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De Bortoli ti sbagli: la transizione è possibile da subito

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Stefano Nespor risponde all'articolo di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della sera relativo alla transizione ecologica. Secondo Nespor, De Bortoli scrive diverse affermazioni non condivisibili che rischiano di offuscare l’importanza dell’impegno di tutti nel sostenere la transizione verde.

Immagine: eventiculturalimagazine.com

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L’articolo di fondo di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della sera del 3 ottobre Le promesse e le verità del colibri contiene molte affermazioni non condivisibili.

Primo. Per De Bortoli è «un sogno (che per ora resta tale) che il mondo arrivi, a metà secolo, alla neutralità delle emissioni e riesca a contenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi». Osserva infatti che petrolio, carbone e gas naturale pesano ancora per l’80 per cento del fabbisogno energetico e per il 65 per cento nella produzione di energia elettrica. Così, per quanto si investa in energie alternative, pur sempre il petrolio e il carbone resteranno indispensabili per garantire la fornitura di energia necessaria per l’economia mondiale.

È un’affermazione sbagliata sotto due diversi aspetti. Prima di tutto, la storia dimostra che le tecnologie a disposizione, considerate le uniche possibili, possono essere rapidamente sostituite da tecnologie nuove più efficienti o più sicure. Sembrava un sogno poter fare a meno dell’olio di balena per l’illuminazione di strade e case fino alla scoperta del petrolio nel 1859. In pochi anni, il sogno è divenuto realtà. Sembrava un sogno poter collegare paesi distanti senza utilizzare costosi cavi sottomarini, superando barriere create da montagne, oceani e soprattutto la curvatura della terra. Con la scoperta del telegrafo senza fili di Marconi il sogno è divenuto realtà. Infine, nessuno immaginava che si potesse fare a meno di tram tirati da cavalli nelle grandi metropoli, fino a che i tram elettrici in pochi anni ne hanno preso il posto.

Ma, si può dire, ed è quello che sembra pensare De Bortoli, nel nostro caso la tecnologia non c’è. Non è vero. A differenza dei casi che ho richiamato, qui la tecnologia non deve essere scoperta: c’è già. Il rapporto pubblicato da Carbon Tracker, un centro di studi che studia i problemi della transizione energetica, dimostra che «con le conoscenze tecnologiche attualmente esistenti» è possibile catturare entro la fine del decennio energia solare ed energia eolica pari a 6 700 PWh (il Petawatt per ora misura una quantità di energia elettrica 1 000 volte quella rappresentata dal Terawatt per ora, TWh, l’unità generalmente in uso nei modelli che compiono valutazioni della produzione di energia su scala mondiale), «una quantità superiore di circa 100 volte all’attuale fabbisogno mondiale di energia». Il rapporto (dal suggestivo titolo di The Sky is the limit è accessibile, previa registrazione).

Il risultato indicato dal rapporto, inimmaginabile fino a pochi anni fa, è divenuto in breve tempo possibile sia per gli sviluppi delle tecnologie del settore, sia, e soprattutto, per il crollo dei costi necessari per realizzare gli impianti di energia rinnovabile.

Così, oggi è già tecnicamente possibile produrre con impianti di energia rinnovabile circa la metà del totale di PWh disponibile sul pianeta, quindi circa 3 800 PWh, «una quantità ampiamente superiore a quella globalmente utilizzata». Con opportuni investimenti si può giungere al 90 per cento del totale «entro la fine di questo decennio». Quindi, se è un sogno che il mondo arrivi alla metà del secolo alla neutralità delle emissioni, lo è non per insufficienza delle tecnologie disponibili, ma per mancanza di volontà e incapacità dei governi nell’affrontare il problema.

Secondo. Restando in tema di sogni tecnologici, vista la simpatia di De Bortoli per l’energia nucleare, vale la pena di ricordare che erano considerati sognatori al di fuori della realtà coloro che, negli anni Cinquanta, si opponevano all’uso dell’energia nucleare e contestavano stime che garantivano, in pochi decenni, elettricità a prezzi stracciati. Proclamava Lewis Strauss, il presidente della statunitense Atomic Energy Commission, che in un vicino futuro l’energia atomica avrebbe soddisfatto il bisogno di intere città, sostenuto una nuova agricoltura, permesso di eliminare la maggior parte delle malattie: «i nostri figli avranno energia così a buon prezzo che sarà troppo costoso misurarla». Si è avviato così in quegli anni quello che è rimasto famoso come il great bandwagon market (che possiamo tradurre come effetto carrozzone o effetto gregge): una affannata corsa da parte delle società produttrici di elettricità alla costruzione e all’acquisto di centrali nucleari. Sappiamo tutti come è finita. E allo stesso modo è finito il revival dell’energia nucleare del primo decennio di questo secolo, affossato dai costi e dalla tragedia di Fukushima.

Terzo. Afferma De Bortoli che «il passaggio alle rinnovabili rivoluziona intere filiere produttive (si pensi solo all’auto), crea nuove imprese e ne chiude altre. Ha vincitori e vinti (questi ultimi non si sentiranno martiri di una buona causa). E, soprattutto, colpisce maggiormente i ceti più deboli. La transizione verso la neutralità climatica è socialmente diseguale».

È vero, tutte le innovazioni tecnologiche producono vincitori e vinti. Negli esempi che ho fatto sopra, i vinti sono stati tutti coloro che hanno operato nella filiera della caccia alla balena, poi le società che hanno investito enormi quantità di fondi per installare cavi sottomarini, infine tutti coloro che hanno prestato attività nella filiera del trasporto mediante tram trainati da cavalli (tra i vinti ci sono anche le centinaia di crossing sweepers che si guadagnavano da vivere trasportando donne e anziani da un lato all’altro delle strade evitando i tram e i cavalli).

Chi sono i vinti nella transizione verde? Non so a chi pensa De Bortoli, ma sono certamente le multinazionali dei combustibili fossili, che tuttora ottengono inimmaginabili sovvenzioni per distruggere il pianeta (oltre seicento miliardi di dollari nel 2020 nei soli Stati Uniti, secondo un recente articolo del New Yorker). Certamente staranno tra i vinti anche molti paesi che hanno costruito la loro fortuna esclusivamente su ciò che hanno trovato sottoterra (tra questi, ci sono anche paesi la cui terrificante assenza di rispetto per i diritti umani è tollerata solo perché indispensabili per garantire l’attuale livello di sviluppo).

Ma, ed è forse più grave, De Bortoli trascura che non è il passaggio alle rinnovabili, è il cambiamento climatico che sta già dividendo il mondo in vincitori e vinti. Di questo si occupano tutti coloro, economisti, sociologi, scienziati, giuristi che si stanno occupando sotto vari aspetti dei temi della climate justice.

Senza la transizione verde, i vincitori saranno gli Stati ricchi che hanno i mezzi e le tecnologie per adottare le necessarie strategie di adattamento. I vinti saranno gli Stati poveri che non riusciranno a far fronte ai mutamenti indotti dal cambiamento climatico nel loro sistema agricolo e produttivo, che non riusciranno a proteggere le loro coste dall’innalzamento degli oceani o gli abitanti dall’incremento delle catastrofi climatiche. È un dato ben noto nella comunità internazionale che infatti ha disposto ingenti finanziamenti a carico dei paesi ricchi per assistere i paesi poveri nelle opere di adattamento necessarie per far fronte agli effetti del cambiamento climatico. I vinti saranno anche gli strati più poveri delle popolazioni dei paesi ricchi, le minoranze e tutti coloro che per ragioni economiche o di discriminazione risiedono in aree maggiormente esposte ai cambiamenti del clima.

Quarto. Afferma infine De Bortoli che si stanno sottovalutando gli enormi costi di transizione. Ma questi costi, per quanto consistenti, sono ampiamente inferiori ai costi provocati dalla non transizione, come è stato dimostrato da innumerevoli studi e ricerche sul punto. Proprio recentemente, la Banca centrale europea ha confermato che i costi del cambiamento climatico, se non fossero rispettati gli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi, sarebbero molto superiori a quelli necessari per la transizione verde.

Purtroppo, anche articoli come quello di De Bortoli contribuiscono a offuscare l’importanza dell’impegno di tutti nel sostenere la transizione verde, l’unica scelta possibile dal punto di vista economico, sociale ed etico.


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