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Il declino della Università italiana secondo l'ANVUR

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L’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR) ha reso pubblica, nei giorni scorsi, una sintesi del Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca 2016 che sarà pronto a giorni nella sua forma definitiva. L’occasione, tuttavia, è già utile per fare il punto dello stato dell’università nel nostro paese. In un prossimo articolo faremo il punto sulla ricerca.

Sullo stato dell’università italiana in questi anni molto si è scritto e molto si è polemizzato. Ma un’analisi serena dei dati ci aiuta a capire qual è il suo stato reale, comparato con quello dei centri di istruzione terziaria degli altri paesi d’Europa e del mondo.

L’università, in ogni luogo e in ogni tempo, esiste per formare le classi dirigenti del futuro. Oggi che siamo nella società della conoscenza serve anche a qualcos’altro: a formare i lavoratori altamente qualificati che dovranno creare continuamente una nuova economia. Per questo l’istruzione universitaria è considerata strategica in tutto il mondo.

Dunque verifichiamo se e come l’università italiana assolve a questa che è la sua prima missione: la formazione. Ebbene l’ANVUR conferma che rispetto all’output – ovvero al numero di laureati nella fascia d’età compresa tra 25 e 34 anni, proprio non ci siamo. L’università italiana laurea ogni anno poco più di 300.000 giovani: un numero stabile da un decennio.

Grafico 1 - Laureati totali e al netto delle lauree specialistiche/magistrali in Italia . Anni 1999-2014 (Fonte: MIUR - Indagine sull’Istruzione Universitaria)

Il numero di giovani italiani in questa fascia di età che hanno una laurea è pari al 24%. Il primo guaio è che negli altri paesi questa percentuale è molto più alta: il 38% nell’Unione Europa; il 40% in media tra i paesi OCSE. Lontanissimo dalla punta del 67% della Corea del Nord. Siamo ultimi, tra i paesi OCSE, insieme alla Turchia. In realtà il paese a cavallo tra Europa e Asia ci ha sorpassato nel 2015. Ora siamo ultimi in assoluto.

Grafico 2Distribuzione percentuale della popolazione, in classe di età 25-34 anni, in possesso di un diploma di istruzione terziaria (ISCED 2011, livelli 5/8) per paese. Anno 2014 (Fonte: Eurostat – Education and training statistical database)

Il secondo guaio è che il gap registrato dall’ANVUR e da tutti gli istituti di ricerca nazionali e internazionali è aumentato nell’ultimo decennio. E nel futuro sembra proprio che continuerà a farlo.

È evidente che se consideriamo l’alta qualificazione un fattore strategico sia dal punto di vista culturale e sociale che da quello economico, dovremmo correre immediatamente ai ripari.

Purtroppo non succede. Dal 2007/2008 a oggi, regista l’ANVUR, le iscrizioni all’università dei giovani italiani sono diminuite. E non di poco: di un rotondo 22%. Con una certa asimmetria. Il calo di iscrizione è minore al Nord (-17%) e maggiore al Sud (-23%) e al Centro (-28%).  La causa non è solo demografica, ma anche economica e culturale.

Grafico 3Corsi attivi per ripartizione geografica (numeri indice 2007/2008=100) (Fonte: MIUR – Banca dati dell’Offerta formativa)

Infatti, le immatricolazione tra i ragazzi con meno di 20 anni sono aumentate al Nord (+8% rispetto al 2002/03), sono diminuite al Centro (-5% nel medesimo periodo) e sono crollate nel Mezzogiorno d’Italia (-10%). Insomma, la crisi di vocazione si registra soprattutto tra i giovani del Mezzogiorno.

Grafico 4Andamento degli immatricolati con età ≤ 20 per area territoriale di residenza (numeri indice 2002/2003=100) (Fonte: Anagrafe Nazionale Studenti)

Al calo di iscrizioni si aggiunge un elevato tasso di abbandono: raggiunge la laurea triennale solo il 58% degli iscritti. Ancora una volta il tasso non è simmetrico: gli abbandoni tra il I e il II anno sono massimi tra gli studenti delle scuole medie professionali (superiore al 28%) e minimi tra gli studenti dei licei (intorno all’8%).

Grafico 5Abbandono del sistema universitario tra I e II anno per coorte di immatricolati e tipo di diploma di maturità – Corsi di laurea triennali (valori percentuali)

Alla disuguaglianza geografica di immatricolazione fornisce un contributo non banale anche la migrazione degli studenti. Il 19% dei giovani del Mezzogiorno continentale che decidono di iscriversi all’università si immatricola in un’università del Centro o del Nord. La percentuale sale al 26% tra i giovani delle Isole.

Grafico 6Quota di laureati triennali in atenei del Sud e delle Isole iscritti a un corso magistrale di un ateneo del Centro- Nord (Fonte: Anagrafe Nazionale Studenti)

Insomma, c’è un’autentica e composita fuga dalle università meridionali. Un serio problema sociale ed economico, che andrebbe risolto in termini politici.

Anche perché, lo dimostrano i dati dell’ANVUR, la politica è intervenuta nel sistema universitario, con tagli agli investimenti del 22% rispetto al massimo relativo del 2009. Non c’è settore pubblico dove la spesa sia stata tagliata in maniera così massiccia. E sì che le 61 università pubbliche italiane assorbono il 90% degli studenti.

Grafico 7 - Andamento di alcune componenti riaggregate delle entrate delle università statali italiane (prezzi 2014, numeri indice 2000=100) (Fonte: MIUR – Conti Consuntivi)

In termini assoluti, sostiene l’ANVUR, il sistema universitario italiano ha perduto 1,1 miliardi sugli 8,4 del budget 2009. Questi tagli hanno consolidato l’ultima posizione che ha l’Italia tra i paesi OCSE e non solo in termini di spesa per l’università: meno dell’1% del PIL, a fronte dell’1,5% della media OCSE e di oltre il 2% di paesi come Corea del Sud, Canada o Stati Uniti.

Grafico 8 - Spesa per istituzioni educative terziarie in percentuale di PIL per fonte di finanziamento. Anno 2012 (in ordine decrescente per spesa totale, pubblica e privata) (Fonte: OCSE – Education at a Glance 2015)

Intanto le tasse di iscrizione all’università salgono, mentre sono pochi i giovani meritevoli che ricevono aiuti allo studio.

Grafico 9 - Contribuzione media nelle università pubbliche su quota di studenti che ricevono sostegno economico (anni 2013/2014) (Fonte: OCSE – Education at a Glance 2015)

Ancora una volta l’asimmetria geografica è evidente. Al Nord e al Centro quasi tutti i meritevoli (a termine di legge) ricevono gli aiuti, mentre solo la metà dei meritevoli al Sud riceve quanto dovuto.

Tabella 1 - Grado di copertura per ripartizione geografica. Anni accademici 2003/2004-2013/2014 (Fonte: Osservatorio Regionale per Università e DSU Piemonte – Elaborazioni su dati MIUR)

Ripartizione geografica2003 /20042004 /20052005 /20062006 /20072007 /20082008 /20092009 /20102010 /20112011 /20122012 /20132013 /2014
Nord94,195,094,797,598,198,099,592,175,986,390,1
Centro76,090,893,099,498,798,6100,083,784,790,791,2
Sud51,954,753,559,363,162,067,560,954,258,056,4
Totale71,577,177,282,282,981,985,877,668,875,176,5

Tutto questo ha un riflesso sull’offerta didattica. I corsi sono diminuiti: dai 5.879 del 2007/2008 a 4586 del 2015/2016: un taglio del 22%. Più accentuato al Centro (-28%) e al Sud (-23%) che al Nord (-17%).

Sono diminuiti anche i docenti di ruolo: da 62.753 nel 2008 a 50.369 nel 2015. Un taglio del 20%.

Tabella 2 - Docenti di ruolo, ricecatori a tempo determinato e altro personale di ricerca. Anni 2008, 2010, 2013, 2014, 2015 (valori assoluti) (Fonte. Archivio del Personale Docente MIUR; Archivio del Personale della Ricerca MIUR; Rilevazione sui docenti a contratto e sul personale tecnico – amministrativo MIUR)

2000200320082010201320142015
Docenti di ruolo51.96756.45062.75357.74153.45951.84050.369
Ordinari15.02817.95718.92915.85113.88313.26312.877
Associati17.24718.09218.25516.95615.83017.54720.048
Ricercatori19.69220.40125.56924.93423.74621.03017.444
Ricercatori a empo determinato---1.2803.2733.8594.608
Altro personale di ricercandnd22.04528.57629.33330.512nd
Assegnisti5.4399.78912.09313.16816.08115.94913.250
Collaboratorind6.5506.0898.0968.5998.775nd
Borse di studio e di ricerca per laureatindnd3.8637.3124.6535.788nd

I docenti che sono rimasti hanno un carico di lavoro didattico piuttosto elevato: 118 ore pro-capite (medicina esclusa). Questo carico didattico è massimo proprio al Sud e al Centro e ha un minimo (relativo) nelle università del Nord.

Grafico 10 - Ore di insegnamento dei docenti per ripartizione geografica degli atenei (valore medio) (Fonte: elaborazione dati scheda SUA-CdS 2014)

Questi dati sono sufficientemente eloquenti. Con questi investimenti e con queste asimmetrie, è molto difficile per non dire impossibile che l’Italia riduca il gap, enorme, che la separa dagli altri paesi nella formazione dei suoi giovani e nella creazione di una società fondata sulla conoscenza. 


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