fbpx Cronache marziane | Scienza in rete

Cronache marziane

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Dieci anni fa, più o meno in questi giorni, sulla rampa di lancio del Cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, un vettore Soyuz/Fregat stava pazientemente attendendo l'apertura della finestra di lancio per dare il via alla cavalcata spaziale della Mars Express, la prima missione dell'ESA con destinazione Marte. Un po' meno pazienti e tranquilli gli ingegneri responsabili del progetto. Tre mesi prima, appena prima che la sonda lasciasse Tolosa con destinazione Baikonur, infatti, si erano accorti che un modulo elettronico aveva grossi problemi e avevano dovuto sostituirlo in tutta fretta. Questo aveva comportato un ritardo di una decina di giorni nella data di lancio, inizialmente fissata per il 23 maggio, e un ulteriore carico di adrenalina non solo per gli ingegneri, ma anche per i team di ricercatori che avevano affidato alla sonda i loro delicati strumenti. Il perfetto lift-off del 2 giugno 2003, però, contribuiva ad accantonare i timori, dando il via a quella che si sarebbe poi rivelata una fantastica e produttiva missione spaziale, solo in piccola parte rovinata dal fallimento del lander britannico Beagle 2.

Anche solo scorrendo i più importanti traguardi scientifici raggiunti dalla sonda in questi dieci anni di lavoro, non si fatica a comprendere come mai l'ESA festeggi con orgoglio l'anniversario. Dieci anni di orgoglio condivisi, a pieno titolo, anche dalla comunità scientifica italiana, che nella missione Mars Express ha un ruolo di primo piano. La festa per i primi dieci anni di missione è stata per l'ESA l'occasione per diffondere un contributo scientifico - l'ultimo in ordine di tempo - davvero fondamentale per la conoscenza del Pianeta rosso. Si tratta di un fantastico atlante frutto di dieci anni di accurata raccolta di dati da parte dello strumento OMEGA, il cui spettrografo è di costruzione italiana. Ora i planetologi possono contare su dettagliate mappe della composizione mineralogica delle regioni di Marte, tutte ottenute grazie all'analisi dello spettro della luce solare riflessa dal pianeta.

Mentre Mars Express compie il suo lavoro dall'alto, sul rugginoso suolo marziano non si sta certo con le mani in mano e anche i rover della NASA si stanno dando un gran daffare. Aria di festeggiamenti anche oltre Oceano, comunque. Il 16 maggio, infatti, il rover Opportunity si impadroniva di un record che risaliva al 1972 e i cui detentori erano gli astronauti Eugene Cernan e Harrison Schmitt dell'Apollo 17. Nel dicembre di quell'anno i due astronauti fissarono il record di percorrenza per un veicolo della NASA sulla superficie di un altro corpo del Sistema solare: 35744 metri, risultato del loro scorazzare per le desertiche lande lunari a bordo del Lunar Roving Vehicle. A quell'epoca era anche il record assoluto mondiale, ma sotto questo aspetto restò in carica solo un anno, lasciando la corona alla sonda sovietica Lunokhod 2, che nel 1973 percorse 37 chilometri.

Con la sua breve passeggiata (80 metri) del 16 maggio scorso, Opportunity ha portato il conteggio complessivo della strada percorsa a 35760 metri. Record battuto dopo quarant'anni, dunque, con la concreta possibilità di incrementarlo ancora provando a insidiare il detentore assoluto.

Non se ne sta con le mani in mano neppure Curiosity. Dopo aver compiuto, a metà febbraio, la sua prima perforazione rendendo per la prima volta possibile l'analisi di un campione proveniente direttamente dall'interno di una roccia extraterrestre (obiettivo del trapano di Curiosity la roccia sedimentaria battezzata John Klein), il 19 maggio ha concesso il bis. La nuova trivellazione ha riguardato la roccia chiamata Cumberland e i ricercatori confidano che i nuovi dati concordino con quelli ottenuti su John Klein tre mesi fa, confermando che quella regione marziana fu in passato caratterizzata da condizioni ambientali favorevoli alla presenza di vita microbiologica. Completata l'analisi dei campioni, però, per il rover sarà tempo di abbandonare il Cratere Gale nel quale ha gironzolato in questi sei mesi e mettersi in cammino verso il Monte Sharp.

Se, stando alle sue prime scoperte, Curiosity ha aperto uno spiraglio sulle condizioni favorevoli alla vita nel lontano passato di Marte, ha però anche sollevato problemi piuttosto pesanti sulla possibilità che arditi astronauti possano un giorno abitare sulla sua superficie rossastra. La misurazione dei livelli di radiazione raccolti dalle strumentazioni del rover - lo studio è stato pubblicato a fine maggio su Science - indica infatti che la permanenza sul Pianeta rosso comporta un accumulo di radiazione che è molto prossimo al limite massimo che la NASA ha stabilito per i suoi astronauti. Il problema non sta tanto nella radiazione tipica di Marte, quanto piuttosto nel fatto che a essa bisogna sommare le radiazioni inevitabilmente assimilate nel corso del viaggio (senza poi contare le - seppur minime - dosi raccolte nel corso delle indispensabili esercitazioni per la missione, quali per esempio i viaggi verso la Stazione spaziale).

Alla NASA, però, non si danno per vinti. Un trucco per ricondurre la dose di radiazioni entro i limiti accettabili potrebbe riguardare proprio il tragitto verso Marte. Basterebbe, per esempio, schermare in modo più efficace le navi spaziali proteggendo così gli astronauti dalla radiazione del viaggio, oppure ridurre drasticamente i tempi attuali di percorrenza. Tutto molto facile, a parole.

Per approfondire

Mars Express brochure  
Pubblicazione ESA 2009 (Mars Express: the scientific investigations)


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Il nemico nel piatto: cosa sapere dei cibi ultraprocessati

Il termine "cibi ultraprocessati" (UPF) nasce nella metà degli anni '90: noti per essere associati a obesità e malattie metaboliche, negli ultimi anni si sono anche posti al centro di un dibattito sulla loro possibile capacità di causare dipendenza, in modo simile a quanto avviene per le sostanze d'abuso.

Gli anni dal 2016 al 2025 sono stati designati dall'ONU come Decennio della Nutrizione, contro le minacce multiple a sistemi, forniture e sicurezza alimentari e, quindi, alla salute umana e alla biosfera; può rientrare nell'iniziativa cercare di capire quali alimenti contribuiscano alla salute e al benessere e quali siano malsani. Fin dalla preistoria, gli esseri umani hanno elaborato il cibo per renderlo sicuro, gradevole al palato e conservabile a lungo; questa propensione ha toccato il culmine, nel mezzo secolo trascorso, con l'avvento dei cibi ultraprocessati (UPF).