Cosa sappiamo dei vaccini contro Covid-19 in età pediatrica, in termini di efficacia e sicurezza? Come si stanno muovendo i diversi Paesi europei e statunitensi? Simonetta Pagliani ripercorre gli studi degli effetti di SARS-CoV-2 nei giovani, quanto sappiamo finora del vaccino contro Covid-19 in età pediatrica, le decisioni dei governi dei diversi Paesi e le questioni ancora da affrontare.
Nel mondo, il lockdown ha interrotto il percorso di istruzione, socializzazione ed educazione di circa un miliardo e mezzo di giovani e giovanissimi. Perché essi possano riprenderlo ed essere riallineati al calendario vaccinale usuale e alle eventuali cure pediatriche sospese, oltre che per raggiungere l'immunità di comunità e mettere fine all'epidemia, la European Academy of Paediatrics (EAP) e la European Confederation of Primary Care Paediatricians (ECPCP) hanno pubblicato alla fine di agosto una dichiarazione congiunta in cui chiedono che bambini e adolescenti vengano vaccinati contro Covid-19.
È vero che, di solito, la malattia nei bambini e adolescenti è in forma più mite che negli adulti, con sintomi prevalentemente simil influenzali (i ricoveri pediatrici per Covid-19 sono stati <2% di quelli totali, secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention statunitensi), a meno che non vi siano malattie sottostanti.
In questo senso, SARS-CoV-2 si comporta in maniera diversa rispetto alla maggior parte dei virus respiratori. Per questi ultimi, i due gruppi più vulnerabili all'infezione sono i bambini piccoli e gli anziani, tanto che la mortalità può essere rappresentata con una curva a U. Gli adulti hanno il vantaggio dell'esperienza acquisita con precedenti infezioni e vaccinazioni che hanno allenato il sistema difensivo. Con SARS- CoV-2, invece, il picco dei più giovani risulta tagliato, perché essi sono per lo più risparmiati. Le peculiarità del nuovo coronavirus hanno azzerato il vantaggio degli adulti e hanno messo in luce la superiorità dell'immunità innata dei bambini nel controllare l'infezione. Gli studi che stanno investigando sui suoi meccanismi precisi, dopo aver escluso l'ipotesi di una minor espressione infantile di ACE2 (il recettore presente sulla superficie delle cellule umane che a cui la proteina spike del virus si lega per infettare la cellula) e, quindi di una minore carica virale da fronteggiare, hanno trovato nuovi indizi che possono illuminare il mistero della (relativa) invulnerabilità dei bambini a SARS-CoV-2. In particolare, nei bambini infettati coinvolti negli studi è stata osservata una maggiore circolazione di interferone e interleukina, proteine di segnale deputate ad allertare sui patogeni il sistema immunitario, una presenza minore di monociti e maggiore di linfociti T helper e di neutrofili, che partecipano alla risposta precoce. Quest'ultima, di tipo innato, è così efficace da non richiedere la messa in campo della risposta adattativa che, quando è iperattiva, tanti guai causa negli adulti contagiati. Se la risposta infiammatoria eccessiva (così come la propensione alla trombosi) è prevalentemente un prodotto dell'età avanzata, il suo corrispettivo infantile, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere la sindrome infiammatoria multisistemica che colpisce quei pochi bambini in cui il meccanismo protettivo si è inceppato, ma che finora non è stato in alcun modo possibile distinguere dai loro coetanei.
Nelle ultime settimane, negli Stati Uniti è stato rilevato un aumento dei ricoveri pediatrici, come descritto in un recente rapporto pubblicato dai Centers for Disease Control and Prevention. Tuttavia, questo aumento potrebbe essere dovuto alla maggiore contagiosità della variante Delta da un lato e alla vasta copertura vaccinale degli adulti e degli anziani dall'altro. Finora, purtroppo, i virus hanno sempre trovato il modo di eludere la risposta immunitaria innata; c'è da sperare che SARS-CoV-2 faccia eccezione anche a questa regola.
Nonostante la minore vulnerabilità di bambini e adolescenti all’infezione e alle forme gravi della malattia, le due società scientifiche europee mettono in guardia genitori, pediatri e decisori dal sottovalutare la sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-C, Multisystem Inflammatory Syndrome in Children), quale complicanza di Covid-19 e il possibile perdurare di astenia, dolori muscolo-articolari, dispnea, cardiopalmo e insonnia per oltre sei mesi, che configurano il quadro del cosiddetto long Covid.
Efficacia e sicurezza dei vaccini
I vaccini a mRNA sono gli unici autorizzati per uso pediatrico in Europa e negli Stati Uniti, mentre in Cina lo sono Sinovac e Sinopharm e in India sono quasi al traguardo i vaccini a coronavirus inattivato.
I risultati comunicati da Pfizer-BioNTech su soggetti vaccinati dai 12 anni in su sono definiti incoraggianti, tanto che sono iniziate anche le valutazioni per le età inferiori, che si concluderanno tra alcuni mesi, sia per Pfizer-BioNTech che per Moderna. Gli studi pre-autorizzazione del vaccino Pfizer hanno coinvolto 3 013 soggetti tra i 12 e i 17 anni. Il vaccino di Moderna Spikevax è stato valutato in uno studio randomizzato che ha coinvolto 3 732 ragazzi di uguale età, prima dell'autorizzazione al suo uso da parte di EMA, alla fine di luglio.
Per evidenti ragioni etiche, gli studi pediatrici sono stati avviati quando quelli sugli adulti hanno fornito sufficienti risposte di efficacia e sicurezza. Sono gravati da maggiori difficoltà di arruolamento, tra cui l'obbligo dei ricercatori di ottenere un doppio consenso informato, del tutore legale e del minore, e il basso numero di partecipanti crea difficoltà nella valutazione di efficacia, che non può basarsi sul differente tasso di infezione tra inoculati con vaccino e con placebo. Si rende necessario ricorrere a indicatori surrogati della protezione, come i livelli di anticorpi neutralizzanti nel sangue. Per quanto riguarda la sicurezza a breve termine (su quella a lungo termine non è ancora possibile, ovviamente, esprimersi), le case produttrici dei vaccini a mRNA parlano di cinque ragazzi con effetti avversi, per lo più lievi, ogni 1 131 sottoposti alla vaccinazione.
La temuta miocardite post vaccinale sembra riguardare soprattutto gli adolescenti maschi dopo la seconda dose e, finora, è sempre stata seguita da una veloce guarigione. La prevalenza della miocardite nella popolazione generale è compresa tra 10 e 106 casi ogni 100 000 persone; in ordine decrescente, i patogeni più comunemente implicati sono l'enterovirus Coxsackia B3, i virus dell’influenza B e A, il virus Coxsackia A e il citomegalovirus (dati OMS 1975-1985). Un recente studio pubblicato su Circulation su 286 bambini affetti da Covid-19 e provenienti da 17 paesi, ha rilevato un frequente coinvolgimento cardiaco nei bambini con sindrome infiammatoria multisistemica associata a Covid-19. Per quanto riguarda la miocardite/pericardite post vaccino, un recente rapporto dei CDC sugli effetti avversi a 21 giorni nei giovani tra 12 e 17 anni, ha registrato 4 casi di miocardite/pericardite nelle femmine e 32 nei maschi dopo oltre 7,3 milioni di prime dosi di vaccino e 20 casi nelle femmine e 132 nei maschi dopo oltre 4,2 milioni di seconde dosi. In genere, l’esordio clinico (fiato corto, dolore al petto, palpitazioni) è avvenuto pochi giorni dopo l'inoculo e, nella maggior parte dei casi, i ragazzi hanno risposto al riposo o ai farmaci con un rapido miglioramento della sintomatologia. In compenso, i CDC stimano che per ogni milione di seconde di dosi si possono prevenire, nelle donne di 12-17 anni, circa 8 500 infezioni, 183 ricoveri e un decesso e nei maschi circa 5 700 infezioni, 215 ricoveri e due decessi.
Le decisioni negli Stati Uniti e in Europa
Questi dati hanno convinto, dopo gli Stati Uniti e il Canada, anche molti paesi dell'Unione Europea (cui da poco si sono allineati anche i paesi scandinavi) ad approvare l'uso dei vaccini a mRNA per tutti i ragazzi a partire dai 12 anni, mentre la Gran Bretagna ha inizialmente assunto una posizione distinta approvando, all'inizio di settembre, il vaccino solo per i ragazzi immunodepressi o conviventi di immunodepressi, con malattie croniche o oncologiche, con disabilità cognitive o che compiranno 18 anni entro la fine dell'anno. Tuttavia, lunedì il Governo ha deciso di offrire a tutti i ragazzi tra 12 e 15 anni una prima dose di vaccino, seguendo il parere dei consulenti medici in parziale dissenso rispetto al Joint Committee on Vaccination and Immunisation che aveva invece valutato marginali i benefici della vaccinazione per quella fascia di età. Il Governo conta che questa decisione possa garantire un più lineare svolgimento dell’anno scolastico, oltre a ridurre la circolazione del virus in tutta la popolazione.
L'immunologo di Cambridge Brian Ferguson spiega queste differenti posizioni con la diversa filosofia di calcolo del bilancio rischi-benefici: prima della decisione di lunedì, la Gran Bretagna enfatizzava la possibilità dei seppur rari effetti collaterali del vaccino rispetto al rischio individuale di Covid-19 dei giovanissimi, mentre l'Europa spinge per ridurre il tasso d'infezione nella comunità, specie dopo l'avvento della variante Delta, rendendo al contempo sicure le attività extra moenia dei ragazzi. Anche il governo tedesco, per facilitare le riaperture, ha scavalcato il parere dei suoi referenti scientifici, nella fattispecie il Robert Koch Institute e la Società tedesca di pediatria e medicina dell’adolescenza (DGKJ, Deutsche Gesellschaft für Kinder- und Jugendmedizin) che sconsigliavano la vaccinazione per gli adolescenti sani.
Gli Stati Uniti hanno approvato il vaccino per i ragazzi tra 12 e 17 anni per via della non insignificante mortalità tra i loro teenager (in Italia, da inizio pandemia a luglio erano morti 26 pazienti di età pediatrica, in Germania 4 e negli Stati Uniti, alla fine di agosto, 420). Sulle decisioni pesano intenti politici, ma anche i diversi contesti epidemiologici: come sottolinea Liz Whittaker, responsabile dell'infettivologia al Royal College of Paediatrics and Child Health britannico, la prevalenza di soggetti obesi negli Stati Uniti non è estranea al rilievo di tassi di ricoveri, sindromi infiammatorie e morti, maggiori che nel resto dell'Occidente. Proprio dagli Stati Uniti, però, arrivano anche voci favorevoli alla limitazione della vaccinazione pediatrica ai soggetti a rischio di complicanze: Jennie Lavine e Rustom Antia dall'Università Emory e Ottar Bjornstad dell'Università della Pennsylvania, in un editoriale pubblicato a maggio sul British Medical Journal, hanno definito la vaccinazione pediatrica generalizzata «difficile da giustificare per la maggior parte dei ragazzi nella maggior parte dei paesi». Questi biologi propongono l'approccio decisamente alternativo della "stabilità endemica", preso in prestito dalla medicina veterinaria: una volta che adulti e anziani fossero protetti dalla vaccinazione, il virus potrebbe pure circolare, in modo da dare un'infezione primaria nell'età in cui le conseguenze sono blande, seguita da una re-infezione "di richiamo" nell'età adulta, quando diminuisce l'immunità alla trasmissione del virus, ma resta l'immunità allo sviluppo della malattia. Sempre che qualche variante non sparigli le carte, dimostrando una diversa pericolosità per i più giovani.
In Italia
In Italia, il fronte pro vaccino pediatrico è ampio e unito: una richiesta formale al Ministero della Salute di promuovere «il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, oltre che dei bambini di età superiore ai 12 anni e di quelli più piccoli quando vaccini dedicati saranno disponibili» è stata firmata da Società Italiana di Pediatria (SIP), Società Italiana di Neonatologia (SIN), Società Italiana di Medicina Perinatale (SIMP), Società Europea di Rianimazione Pediatrica e Neonatale (ESPNIC), Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), Associazione Ginecologi Universitari Italiani (AGUI) e Associazione Ginecologi Territoriali (AGITE).
La Società Italiana di Pediatria rileva che dei 4,2 milioni di casi d'infezione da SARS-CoV-2, 638 000 erano sotto i 19 anni: 231 338 tra 0 e 9 anni (con 11 morti) e 406 460 tra i 10 e i 19 anni (con 15 morti); non condivide la scelta della Germania di destinare i vaccini solo ai bambini con patologie croniche sia perché gli studi hanno dimostrato che l'8% dei ricoveri pediatrici è avvenuto in assenza di fattori di rischio o di malattie concomitanti sia perché la sacca di popolazione pediatrica che rimane suscettibile all’infezione imporrebbe la necessità di provvedimenti di quarantena nelle scuole, con disagi personali e familiari. Un suo documento, ampiamente corredato da fonti bibliografiche, che risponde dettagliatamente alle FAQ di colleghi e genitori, è consultabile sul sito.
Resta all'ordine del giorno l'aspetto di tipo "globale" che l'OMS ha chiesto di valutare, soprattutto con riferimento ai paesi in via di sviluppo e che richiama a un’allocazione etica delle risorse vaccinali: è giusto destinarle a un gruppo poco esposto alle forme gravi o mortali di infezione da SARS-CoV-2 a discapito di gruppi più esposti? C'è, però, chi obietta che si tratta di una questione risolvibile sul piano della volontà politica e non degli approvvigionamenti, poiché il numero dei vaccini sufficiente a immunizzare bambini e adolescenti è una frazione molto piccola di quello necessario per immunizzare i paesi a basso reddito.
Un altro aspetto su cui si discute è la necessità del consenso dei genitori o dei tutori per vaccinare gli adolescenti e il modo per ottenere un'adeguata copertura vaccinale anche dopo che il contagio diminuirà e i ragazzi non acconsentiranno a farsi un vaccino che non ritengono più necessario. Il Codice civile italiano (nonché la Convenzione di New York del 1989, la Convenzione di Strasburgo del 1997, la Costituzione Europea e il Reg. UE 219/1111) garantiscono l’ascolto dei minori che abbiano compiuto i 12 anni o di età inferiore, se "con capacità di discernimento". Quest'ultima definizione, tuttavia, è scivolosissima anche per gli adulti, come provano i ricorsi al tribunale, frequenti già agli esordi della campagna vaccinale, per sanare le divergenze in materia Covid-19 tra genitori: la competenza è del giudice della separazione se i genitori sono separati e del tribunale per i minorenni se non lo sono, sempre con facoltà di avvalersi di un esperto. Le sentenze hanno finora favorito il vaccino, perché "tutela l’incolumità sanitaria non solo individuale, ma anche comunitaria" (opinione magari sindacabile da qualche esperto diverso da quello nominato dal tribunale). I media hanno dato risonanza ai casi di disaccordo vaccinale tra genitori e figli minori, i quali possono chiedere alla Procura minorile l’apertura di un procedimento tramite la propria scuola o il Garante dell’infanzia e dell’adolescenza.
La strada dell'obbligo vaccinale sembra la più ardua da percorrere, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista della giustificazione di necessità, sia, infine, dal punto di vista operativo.