fbpx Da fibrosi cistica a distrofia: un gene tira l’altro | Scienza in Rete

Da fibrosi cistica a distrofia: un gene tira l’altro

Primary tabs

© Depositphotos.

Tempo di lettura: 3 mins

Alcuni ricercatori di Padova1 hanno pensato di testare se le molecole impiegate per la fibrosi cistica funzionassero anche per una particolare forma di distrofia nota come distrofia muscolare dei cingoli tipo D2. La ragione è presto detta. 

La fibrosi cistica è dovuta alla mutazione di un gene che codifica per la proteina Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator (CFTR), con grande maggioranza dei malati in cui la proteina ha una sostituzione a livello dell’aminoacido 508, per cui la mutazione viene denominata F508del. La distrofia muscolare dei cingoli tipo D2 è una rara malattia genetica autosomica recessiva che colpisce i tessuti muscolari striati, dovuta alla mutazione del gene SGCA che codifica per la proteina alfa-sarcoglicano (alfa-SG). In entrambe le malattie la causa è genetica e l’effetto è una proteina che, non essendo ripiegata in modo corretto, non arriva a maturazione e viene degradata dal sistema di controllo della cellula.

Se consideriamo solo i sintomi nulla sembra accomunare le due malattie. Pensando invece al difetto genetico che le provoca, esse sono molto simili: due diverse proteine che non si ripiegano correttamente (difetto di folding) e non raggiungono il sito opportuno (difetto di trafficking).

La fibrosi cistica è in un momento storico davvero unico, in quanto si è trovata una strada farmacologica per colpire il difetto alla base della malattia, ossia il malfunzionamento della proteina CFTR. Gli sforzi della ricerca si stanno moltiplicando, nell’accademia come nell’industria. Recentemente sono stati sviluppati e anche commercializzati, seppur a prezzi esorbitanti, alcune piccole molecole chiamate correttori. In particolare sono stati recentemente scoperti diversi correttori in grado di agire su quella particolare mutazione della fibrosi cistica che provoca il difetto di folding e trafficking. Tra di essi, i correttori di prima generazione sembra avessero come bersaglio specifico la proteina, mentre gli altri correttori non sembrano colpire direttamente la CFTR difettosa, quanto altre proteine che concorrono al difetto di maturazione.

Promettenti correttori

I ricercatori hanno testato 12 molecole che, in base ai dati riportati in letteratura, sembrano in grado di correggere il difetto molecolare. Tra essi il correttore Lumacaftor e l’antinfiammatorio Glafenina, entrambi già in commercio per la più frequente mutazione della fibrosi cistica. Oltre ad essi, sono stati analizzati sulla proteina della distrofia (alfa-SG) altri 10 correttori non commercializzati, 6 dei quali studiati per la prima volta nel 2005 grazie a finanziamenti della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica e Telethon, oltre che dai National Institutes of Health.

I risultati ottenuti mostrano che due dei correttori sono efficaci nel recupero della proteina alfa-SG difettosa, nelle quattro mutazioni considerate. Tra tutti i 12 correttori analizzati, solo uno risulta inefficace. 

Naturalmente siamo ancora a livello di ricerca di base e servono altri studi, ma il lavoro rappresenta un’importante prova di principio di una nuova strategia farmacologica applicabile a una larga coorte di pazienti con la distrofia muscolare dei cingoli del tipo D2. È questo il “bello della ricerca”: studi pensati per uno scopo, eseguiti anni prima da gruppi di ricerca ignari degli sviluppi futuri, possono mostrarsi promettenti punti di partenza per tutt’altre ricerche, egualmente importanti. 

Note
1 Carotti M, Marsolier J., Soardi M., Bianchini E., Gomiero C., Fecchio C., Henriques S.F., Betto R., Sacchetto R., Richard I., Sandonà D., “Repairing folding-defective α-sarcoglycan mutants by CFTR correctors, a potential therapy for limb-girdle muscular dystrophy 2D”, Hum Mol Genet, 2018 Mar 15; 27(6): 969-984.

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):