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La crisi climatica mette a rischio i siti naturali patrimonio dell’UNESCO

iceberg

Il riscaldamento globale minaccia molti siti naturali patrimonio dell'umanità: secondo uno studio, la crisi climatica esporrà quasi tutti i siti UNESCO a eventi estremi entro il 2100, con impatti particolarmente gravi nelle regioni tropicali. Tuttavia, scenari di basse emissioni potrebbero ancora preservare luoghi iconici come Ilulissat e la Grande barriera corallina.

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A Ilulissat Icefjord nascono gli iceberg. In Groenlandia, 250 chilometri a nord del Circolo Polare Artico, enormi blocchi di ghiaccio si staccano dalla calotta e finiscono in mare. Non ci sono molti luoghi come questo. Dal 2004, il fiordo è riconosciuto sito naturale patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, agenzia delle Nazioni unite che si occupa, tra le altre cose, di tutela del paesaggio. Tuttavia, le emissioni antropiche e il conseguente riscaldamento globale stanno mettendo in pericolo la possibilità di assistere alla formazione degli iceberg come l'abbiamo conosciuta finora.

A dirlo non è solo il programma ONU che monitora lo stato di conservazione dei siti patrimoni dell’umanità, ma anche uno studio pubblicato a dicembre 2024 su Communication Earth&Environment, rivista del gruppo Nature. Il team di ricerca - un gruppo dell’Università di Pechino - ha analizzato l’impatto del riscaldamento globale su 250 siti UNESCO, prendendo in considerazione tre fattori principali: ondate di calore, siccità e precipitazioni estreme. La domanda a cui il gruppo di ricerca ha cercato di rispondere è: quanti e quali eventi meteorologici estremi si verificheranno in ecosistemi unici come la Grande barriera corallina, il Pantanal e Ilulissat Icefjord?

Per provare a rispondere, gli autori dello studio hanno utilizzato modelli climatici avanzati per effettuare proiezioni in quattro scenari di emissioni (Shared Socioeconomic Pathways, SSP), corrispondenti a diversi livelli di riscaldamento globale: SSP1-2.6 (basse emissioni), SSP2-4.5 (intermedio), SSP3-7.0 (alte emissioni) e SSP5-8.5 (estremamente alte).

I risultati indicano che, nello scenario con basse emissioni (SSP1-2.6), 33 dei 250 siti analizzati subiranno almeno un tipo di stress climatico entro il 2100. Patrimoni che si trovano per la maggior parte nel Sud-est asiatico. In Europa, Medio Oriente e Nord Africa, invece, nessun sito sarebbe gravemente colpito.

Con livelli di emissioni intermedi (SSP2-4.5), i siti minacciati dal cambiamento climatico sarebbero 188, mentre negli scenari più critici (SSP5-8.5) quasi tutte le aree UNESCO saranno esposte a ondate di calore estremo, siccità o alluvioni. A oggi, il 45% dei siti naturali esaminati ha sperimentato ondate di calore tra il 2000 e il 2015. Nello scenario peggiore, il caldo estremo colpirebbe il 98% di questi luoghi.

Scenario che comunque risulta oggi improbabile, per la maggior parte degli esperti. Al momento, infatti, ci troviamo in una situazione intermedia: ci stiamo allontanando dagli scenari più critici, ma non stiamo ancora facendo abbastanza per restare sotto i 2°C. Le emissioni di CO2 continuano a crescere, anche se il tasso di aumento sta rallentando. Con le politiche attuali, la traiettoria al 2100 è di più 3,1°C rispetto all'epoca pre-industriale.

I siti patrimonio mondiale dell'umanità coprono meno dell'1% della superficie terrestre, ma ospitano oltre il 20% delle specie conosciute. Secondo lo studio del team dell’Università di Pechino, le aree più vulnerabili sono spesso hotspot di biodiversità che si trovano in regioni tropicali e a latitudini intermedie. Tra questi, il Pantanal in Brasile, la più grande zona umida tropicale al mondo. Il sito è già stato gravemente colpito dal cambiamento climatico: secondo uno studio di attribuzione, il riscaldamento globale ha reso gli incendi che hanno bruciato il Pantanal nel 2024, il 40% più intensi.

Tra i siti a rischio c’è anche Ilulissat Icefjord, il luogo dove nascono gli iceberg. Secondo il programma di monitoraggio dell'UNESCO, «il cambiamento climatico è già la principale minaccia per il luogo». Nei prossimi decenni si prevede: un aumento delle temperature in estate e in inverno, un aumento della frequenza delle precipitazioni intense (>10 mm) e una significativa riduzione del ghiaccio marino entro il 2050. Secondo lo studio di Nature, però, il sito non subirebbe alcuna pressione climatica nello scenario a basse emissioni. Tuttavia, nello scenario intermedio, quello attuale, Ilulissat Icefjord sarà soggetto a precipitazioni intense, mentre nei due scenari con le emissioni più elevate affronterà sia piogge estreme che ondate di calore.

Tra i più famosi siti UNESCO c’è la Grande barriera corallina, la più grande struttura vivente sulla Terra. Un ecosistema che attrae due milioni di visitatori all'anno, offre lavoro a circa 64.000 persone e contribuisce con oltre 6,4 miliardi di dollari ogni anno all'economia australiana. Secondo lo studio di Nature, la barriera corallina dovrà affrontare un aumento dell'intensità delle ondate di calore rispetto al clima previsto nel prossimo decennio, in tutti gli scenari considerati dallo studio tranne quello a emissioni più basse. La Grande barriera corallina è, però, già ora minacciata dal cambiamento climatico: le temperature elevate stanno causando lo sbiancamento dei coralli, un fenomeno che si verifica quando, a causa di stress ambientali, i coralli espellono le zooxantelle, le alghe simbiotiche che vivono nei loro tessuti e forniscono loro nutrimento e colore. Senza queste alghe, i coralli appaiono bianchi e muoiono più facilmente. Gli eventi di sbiancamento stanno diventando sempre più frequenti con l'aumento delle temperature globali: nel 2024 la Grande barriera corallina ha subito il quinto evento di questo tipo in soli otto anni.

 


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