era di fatto scomparsa, mentre in altre stava ancora scendendo ma non era ancora stata debellata.
Questa situazione differenziata a livello regionale ha fatto sì che, durante l’estate, a causa di spostamenti interni, ma anche per flussi di turismo e spostamenti da e verso altri paesi, il numero totale di infetti prima smettesse di calare (luglio/agosto) bloccandosi a circa 12.000 casi e poi riprendesse a salire (agosto/settembre).
L’andamento costante osservato tra luglio e agosto era dovuto a due effetti contemporanei: la diminuzione degli infetti collegati alla fase di lockdown e l’inizio della crescita degli infetti dovuti alla seconda ondata. Ad un certo punto, verso fine agosto, la seconda ondata ha iniziato a prevalere, sia pure lentamente, sul calo post-lockdown ed il numero totale di positivi ha ripreso a crescere. Alla riapertura delle scuole (14 settembre) la seconda ondata era quindi già pienamente in atto, sia pure con una crescita lenta. L'analisi della seconda ondata non può però essere fatta con gli stessi parametri usati per la prima, vale a dire seguendo l'andamento nel tempo degli (a) infetti attivi e dei (b) risolti - deceduti e guariti.
Infatti, a partire dalla fine del lockdown, la sistematica presa dei tamponi per circoscrivere i focolai di infezione ha influenzato pesantemente i dati relativi agli infetti, di fatto introducendo nelle statistiche un grandissimo numero di asintomatici o paucisintomatici che nelle statistiche della fase del lockdown erano molto meno rappresentati o quasi del tutto assenti. Il fatto di contarli è però un forte indicatore di corretto contenimento dei focolai e dell’efficacia dell’attività di prevenzione. Da un punto di vista di metodo ci obbliga però a cambiare completamente tipo di analisi.
È infatti importante ricordare che i tamponi che vengono effettuati per determinare i casi di infezione ricadono in due categorie:
a) quelli «diagnostici» che corrispondono sostanzialmente a casi di pazienti con sintomi che vengono, una volta certificata l’infettività, messi in quarantena o in ricovero ospedaliero; in questi casi il «rapporto tra tamponi e infetti» (nel giorno specifico) è un numero non lontano dal 100%;
b) quelli di «screening o di tracciamento» che corrispondono al tracciamento di persone collegate a focolai o a contatti con «infetti attivi» noti. In questo caso il «rapporto tra tamponi e infetti» (nel giorno specifico) è un numero più piccolo, oscillante tra qualche percentuale ed il 20-30%. Inoltre, tracciando i contatti si trovano molti asintomatici che, per definizione, non vengono identificati attraverso il canale dei tamponi diagnostici, in quanto riguardano persone che, non mostrando, sintomi non si farebbero visitare.
Quindi, per capire la seconda fase dell’epidemia è necessario usare quantità che maggiormente sono oggettivamente collegate alla gravità della malattia: (a) lieve <-> quarantena, (b) media <-> ospedalizzazione senza terapia intensiva (b) alta <-> terapia intensiva.
Situazione nazionale
Analizziamo quindi l’andamento da febbraio in poi dei dati relativi alle ospedalizzazioni.
La figura seguente mostra l’andamento delle ospedalizzazioni a livello nazionale rispetto al numero di infetti attivi. È evidentissimo che il numero di infetti attivi nella seconda fase è dominato dalle quarantene, quindi da asintomatici o paucisintomatici. A parità di infetti attivi vi sono 5-6 volte meno ospedalizzati. Inoltre la crescita degli ospedalizzati è molto più lenta che all’inizio dell’epidemia.
È interessante vedere l’andamento della frazione di ospedalizzati nel tempo.
Nella figura seguente è riportata, sempre a livello nazionale, la frazione di positivi ospedalizzati che all’inizio ha anche superato il 70% (!) e ora si è assestata intorno al 7%. Da tempo il 93% dei positivi sono in quarantena domiciliare.
Concentrandoci sugli ospedalizzati, è interessante vedere come è evoluta tra la prima e la seconda fase la frazione degli ospedalizzati: il grafico seguente riporta:
- il totale degli ospedalizzati;
- quelli in terapia normale;
- quelli in terapia intensiva.
Tutte queste variabili sono confrontate al rispettivo massimo della prima ondata. È un modo efficace per confrontare la severità clinica della seconda ondata rispetto alla prima. Vediamo che anche tra la frazione di ospedalizzati, che nella seconda fase è appunto molto piccola rispetto agli infetti, il numero di terapie intensive è più basso in proporzione rispetto al passato.
La figura seguente mostra, inoltre, come la frazione delle terapie intensive si sia da tempo stabilizzata al di sotto al 10% dei ricoverati.
Analisi regionale
Se ora andiamo a vedere l’andamento regionale, è interessante studiare l‘andamento dell’utilizzo della terapia intensiva rispetto al massimo utilizzo della prima fase, per ognuna delle 21 regioni. Questo è un fattore oggettivo per valutare la severità della seconda ondata rispetto alla prima a livello locale.
Vi sono sei regioni del centro-sud (Sardegna, Sicilia, Lazio, Campania, Umbria, Abruzzo) che hanno già raggiunto e superato l’uso del 20% delle terapie intensive usate nella fase acuta. La Sardegna ha superato l’80%.
Notiamo che questo valore è calcolato rispetto al massimo dell’ utilizzo nel passato dei posti di terapia intensiva e non corrisponde necessariamente al totale della disponibilità di posti in terapia intensiva nella data regione. In regioni in cui l’epidemia è stata nella prima fase molto leggera è possibile che non siano stati mai impiegati tutti i posti disponibili per terapia intensiva.
Le altre regioni, riportate nell’immagine seguente, sono invece sotto il 20% del massimo utilizzo.
Possiamo quindi ragionevolmente affermare che la frazione di uso delle terapie intensive dia una indicazione, regione per regione, dell’intensità comparativa dell’epidemia rispetto alla prima fase.
Infine riportiamo l’andamento del tasso giornaliero di deceduti rispetto al massimo della prima fase. Vediamo che la linea rossa oggi è molto più bassa rispetto al massimo della prima fase e cresce molto lentamente.
Conclusioni
L’analisi nazionale e regionale che abbiamo appena presentato ci permette di capire meglio cosa stia succedendo nella seconda fase dell’epidemia Covid-19.
Il parametro la cui crescita rapida sta preoccupando un po’ tutti, il numero giornaliero di nuovi positivi, non è la quantità giusta per valutare la situazione.
Analizzando invece l’andamento delle ospedalizzazioni e delle quarantene ricaviamo che:
- l’epidemia è più severa nel centro-sud che nel passato;
- l’epidemia nelle regioni del nord è meno severa che nel passato;
- le statistiche sugli infetti sono dominate da asintomatici e paucisintomatici, fatto che crea moltissimo disagio sociale, visti i numeri, ma da un punto di vista diagnostico è un’ottima notizia, si tratta di persone che nel corso della prima ondata non venivano identificate. È una sorta di lockdown mirato che risulta molto efficace!
- la crescità dell’epidemia è molto più lenta che nel passato: anche questa è una buona notizia;
- l’impatto sulla società è comunque grande, perchè se il tasso di crescita di infetti continua a questi livelli ci porterà inevitabilmente a situazioni di emergenza, come già si intuisce nelle regioni che stanno raggiungendo la stessa intensità di terapie intensive della prima ondata e che rischiano di superarle.
Stiamo combattendo contro delle leggi esponenziali, se non stronchiamo la crescita degli infetti al più presto, a un certo punto diventerà difficilissimo contenere il contagio senza un nuovo lockdown. Dovremmo probabilmente ragionare su interventi mirati e non uguali in tutte le regioni. Lo sforzo di tracciamento in corso rappresenta uno strumento essenziale per combattere l’epidemia: usiamolo al meglio. È quindi assolutamente necessario fare tutto il possibile per ridurre la crescita dell’epidemia rispettando strettamente le regole del distanziamento fisico e dell’igiene personale di cui continuamente si parla.