Il cattolicesimo illuminato che Carlo Maria Martini portò a Milano quando era arcivescovo e organizzava la seguitissima cattedra dei non credenti lo ritroviamo in questo agile dialogo sotto forma di libro, fra il cardinale e il medico-senatore Ignazio Marino, che aiuta anche a comprendere il modo in cui il cardinale ci ha lasciati, con la scelta consapevole e non casuale di rifiutare di protrarre l'agonia con l'alimentazione artificiale.
Martini e Marino si sono frequentati a lungo, in uno sforzo comune di mettere a fuoco i temi chiave della bioetica, cercando di accordare scienza e religione, o - come recita il titolo del libro - Credere e conoscere (Einaudi, 2012).
E' un fatto che la scienza, in particolare la medicina e la biologia, ha contribuito a rivoluzionare sensibilità e costumi negli ultimi decenni, sottoponendo il senso comune (e in particolare la morale religiosa) a forti sollecitazioni. La prima risale agli anni sessanta e riguarda i trapianti, con la connessa nuova definizione di morte celebrale messa a punto nel 1968 dalla Ad Hoc Commission di Harvard. In quel caso la reazione della Chiesa fu tutto sommato pronta nell'accettare la novità in nome del dono e dei valori della solidarietà. Ma da allora, le strade delle innovazioni scientifiche e del dogma si sono divaricate.
I problemi sono cominciati con la rivoluzione della fecondazione assistita (iniziata in Gran Bretagna con la nascita di Louise Brown nel 1978), mai del tutto accettata dalle gerarchie ecclesiastiche, che continuano a vedere la riproduzione come il frutto esclusivo del rapporto d'amore naturale della coppia consacrata all'interno del matrimonio. Non solo la riproduzione non può nella dottrina cattolica, essere disgiunta dalla sessualità, ma neppure questa può essere separata dalla prima, come dimostra la chiusura della Chiesa sull'uso del preservativo e della pillola. Al punto da rifiutare di prendere in considerazione questo importante presidio per le coppie in cui uno dei due è sieropositivo.
Il divorzio fra scienza e fede è proseguito con lo sviluppo degli studi delle cellule staminali embrionali, dalla cui sperimentazione prende il via la nuova medicina rigenerativa ma che viene respinto in base a una concezione della vita come assoluta e indisponibile. In base allo stesso principio il dogma religioso esercita una forte resistenza allo sviluppo anche in Italia di una moderna disciplina delle direttive anticipate, che possano rimettere nelle mani del malato la decisione di interrompere terapie ormai futili quanto all'esito delle cure.
Tutto questo e altro ancora (dall'omosessualità alle unioni di fatto) viene rimesso in discussione nel bel dialogo fra Marino e Martini, dove l'uno va a sostanziare di dati scientifici e medici gli excursus teologici e morali dell'interlocutore. A dimostrazione che si può ben essere cristiani e anche cattolici, apostolici e addirittura romani accordandosi, pure con cautele, ai contenuti umanistici del progresso medico e scientifico.
Così perché non consentire l'adozione degli embrioni abbandonati dalle coppie, o un loro sacrificio in nome della sperimentazione? E come si potrebbe non accettare il "male minore" dell'uso del preservativo dove è in gioco la tragedia dell'AIDS? Ribadita poi l'importanza della famiglia "naturale" il cardinale ammette: "Che in alcuni casi la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l'inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa Possono spingere a sceglie per s'è un tipo di vita con un partner dello stesso sesso". E che quindi "non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli".
Le posizioni del sacerdote e del medico, che all'inizio certo non coincidono, via via che il dialogo procede convergono, e sul punto dell'eutanasia si ha quasi l'impressione che l'uomo di fede superi in audacia morale lo stesso medico illuminato ma vincolato al suo codice deontologico, quando Martini afferma di non poter approvare ma di non poter nemmeno condannare chi aiuta la morte di un ammalato "ridotto agli estremi e per puro sentimento di altruismo". Segno che la carità, come dice San Paolo, "tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta".