Si percepisce un certo imbarazzo nel ricominciare a dover parlare di Covid-19, come richiede l'aumento di casi che si registra anche in Italia. La ragione, scrive l'epidemiologa Stefania Salmaso, può forse essere identificata nella mancanza di un processo trasparente che permetta di comprendere in base a quali elementi l’autorità sanitaria formuli raccomandazioni, e che porta al ricorso a opinionisti.
“Un Covid-19 imbarazzante”: potrebbe essere il titolo di una novella di Calvino o di una filastrocca di Rodari, ma è quanto stiamo osservando in questi giorni. L’aumento di frequenza di infezioni da SARS-CoV-2 in diverse aree del mondo, inclusa l’Italia, ha costretto la stampa corrente e i media in generale a doversene occupare di nuovo. Però spesso se ne parla con una sorta di imbarazzo e solo per dovere di cronaca, e se si passa a discutere di eventuali contromisure l’imbarazzo è ancora più evidente.
Perché? Uno degli aspetti peggiori della comunicazione in corso di pandemia è stato il ricorso a “opinionisti”, tra i quali molti anche ben qualificati nel settore clinico della cura del malato, ma non necessariamente dotati di esperienza e strumenti di sanità pubblica. Le opinioni sono facilmente strumentalizzabili e la polarizzazione delle posizioni è stata spesso associate a ideologie politiche e non. Quasi mai c’è stata spiegazione del processo decisionale e dei criteri che lo avevano guidato, dei motivi della scelta tra diverse alternative, per cui ai più è sembrato che un'opinione valesse quanto un’altra.
Ora che torniamo a confrontarci con l’aumento di frequenza dei casi di Covid-19, a molti sembra che schierarsi a favore o contro di una o più raccomandazioni (uso di mascherine? isolamento degli infetti? vaccinazione?) possa essere connotato anche ideologicamente, in assenza di elementi razionali dichiarati, e da qui nasce l’imbarazzo. Quando non si sa bene in base a quali argomenti e dati vengono prese decisioni, allora è evidente che lo spazio per le “opinioni” diventa predominante e la discussione si sposta su piani diversi dall’approccio razionale.
In effetti nel nostro Paese non esiste (o almeno non è noto) un processo consolidato e trasparente che permetta di comprendere in base a quali elementi l’autorità sanitaria formuli raccomandazioni. Perfino la presenza di dati scientifici non sempre è dirimente nei confronti di scelte di sanità pubblica e passare dalle evidenze alle raccomandazioni non è automatico: dipende dalla solidità delle prove (grado), dal contesto in cui sono state ottenute (validità esterna), dalla fattibilità (sistema organizzativo) e accettabilità delle raccomandazioni. Valutare la qualità delle evidenze disponibili e definire la forza delle raccomandazioni che ne scaturiscono è il metodo applicato da anni anche all’estero per la redazione di linee guida.
Lo scorso 12 settembre 2023, l'Advisory Committee on Immunization Practice (ACIP) statunitense si è riunita (riunione trasmessa in streaming sul web) per valutare le prove scientifiche in merito alla vaccinazione contro Covid da proporre negli USA e per esaminare come passare dalle evidenze alle raccomandazioni di sanità pubblica. Tutte le slide presentate sono disponibili su web e la quantità di dati esposti (tutti riferiti agli USA) ha coperto moltissimi aspetti, dall’epidemiologia attuale, al long-Covid, alle varianti circolanti, alla valutazione economica della malattia, ai vaccini ora disponibili. Una lunga presentazione ha valutato la solidità delle prove presentate e ha preso in considerazione diversi aspetti (definiti dominii) per passare dalle evidenze alle raccomandazioni: sanità pubblica, benefici, rischi, percezione da parte della popolazione target, accettabilità della vaccinazione, fattibilità e aspetti pratici dell’offerta, risorse necessarie e infine equità dell’offerta vaccinale.
Tra gli aspetti di sanità pubblica, per esempio, l’offerta della ulteriore vaccinazione Covid per i giovani fino ai 18 anni di età è messa in confronto in termini di decessi con altre vaccinazioni già raccomandate (contro meningococco, varicella, rotavirus, etc) evidenziando che, seppure su archi temporali diversi, il numero di decessi attribuiti a Covid-19 è di gran lunga superiore a quello di altre malattie per le quali è già raccomandata la vaccinazione. Per gli adulti il confronto con l’influenza porta a risultati ancora più evidenti a favore della vaccinazione contro Covid. Nella presentazione particolare risalto viene dato agli aspetti di equità che vengono discussi per ognuno degli aspetti trattati (benefici, rischi, accettabilità, fattibilità, etc) e in effetti è evidente come ci siano grandi differenze tra diverse etnie, gruppi di età, e aree geografiche per fattori di rischio di gravi complicanze da Covid-19.
Senza voler concludere che l’esempio ACIP sia l’unico o il migliore, il problema di fondo è darsi delle regole, renderle note e applicarle in modo trasparente per tutti.
Un ulteriore punto che merita considerazione è anche la disponibilità di dati. Se ci fosse un metodo consolidato di valutazione sapremmo di quali dati abbiamo bisogno per decidere e di quali studi e sorveglianze dobbiamo equipaggiarci per avere effettivamente elementi oggettivi da valutare. L’adesione a raccomandazioni di sanità pubblica sarebbe certamente più convinta se queste ultime fossero basate anche su risultati tempestivi e accessibili a tutti, provenienti da studi solidi condotti nel nostro Paese. L'Associazione Italiana di Epidemiologia ha richiesto trasparenza nei processi decisionali e sarebbe proprio il caso di continuare a esigere regole stabilite e note senza ogni volta affidarsi all’onda più o meno giustificata del sentimento popolare o delle convenienze di altra natura e riportare la discussione su un terreno meno imbarazzante.