Che la pandemia di COVID-19 abbia avuto conseguenze negative anche su altre malattie, in termini di mancati controlli, ritardi nelle visite, negli esami e negli interventi, è cosa di cui in molti hanno parlato, anche se ancora difficilmente quantificabile. Ora però arriva un’indagine dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS) che dà una valutazione più precisa di alcuni di questi effetti collaterali. Il risultato è presto detto: tra il primo gennaio e il 30 settembre del 2020 in Italia sono stati effettuati 2 milioni di test per gli screening oncologici in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.
Il lockdown di marzo e aprile scorsi ha interrotto i tre screening oncologici offerti gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale: quelli per la prevenzione precoce dei tumori della mammella, dell’utero e del colon retto. Già da una prima indagine condotta dall’ONS assieme alle Regioni era emerso che a causa di questa interruzione, nel periodo gennaio-maggio 2020 si era accumulato un grande ritardo nell’attività di screening. I nuovi dati, che prendono in considerazione il periodo gennaio-settembre, mettono in evidenza che il ritardo non è stato recuperato, anzi “si è accentuato, anche se il quadro complessivo appare molto eterogeneo con grandi differenze tra le Regioni”, secondo Paola Mantellini oncologa dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica di Firenze (ISPRO) e attuale Direttore dell’ONS.
All’indagine italiana hanno risposto 20 regioni su 21, quindi il quadro è quasi completo. A mitigare la tempesta che ha colpito l’attività di screening, c’è la constatazione che il ritardo negli ultimi mesi è rallentato, un segno del fatto che in molte regioni ci si è attivati per potenziare le attività. In particolare si registra un miglioramento nello screening mammografico: un dato importante perché la diagnosi precoce nel tumore al seno è fondamentale. Secondo Gianni Amunni, direttore generale di ISPRO, «le conseguenze cliniche maggiori sono potenzialmente a carico dello screening mammografico e di quello colorettale dove potrebbe capitare che l’individuazione della lesione tumorale si verifichi a uno stadio più avanzato, perdendo quindi una parte del vantaggio legato alla diagnosi precoce». Il problema principale è infatti che un ritardo nell’attività di screening si può tradurre in un aumento delle lesioni perse, ovvero il rischio è che vengano diagnosticati meno tumori in fase iniziale.
L’Italia non è la sola evidentemente ad affrontare questo problema, uno studio pubblicato il 23 ottobre scorso su Nature Reviews Clinical Oncology evidenzia lo stesso tema per il Regno Unito. Prima della pandemia, ogni settimana circa 210.000 inglesi partecipavano ai programmi di screening che da marzo sono stati sospesi e si calcola che a maggio scorso abbia cominciato il trattamento il 37% di pazienti in meno rispetto a maggio 2019. Si stima che in Inghilterra nei prossimi 5 anni ci saranno oltre 3000 morti addizionali per cancro alla mammella, polmoni, colon retto e esofago dovuti a una diagnosi tardiva. E negli Stati Uniti si parla di un eccesso di 10.000 morti per tumore al seno e al colon retto nei prossimi 10 anni.
Oltre alla preoccupazione per le “lesioni perse”, c’è un altro timore: che questa battuta d’arresto possa creare una disaffezione dei cittadini che si prolunghi anche in una fase successiva. La rilevazione condotta dall’ONS infatti ha evidenziato una minore propensione a partecipare pari a -17% per lo screening cervicale, a -20% per lo screening colorettale e -21% per lo screening mammografico. E’ importante capire il perché di questo fenomeno: «E’ possibile – si legge nel rapporto - che, stante la difficoltà a recuperare il ritardo accumulato, le fasce di popolazione più abbienti e con livelli di istruzione più elevati decidano di ricorrere ad offerte di prevenzione individuale di tipo privatistico. Di conseguenza, le persone che potrebbero risentire maggiormente dell’impatto negativo del ritardo sarebbero quelle appartenenti alle fasce di popolazione più fragile. Anche per questo motivo è quanto mai necessario che la pianificazione dei recuperi sia tempestiva e consistente».
Cosa si può fare? «Sulla base di quanto osservato non sembra essere più nemmeno adeguato parlare di piani di rientro, ma è necessario che il sistema screening vada fortemente ripensato nel suo complesso e con logiche di solida ristrutturazione cioè di corretta, efficiente e stabile allocazione delle risorse», commenta Marco Zappa epidemiologo ed ex Direttore dell’ONS.
Secondo gli autori del rapporto, quando la curva epidemica si sarà attenuata si dovrà pensare a un potenziamento della capacità di erogazione dei programmi e si dovrà riprendere al più presto l’invio dei solleciti attualmente sospesi. Inoltre, i servizi sanitari potrebbero adottare modalità organizzative differenti e più in linea con i fabbisogni della popolazione, in particolare già da subito si potrebbe pensare a una maggiore innovazione digitale con sistemi di comunicazione più veloci ed efficienti che affianchino il contatto postale.