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Da Galileo ad Hubble, l'universo visto da vicino

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Quando scriviamo i risultati delle nostre ricerche e prepariamo articoli da sottoporre al vaglio delle riviste internazionali, dovremmo tornare un attimo indietro nel tempo e pensare al momento in cui Galileo Galilei portò il suo manoscritto al tipografo Baglioni a Venezia, alla fine di febbraio 1610. Quelli che dovevano giudicare se il suo Sidereus Nuncius – un breve trattato basato sulle prime osservazioni fatte al telescopio – fosse adatto alla pubblicazione rappresentavano la Santa Inquisizione.

Galileo sapeva che quei giudici non solo avrebbero rifiutato quello che a loro non piaceva ma l’avrebbero anche invitato a rispondere a qualche domanda; ma quella volta fu fortunato. Grazie al nulla osta dell’Inquisitore locale, il primo Marzo 1610, il Maggior Consiglio di Venezia, diede il suo consenso.

Pochi sanno che allora Galileo (con Baglioni) corse un rischio enorme. L’entusiasmo  spinse Galileo ad aggiungere al testo osservazioni compiute fra il 27 febbraio e il 2 Marzo che, ovviamente, non avevano potuto passare il vaglio dell’Inquisizione. Ma le nuove osservazioni avevano un profondissimo significato: per la prima volta da quando aveva iniziato le sue osservazioni di Giove il 7 gennaio,  una piccola stella “fissa” era entrata nel campo di vista dello strumento. Gli schizzi di Galileo mostrano chiaramente la stella che fa da punto di riferimento mentre Giove transita nel cielo trascinandosi i suoi satelliti. Questa scoperta avrebbe sicuramente rischiato di  scatenare l’ira dell’Inquisizione.

A quel punto, Galileo doveva essere occupatissimo a finalizzare il suo  lavoro, curando ogni dettaglio, ad esempio la riproduzione delle immagini della Luna come l’aveva dipinta nel 1609. Uno degli artisti di Baglioni cercò di riprodurre i bellissimi acquarelli di Galileo con incisioni su legno, ma, probabilmente per la troppa fretta, l’artigiano non fece un gran lavoro. Per fortuna, gli originali sono stati conservati e rivelano il talento eccezionale di un vero figlio del Rinascimento Fiorentino.

Il 13 marzo 1610, 550 copie del Sidereus Nuncius erano pronte per documentare l’inizio coraggioso di una nuova era, quella dell’astronomia con il telescopio. Dopo pochi anni, grazie ad Isaac Newton (nato nel 1642, l’anno della morte di Galileo) e Gian Domenico Cassini (1625-1712), furono costruiti telescopi più grandi e di migliori prestazioni che svelarono all’umanità un universo sempre più grande: dal sistema solare alle stelle, dalle stelle alla nostra Galassia e da lì verso l’universo popolato da tante galassie quante sono le stelle nella nostra, circa 100 miliardi.

Negli ultimi 400 anni, i telescopi ci hanno fatto capire come funzionano le stelle, mettendo in evidenza che il genere umano e tutto quello che vediamo sono polvere di stelle. È vero che la nascita delle prime stelle nell’universo, circa 13 miliardi di anni fa, non è stata ancora documentata, ma ci stiamo lavorando. Lo Extremely Large Telescope Europeo (E-ELT), ad esempio, dovrebbe fare questo lavoro. Con uno specchio di più di 40 metri (a confronto con le lenti di solo 4 centimetri di Galileo), E-ELT si avvicinerà al massimo di quello che possiamo costruire per fare osservazioni ottiche. Anche i radioastronomi stanno pensando in grande e pianificano di coprire una superficie di 1 km quadrato con antenne per fare fare alla radioastronomia un salto di qualità.

Negli ultimi 40 anni, abbiamo utilizzato i telescopi nello spazio per studiare “l’astronomia dell’invisibile” che avrebbe sfidato le conoscenze di Galileo. È difficile chiamare telescopi gli  strumenti basati sui contatori Geiger che Riccardo Giacconi e i suoi colleghi montarono su un missile nel 1962. Tuttavia con questi contatori furono scoperte le prime sorgenti cosmiche dei raggi X. I telescopi X che usiamo oggi utilizzano degli  specchi speciali per focalizzare i fotoni X  e presto il numero delle sorgenti X del cielo supererà il mezzo milione.

Dieci anni dopo l’astronomia a raggi X è nata l’astronomia dei raggi gamma. I fotoni gamma sono impossibili da focalizzare ed è quindi molto più difficile costruire telescopi capaci di fare immagini del cielo gamma. Ma le difficoltà possono essere superate e oggi, grazie agli strumenti a bordo di Agile e Fermi, abbiamo localizzato più di 1.000 sorgenti di raggi gamma. Alcune di queste sono stelle di neutroni simili a Geminga che emettono solo radiazione gamma. Il cielo gamma è anche popolato da sorgenti molto brillanti ma dalla vita brevissima. Si chiamano lampi di raggi gamma e ci vogliono dei telescopi speciali per poterli rivelare e studiare.

I telescopi nello spazio hanno arricchito il panorama astronomico con moltissime altre scoperte: pensiamo al Telescopio Spaziale Hubble, lo strumento astronomico più produttivo e sicuramente anche il più amato dal pubblico. Da qualche mese è operativo in orbita anche Planck, un telescopio che deve studiare l’universo appena nato, quando aveva solo circa 300.000 - 400.000 anni ed era poco più grande della nostra Galassia. La radiazione dell’universo bambino è misurabile solo nelle microonde. L’immagine costruita con questi antichissimi fotoni cosmici rivela delle piccolissime fluttuazioni che sono responsabili dell’universo che noi conosciamo.

Che genere di telescopi possiamo aspettarci per il futuro? Galileo e Newton ci consiglierebbero di esplorare l’ignoto, alla scoperta della parte ancora sconosciuta dell’universo non elettromagnetico dei neutrini e delle onde gravitazionali. Sappiamo che le onde gravitazionali esistono e sappiamo come potremmo rivelarle, peccato che le difficoltà pratiche non ci abbiamo ancora permesso di riuscire a misurarle. D’altra parte i neutrini sono stati osservati sia dal  Sole sia da una supernova, utilizzando dei particolari rivelatori. Anche rivelare i neutrini è molti difficile: I rivelatori sono immersi nel ghiaccio dell’Antartide o nelle profondità del mare, altri usano addirittura tutta la terra.

È difficile immaginare un telescopio ancora più grande eppure puntiamo sempre più in alto. I telescopi come E-ELT, di un km quadrato, e i futuri telescopi spaziali sono degni discendenti dello specillum di Galileo e continuano a guardare lo stesso cielo.


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